di Enzo Names e Nicolò Molinari

I Gilets Jaunes (gilet gialli o GJ) hanno aperto uno squarcio nella sensazione d’immobilità, depressione e impotenza che spesso ci portiamo dentro.
Quello che è successo negli ultimi mesi in Francia ha fatto tremare almeno un po’ il governo e il suo sistema di governance.
L’ha costretto a riorganizzarsi e rendere ancora più esplicito il suo apparato repressivo.
Molti che sono coinvolti da tempo nelle lotte sociali hanno incrociato e attraversato l’esperienza dei GJ rimanendovi impressionati e respirandone la novità e creatività.
Anche noi, che abbiamo avuto questa opportunità, abbiamo sentito il bisogno di condividere esperienze, riflessioni e discussioni per chiederci come l’esperienza dei GJ potesse contribuire attivamente anche alle lotte fuori dal perimetro esagonale dove sono nati.
Il nostro è uno sguardo soggettivo che prova rispondere a delle semplici domande sul movimento: chi sono? come organizzano le loro lotte? cosa vogliono?
A un anno esatto dalla prima manifestazione dei GJ, vi proponiamo alcuni estratti di un testo più articolato intitolato  “On est là”- Siamo qua – Gilets jaunes: il movimento tenace della Francia Invisibile.

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Il 17 novembre 2018 in Francia l’appello per il blocco del paese, diffusosi a macchia d’olio sui social, diviene il detonatore di una lunga stagione di protesta insistendo soprattutto sull’iniquità dell’aumento della benzina in un momento di crisi economica che viene giustificata dal governo come “tassa per la transizione ecologica”.
Se pensiamo alla situazione italiana, questo tipo di appello al “blocco” a seguito delle troppe tasse, ci rimanda al cosiddetto movimento dei forconi della stagione 2012-13.
In Francia un’esperienza regionale si era già inscritta in un registro simile: il movimento bretone dei “bonnet rouges” nel 2013 contro un’ecotassa e che già allora bloccava la circolazione, i ponti in particolare.
Tuttavia questi riferimenti sono da ritenersi piuttosto marginali per la genesi dei GJ.

La spontaneità delle occupazioni delle rotatorie (i rond-point) e delle prime mobilitazioni sembra emergere senza replicare modelli precedenti ispirandosi spesso all’immaginario della rivoluzione francese, oltre al tricolore.
A queste premesse si aggiunge l’elezione di un presidente della Repubblica, Macron, raggiunta con il più alto tasso di astensionismo e schede bianche dal 1969 e presentato come “meno peggio” rispetto ai fascisti del “Rassemblement National” (ex FN).
Macron, populista di centro, ha cercato in ogni modo di creare un rapporto presidente-popolo il più diretto possibile, spazzando via le consuetudini di dialogo con i corpi intermedi della società. Questa scelta si mostra come un elemento comune con i GJ, che dall’inizio del movimento hanno cocciutamente rifiutato portavoce, e mediazioni.
Nell’autunno scorso, l’inedita irruzione di folle con un giubbotto catarifrangente intente a bloccare incroci e traffico autostradale, ne ha imposto l’attenzione sulla scena pubblica, mediatica e politica, sorprendendo tutti per le sue modalità di organizzazione ed azione.

Ci sono stati numerosi tentativi di dare una definizione ai Gilets Jaunes: movimento sociale, un segmento di classe, un meme, una convergenza, un’insurrezione o…tutte queste insieme.
Si può dire senz’altro che è una ricomposizione tra soggetti diversi, tra segmenti (e frammenti) di classe che si mobilitano insieme.
All’interno di questa ricomposizione si trovano soprattutto persone non politicizzate in senso classico, cioè senza appartenenze a partiti o organizzazioni, con poca o nulla esperienza in mobilitazioni precedenti o scioperi.
Per una maggioranza di GJ vi è una forte distanza da ogni appartenenza politica e partitica, soprattutto rispetto alle preferenze di voto (quando praticato) e nella fiducia nei rappresentanti politici e sindacali.
Attraversando il movimento si percepisce immediatamente la sua eterogeneità per la presenza di generazioni distanti tra loro che si uniscono nonostante i passati, le provenienze e i desideri.

