Intervista a cura di Luca Baiada

Sì, l’ho saputo. Prego, prenda una sigaretta.
Questo conferma che il Novecento non è affatto un secolo morto. Semmai, il Ventunesimo secolo è un parassita che approfitta di un gigante. Ma visto che la vera passione del Novecento è stata la servitù, se lo rimpiangono significa che si è trovato qualcosa di ancora più assurdo, che essere servo. E La peste turba il sonno dei benpensanti.

Capisco, Lei vorrebbe concentrare la nostra conversazione sui diritti umani, la libertà di espressione eccetera. Le dico subito che così non si va da nessuna parte. Non si tratta di lasciar dire allo scrittore quello che vuole. Non è un problema di cultura, ci sono già troppi diversivi. E non mettiamola sulla questione dell’intellettuale impegnato, che è un altro modo per cambiare discorso.
La mia formazione, certo. Sono nato in Algeria, francese come mio padre; anche mia madre, originaria delle Baleari. Lui morì nella Grande guerra, avevo un anno; a me rimasero qualche fotografia e i racconti che faceva lei. La tubercolosi l’ho presa quando ero ragazzo. Ho cospirato nella Resistenza, ho denunciato l’imperialismo, lo stalinismo, l’integralismo, sono entrato e uscito dal partito comunista, mi hanno sorvegliato i servizi segreti degli Usa e dell’Urss. Sono stato accusato di essere anarcoide, astratto, moralista, borghese. Mi ascolti bene. Credere che la marginalità basti a produrre cultura, politica, libertà, non sarebbe sbagliato. Sarebbe ridicolo. Non è un caso, se il potere costruisce sempre più confini: sa bene che a produrre l’uomo in rivolta non sono i muri. Un momento, scusi, mi accendo la sigaretta.

Gli interrogativi sul cattolicesimo, posti male, sono solo falsa coscienza. Voi italiani, lo ammetta: leggete i vostri scrittori per tenerli fuori della porta o per metterli in vetrina. È il vostro modo di chiuderli in prigione, e anche da morti, come se non li trattaste abbastanza male da vivi. Anzi, certe volte vorreste resuscitarli con l’unico scopo di convertirli e ucciderli, per farli morire pentiti. Il peso della mancata riforma protestante in Italia? È uno slogan inascoltabile: era il linguaggio di Mussolini. Per questo la querela di un istituto per anziani, a Milano, è la conferma di una decadenza della letteratura, non certo di una persecuzione politica.

Vede, ci sono doveri precisi, perché bisogna vivere con il tempo e con lui morire. Le indagini di Mani pulite, che segnarono la fine della Prima repubblica, in Italia, cominciarono dal vertice del Pio Albergo Trivulzio, nel 1992. Le rivelazioni aprirono la strada a processi clamorosi e fu messo a nudo un intero sistema. Politica e destino degli uomini sono nelle mani di persone senza ideali né grandezza. Ma guardiamo cosa succede adesso: abbiamo la prova che tutto ciò che esalta la vita ne accresce allo stesso tempo l’assurdità. Dopo tanti anni, il colpevole torna sul luogo del delitto come se nulla fosse: dunque è vero, che il futuro è la sola proprietà che i padroni concedono volentieri agli schiavi. Ma certo, lo metta nel suo articolo.

Adesso, proprio il Pio Albergo Trivulzio crede di vedere in La peste una denuncia delle mancanze, delle reticenze istituzionali, dell’inefficienza della sanità lombarda e italiana. Persino una denuncia dell’ipocrisia. Evidentemente c’è chi pensa di essere al centro del mondo. C’è chi, mentre la foresta brucia, rivendica di stare sull’albero più alto.
La morte di tanti anziani, in Italia come in Europa, non è la prova di una gestione inadeguata. Così si fanno solo pseudocritiche, richiami all’ubbidienza, piccoli rancori, cose che invecchiano subito sulla stampa d’opinione. Con queste morti siamo di fronte a un sacrificio umano, e nei riti di sangue si delega a qualcuno il ruolo di officiante, altri sono costretti alla parte della vittima, ad altri ancora spetta l’esecrazione. Naturalmente c’è anche chi applaude, per non parlare dei giornalisti. Per favore, mi passi il portacenere, quello piccolo.

