di Walter Catalano

David Bernardini, Nazionalbolscevismo: Piccola storia del rossobrunismo in Europa, Shake Edizioni, pag. 175, 14,00 €.

Nell’ormai lontana primavera del 2003, all’inizio della campagna d’invasione dell’Iraq da parte della coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America che si sarebbe conclusa solo alla fine del 2011, venne diffuso nel contesto antagonista che allora si definiva ancora no global, un manifesto antiamericanista, denominato People Smash America e promosso da un sedicente Campo Antimperialista, gruppo costituito in origine da membri di area trotzkista. Non furono pochi i militanti o simpatizzanti di una generica sinistra antagonista, non necessariamente legati allo stesso ambiente politico dei promotori ma mossi da una sincera avversione per l’aggressione scatenata dalle potenze occidentali, a firmare quel manifesto e a partecipare alle numerose iniziative tenute in varie città italiane in case del popolo, locali e spazi gestiti, in linea di massima, sotto l’egida di Rifondazione Comunista.

Anche chi scrive queste righe, per ingenuità, ignoranza o disattenzione, ma del tutto in buona fede, si ritrovò firmatario del documento ed ebbe occasione durante un affollato incontro pubblico, di conoscere il variegato sottobosco che ormai patrocinava l’iniziativa: vi si potevano incontrare fianco a fianco intellettuali di indubbia fede marxista, come il filosofo Domenico Losurdo (che aveva allora appena pubblicato il monumentale e non sospetto volume Nietzsche, il ribelle aristocratico), ed altri in varia misura “eretici”, come Costanzo Preve,  che stava per saltare il fosso, o lo aveva già appena saltato, con Marx inattuale. Eredità e prospettiva, l’ultimo suo libro ad essere ancora pubblicato da un editore “normale” e non legato alla destra radicale. In mezzo a loro gravitavano distribuendo rivistine, volantini e libelli, personaggi quantomeno inquietanti: arabisti in teoria antisionisti ma di fatto ferocemente antisemiti, “comunisti”- comunitaristi e nazionalitari, rivoluzionari “al di là della destra e della sinistra” e quant’altro. Molti dei loro nomi, quello di Preve compreso, ad andarseli a cercare con attenzione, li si sarebbero potuti ritrovare fra i collaboratori di Eurasia di Claudio Mutti o di Risguardo di Franco Freda, e delle loro case editrici, All’insegna del Veltro o Ar, in compagnia di personaggi altrettanto “non-conformisti” – come li chiamano loro – al pari di Evola, Goebbels o Codreanu. Tanto per dimostrare da che parte si va a cadere quando ci si proclama “oltre la destra e la sinistra”.

Anch’io nel giro di poche settimane – meglio tardi che mai – mi resi conto dell’errore commesso e interruppi qualunque contatto con tali “antiamericanisti”, ma la mia firma stava ancora tra le altre in calce a quel manifesto e il mio nome era ormai in qualche modo macchiato (me ne sarei accorto nei mesi seguenti…). Questa sgradevole esperienza personale serve da premessa al libro che David Bernardini ha appena pubblicato per Shake Edizioni, Nazionalbolscevismo, Piccola storia del rossobrunismo in Europa, un testo agile ma completo, utilissimo per farsi un quadro preciso di certe dimensioni politiche ambigue, sfuggenti e infide, evitando al lettore, se non altro, di incorrere in equivoci madornali come quello che ho descritto.

Bernardini traccia un percorso completo del fenomeno percorrendolo a ritroso: parte cioè dalle sue manifestazioni più recenti e a noi prossime, per retrocedere progressivamente verso l’origine di questa deriva politica e approfondirne ragioni ed esiti che rimontano agli anni delle Germania di Weimar, a quella congerie complessa di movimenti detta – termine che l’autore non condivide e preferisce non utilizzare – “Rivoluzione conservatrice”, nel 1933 interrotta o, più propriamente, fagocitata dal trionfo politico nazionalsocialista e hitleriano.

Il contesto storico dell’epoca aveva portato i due paesi reietti dalla Società delle nazioni – la Germania sconfitta, giudicata unica responsabile del conflitto mondiale a Versailles, e la Russia sovietica, pericolosa esportatrice del comunismo – a stringere relazioni non ufficiali anche a livello governativo. Molti nazionalisti tedeschi, fra i nostalgici prussiani del Kaiser, i militaristi dei Frei Korps, i mistici völkisch o i naturisti wandervogel, fino a certa sinistra nazionalsocialista, trovarono quindi quasi naturale sentire maggiori affinità con il comunismo sovietico – da loro letto in chiave distortamente stalinista, come socialismo nazionale, e mettendo in secondo piano la lotta di classe – che con la liberal-democrazia delle potenze occidentali umiliatrici della Germania. Anche notevoli figure di intellettuali e scrittori fiancheggiarono gli agitatori politici di questi movimenti, dall’eroe di guerra Ernst Jünger soprattutto nel suo Der Arbeiter, all’ex comandante dei Frei Korps Ernst von Salomon nel suo Die Geächtete (personaggio che resta però, sostanzialmente, un fucilatore di socialisti…).

 Un brulichio di associazioni e gruppi segnarono questa linea di pensiero, dal Widerstand di Ernst Niekisch, allo Schwarze Front del nazista di sinistra Otto Strasser dopo la rottura con Hitler, dai socialrivoluzionari di Karl Otto Paetel, all‘Eidgenossenbund di Werner Lass. Bernardini descrive in dettaglio questi gruppi e i loro tortuosi percorsi nella seconda parte del libro, ma quello che soprattutto emerge e che torna utile per meglio comprendere quanto delineato invece nella prima parte, è il fatto che formule, simboli e modelli “di sinistra“ assunti da questi movimenti di destra, sono soprattutto una soluzione strategica nata da un’incomprensione e da un’interpretazione superficiale e distorta delle dottrine socialiste; come spiega Bernardini: “In questo fenomeno ideologico-politico così complesso, mi sembra però possibile individuare alcuni tratti comuni. Il suo orizzonte ideologico ultimo rimane la nazione (declinata anche come Europa-nazione o in chiave eurasiatica) e la comunità organica, organizzata gerarchicamente e guidata da un’élite. […] Il richiamo al socialismo è allora funzionale a mantenere l’ordine sociale, a imbrigliare il capitalismo e la proprietà privata. Il riferimento alla classe è passeggero poichè è un mezzo, uno strumento per realizzare, anzi rigenerare la nazione, salvandola dalla decadenza della democrazia liberale. Questo, a parer mio, nebuloso anticapitalismo si coniuga con una fraseologia sovversiva che però rimane antimarxista, antimaterialista, anticosmopolita, anti-internazionalista. Lo stesso disprezzo per l’antifascismo nelle sue varie declinazioni la dice lunga sulla dimensione politica di questa corrente“. La prova ulteriore e definitiva è l’incontrovertibile fatto che gran parte dei gruppi e movimenti storici nazionalbolscevichi weimariani, dopo l’avvento al potere di Hitler, confluirono tutti, quasi senza colpo ferire, nella Volksgemeinschaft nazionalsocialista.

La prima parte del volumetto traccia invece i percorsi successivi al crollo dei fascismi europei tratteggiando il recupero e riutilizzo puramente strumentale della confusa ideologia di una dimenticata corrente politica che, se nella Mitteleuropa prebellica poteva ancora avere una qualche sua giustificazione, diventa nel mutato contesto storico-geografico, mera strategia di infiltrazione e disinformazione, camuffamento e riproposizione del fascismo tout court (nel senso dell’Urfascismo, come lo intendeva Eco) sotto altro nome e altra foggia. Bernardini passa in rassegna, capitolo per capitolo, personaggi e situazioni afferenti alla costellazione rosso bruna. Si parte da Carlo Terracciano e Massimo Murelli, la Società Editrice Barbarossa e la rivista Orion, e il loro riciclaggio di un già caotico pantheon urfascista che mescola SS come Degrelle, tradizionalisti integrali come Evola e Guénon, collaborazionisti come Drieu La Rochelle e Brasillach, fascismi periferici come la Guardia di Ferro di Codreanu o la Falange spagnola, mescolato e ibridato, in un aberrante patchwork ideologico, da riferimenti al comunismo di Zjuganov, Mao o Che Guevara, e dall’esaltazione di regimi totalitari come l’Iran dell’Ayatollah Khomeini o la Libia di Gheddafi. Naturali i collegamenti sia con Franco Freda e il suo libello La disintegrazione del sistema, uscito nello stesso anno della strage di Piazza Fontana e teorizzante l’unione degli estremisti di destra e di sinistra contro il regime borghese, sia con Il sistema per uccidere i popoli dell’ex attore pornografico Guillaume Faye, divenuto maître à penser della nouvelle droite francese insieme al meno delirante Alain de Benoist. E proprio de Benoist ha teorizzato quel “gramscismo di destra” che tanta influenza avrebbe avuto su Costanzo Preve, tanto da condurlo ad una revisione così radicale del suo originario marxismo da approdare all’Eurasia di Mutti. Una proliferazione ipostatica di teratologiche aberrazioni, come nei sincretismi sfrenati di un vangelo gnostico, che ci porta dal male al peggio e che da Preve – figura che, con tutte le sue contraddizioni, aveva almeno innegabile fascino e spessore culturale – conduce al suo allievo degenere, il ridicolo Diego Fusaro e ai “valori di destra e idee di sinistra” del suo partito sovranista Vox Italia.