E non mi si chieda cosa c’entrano il colonialismo e il fascismo. Voi italiani dovreste ricordare che i primi bombardamenti sui civili li avete fatti voi, in Libia nel 1911: trent’anni dopo Milano andava in macerie, ricevendo il trattamento che avevate fatto a Barcellona nel 1938, e che i vostri alleati nazisti facevano a Londra dopo aver occupato Parigi. Sia chiaro: qualunque cosa dica Jean-Paul Sartre, respingo ogni accusa di cedimento borghese o di generico umanesimo. Insisto: riconosciamo la nostra patria quando siamo sul punto di perderla, in qualsiasi modo. Sto parlando di quando i francesi, in lutto per la Linea Maginot, costruirono un’altra linea, atroce e inafferrabile, per dividere la Francia pura, figuriamoci, da quella estranea, indesiderata: e fu il rastrellamento del Velodromo d’inverno, e fu lo zelo antisemita di Vichy. Mi spiego, perché qui sta il punto.

Adesso, gli anziani poveri sono i vostri neri, i vostri ebrei, i vostri senza niente. Cioè, invecchiando diventate stranieri, neri fra i bianchi e viceversa, più invisibili dei motociclisti che vi portano a casa piatti freddi, conditi da mani che ignorate e che non vorreste mai stringere. Vi colonizzate fra voi, giocate allo scambio di ruoli. Siete pubblico e maschere insieme, come in un teatro sperimentale, ma è tutto vero. Vi destinate alla persecuzione, all’indifferenza, al disconoscimento dell’umanità, alla negazione. Così funziona il terrorismo di Stato: gli intermediari politici che in ogni società sono garanzia di libertà, scompaiono lasciando il posto a una bassa mistica, al Führerprinzip, che il Mediterraneo tinge di sensualità come di disfacimento. Le ragazze a cui chiedete il prezzo di un’ora senza alzarvi dai sedili delle automobili, sono le stesse che vi faranno compagnia tutto il giorno, quando loro saranno cadenti e voi non vi alzerete dalle sedie a rotelle. In fondo, via: sarà sempre prendersi cura dei vostri corpi. L’uomo è preda delle sue verità e quando le riconosce non riesce a staccarsene.

Voi italiani volevate vivere dentro la televisione, con Berlusconi e i suoi lustrini? Preparatevi a un letto disadorno col televisore acceso. Al padrone della pubblicità invidiavate le modelle? Avrete ciascuno un’estranea attempata, in casa, assorta nel cellulare, e se non potrete permettervela ve ne contenderete due o tre, in ospizi cavernosi, ricavati riadattando le colonie estive, quelle che non riuscite a riempire coi vostri figli e non volete aprire a quelli degli altri. Le mascherine che state comprando per forza sono un assaggio del pannolone. I due strumenti saranno intercambiabili, come sono importanti i due estremi della digestione. Le pare strano? Ah sì? Sono anni che in Italia si parla di ricette di cucina, e Le pare strano? Un attimo, mi accendo la sigaretta.