Il secondo capitolo è dedicato al Partito nazionalbolscevico russo, la cui bandiera è identica a quella nazista con l’unica differenza di aver sostituito la svastica con la falce e martello. I due fondatori Alexandr Dugin e Eduard Limonov sono stati separati nel corso degli anni ’90, da una diversa presa di posizione di fronte alla dominazione imperiale del nuovo Zar Putin, il primo – tradizionalista evoliano e misticheggiante – ne è divenuto fervente sostenitore (la russian connection della Lega – pare – passa anche attraverso di lui, che parla l’italiano certo meglio di Salvini); il secondo – mediocrissimo scrittore e dandy pseudo-dannunziano portato alla notorietà dalla fortunata e prevalentemente immaginaria “biografia” che gli ha dedicato Emmanuel Carrère – è invece passato all’opposizione scontando anche qualche anno di carcere. Bernardini ritrova sia nell’eurasismo di Dugin che nel nazionalbolscevismo di Limonov una stessa matrice tipicamente russa: “la concezione di uno stato forte e militare, la mitizzazione del popolo russo e il risentimento contro ebrei e Occidente, talvolta coprendo il tutto con una fraseologia apparentemente marxista-leninista”.

I capitoli dal terzo al quinto presentano invece le complesse filiazioni del rossobrunismo in area francofona, partendo dalla figura di Dominique Venner con il suo libro del 1962, Per una critica positiva, che va ad unire i reduci sconfitti dal Viet Minh di Ho Chi Min e i difensori dell’Algeria francese confluiti nell’Oas (Organisation de l’armée secrète), applicando il modello leninista del Che fare ? alla riorganizzazione della destra radicale francese. Il suo incontro con Jean-Francois Thiriart, ex SS belga e militante contro l’indipendenza del Congo, porta alla fondazione di Jeune Europe, raggruppamento che usa per primo il simbolo neofascista della croce celtica. Thiriart teorizza una “lotta armata insurrezionale contro l’occupazione americana” per un’Europa socialista e (nazional)rivoluzionaria, attraverso la costituzione di Brigate europee che i suoi sodali in seguito millanteranno come prototipo delle Brigate rosse, secondo la discutibile teoria dell’ ”incontro fra gli estremi”.

La Giovane Europa di Thiriart produrrà di lì a poco in Italia, innestandosi su propaggini più o meno ortodosse di Ordine Nuovo, Lotta di Popolo, in cui già appare il nome del futuro eurasista Claudio Mutti e, di passaggio, quello dell’immancabile Franco Freda: si comincia a parlare di nazi-maoismo, deriva duramente criticata dai tradizionalisti ordinoviani come Adriano Romualdi e lo stesso “barone nero” Julius Evola. Da lì seguiranno “Costruiamo l’azione” e Terza Posizione in cui muoveranno i primi passi Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi, in seguito leader rispettivamente di Forza Nuova e di CasaPound. Vediamo quindi come il serpente si morda la coda, e dal passato all’attualità, il groviglio sia del tutto interno alle dinamiche e ai rapporti spesso conflittuali dell’estrema destra. Il comunismo c’entra poco o nulla, per fortuna.

Onde avere ben chiaro senza dubbi o riserve almeno questo concetto basilare, risulta quanto mai proficua la lettura del libro di David Bernardini. Come dice l’adagio inglese: forewarned is forearmed.