In tutto questo al Pio Albergo Trivulzio, in fondo, devo la mia solidarietà di intellettuale, perché non è altro che la dimostrazione plastica, suo malgrado, che il non umano non è confinabile. Nessun uomo è del tutto colpevole, non ha dato inizio alla storia; e neppure del tutto innocente, visto che la prosegue. L’altrove è un’illusione, o al massimo una dilazione, cioè una scissione di coscienza. Ma la più grave, perché essere schiavi del presentismo significa essere morti già da vivi.
Sì, ho saputo che a fare domande su quell’istituto c’è anche un ex magistrato, uno di Mani pulite di allora. No, guardi, considerarlo il segno di un ciclo storico è sbrigativo, riduttivo. Ma andiamo! Con tutto il rispetto per i giudici, affidare alla giustizia un ruolo sovraesposto è solo una prosecuzione del sacrificio umano con altri mezzi. È come chiedere a Pilato di risporcarsi le mani credendo che così cambi il verdetto, come invitare Gesù a cenare col sinedrio brindando all’imperatore, come salvare Socrate con l’antidoto per fargli fare la pubblicità di un medicinale. Non capisce? Se nel 1789 si fosse fatta una class action contro il comandante della Bastiglia, il re di Francia sarebbe ancora sul trono. E per favore, non scriva che sto incitando alla sommossa, ci sono già abbastanza cattivi cronisti. Scriva invece che le frontiere e i mari che vi circondano, adesso, sono confini che corrono dentro le città. I droni che vi sorvegliano li avete comprati contro gli esclusi e vi sono sfuggiti dalle mani. No, per piacere, mi dia l’altro portacenere, quello grande.

Ah sì? Vuole davvero un’osservazione cinica, di quelle per un po’ di colore nelle interviste a caldo? Preferisco essere solidale, piuttosto che solitario: né vittime né carnefici. Ma le rispondo subito. Allora. Se si andasse a svelare il voto alle elezioni, di quegli anziani e dei loro parenti, in Lombardia e in Italia, si scoprirebbe il consenso dato agli amministratori che hanno promesso benessere domestico in cambio di durezza politica. Il consenso a quelli, insomma, che da anni condannano il buonismo. L’ordine stesso, è tanto più efficace quanto più è mediocre. Questo, un intellettuale o lo dice, o non è. Altrimenti, tanto vale trovarsi un qualsiasi Caligola e adeguarsi alla caduta, senza riscatto.
E guardi, ci tengo: lasci stare il realismo, l’esistenzialismo, l’avanguardia. La nostra sola giustificazione è parlare in nome di chi non può farlo. Se per avere buon cinema e buona letteratura si deve camminare all’indietro, vuol dire che lo scandalo non fa scandalo, ma fa la sua tomba.

Gli scrittori? La grandezza dell’uomo è essere più forte della sua stessa condizione. È tutto qui: non essere amati è sfortuna, la vera disgrazia è non amare. Allora, meglio farsi storico di ciò che non ha storia, nutrirsi dello stesso pane d’esilio. L’ultima fatica di Sisifo è riconoscersi anche nelle ombre, amarsi e combattere anche nelle debolezze, nelle contraddizioni, nei nostri tic nervosi. Per cortesia, il portacenere piccolo, quello, lo rimetta dov’era.

No e poi no. Su Maria Casarès non voglio dire niente. La guardi nei film di Jean Cocteau e non osi confrontarla – unica, una vertigine! – con le maggiorate discinte della commedia all’italiana. La Casarès, interprete eccezionale, a Parigi, del teatro classico e contemporaneo, di casa alla Comédie-Française, decorata con la Legion d’Onore, è una galiziana, nata cittadina spagnola, immigrata in Francia da ragazzina sfuggendo al fascismo franchista1. Proprio non mi segue? È come se a leggere e spiegare la Commedia di Dante Alighieri, a Firenze, fosse una bambina cinese cresciuta in Senegal e arrivata in Toscana di nascosto. Insomma la sua domanda sulla Casarès, mi scusi, per gli aspetti personali è impertinente e per quelli sociali si risponde da sola. Esigo che su questo non ci sia alcun malinteso.
Beh? la sigaretta non la accende? Ah, scusi: ecco i cerini.


  1. Maria Casarès, 1922-1996. Figlia del primo ministro del governo democratico, nella Spagna repubblicana, al momento del colpo di mano fascista di Francisco Franco. In Francia dal 1936. Attrice di teatro e di cinema, indimenticabile in capolavori fra cui Les Enfants du paradis. La sua storia d’amore con Albert Camus iniziò a Parigi sotto l’occupazione tedesca