Cerco la testa del corteo, ma non la trovo.
Cerco di capire quale sarà il percorso, ma tutti mi rispondono che non si sa, ci sono dei luoghi dai quali si passa sempre, ma non si sa mai come ci si arriva e con quale ordine.
Girovagando incontro un bel po’ di giovani tra i 20 e i 30 anni ma, nella prima fase della manifestazione prima degli scontri all’imbrunire, la componente principale sembrerebbe quella dei cinquantenni,  oltre ai pensionati spesso con i figli.
Vedo qualche gilet rosso della Cgt, un paio di gruppetti di giovani incappucciati che lasciano tag sui muri e sulle vetrine, la “batucada“ che suona le percussioni.
Faccio due chiacchiere con alcuni anarchici che riconosco per le scritte riportate sui loro gilet, mentre non passa inosservato il collettivo di studenti medi che cammina dietro al proprio striscione intonando cori anticapitalisti.
Ci sono dei gruppetti di giovanissimi vestiti in stile banlieue (tuta acetata, capellino, sneakers), accanto a qualche sovranista con cartelli Frexit (la versione francese della Brexit), alcuni brandiscono il simbolo della France Insoumise, mentre i trotskisti di Revolution Permanente volantinano.
I portatori di handicap (chi in sedia a rotelle, chi in stampelle, chi cieco) sono invece decisamente molti, soprattutto per essere una manifestazione che finisce matematicamente in scontri con la polizia. Inoltre nel corteo sono accolti con simpatia molti senza fissa dimora.

Una lettura della composizione sociale del movimento indica come una maggioranza delle soggettività presenti alle manifestazioni e alle azioni dei GJ venga dalle “periferie”.
Non tanto le spesso feticizzate banlieues, ma piuttosto quelle zone lontane geograficamente dai centri metropolitani e anch’esse abbandonate dai servizi.
Questo radicamento periferico si palesa nella scelta del nascente movimento di occupare le arterie e i nodi stradali al di fuori dei centri cittadini.
In molti si sentono presi in giro da un governo che mentre elimina la tassa patrimoniale a beneficio dei più ricchi, aumenta le accise della benzina giustificandola come misura ecologica.
Il volto di un ecologismo di facciata si mostra con il ghigno di un governo che tassa i poveri e fa arricchire i capitalisti che inquinano, niente di nuovo.
Una delle scintille dei GJ può essere ritrovata nell’essere colpevolizzati per usare l’automobile, alimentando le emissioni di gas serra, per poter accedere a tutte quelle opportunità e servizi altrimenti ad appannaggio esclusivo di chi ci abita accanto.

Attraverso i GJ una parte di questa popolazione periferica è stata in grado di organizzarsi, in un primo momento occupando le rotonde o i pedaggi, per poi convergere il sabato nelle manifestazioni che hanno offuscato (e talvolta danneggiato) i centri-vetrine delle principali città francesi.
Il “mondo militante” all’interno delle manifestazioni ha superato – fortunatamente in maniera piuttosto tempestiva – lo scetticismo e ha preso parte alle manifestazioni, soprattutto quelle nelle città, apportando contributi importanti nei cortei di piazza allontanando in molti casi i neofascisti (e i royalisti).
Su questo però bisogna distinguere: una cosa è stata allontanare quei soggetti esplicitamente portatori d’istanze fasciste e razziste, un’altra è stata quella di tollerare tutto un universo di persone che nella domanda di potersi riappropriare di un potere sulla propria vita vede con simpatia alcune istanze sovraniste come la fuoriuscita dall’UE, che ha un modo d’esprimersi sessista e talvolta anche con riferimenti di matrice antisemita e razzista.
Sebbene nelle prime settimane ci siano stati alcuni circoscritti episodi di matrice razzista ai blocchi dei ronds-points, la situazione poteva prendere una piega ben peggiore, soprattutto se pensiamo all’Italia.
Un secondo contributo del “mondo militante” è stato dare maggior forza e radicalità ai gilet gialli, costruendo insieme le azioni, portando pratiche di piazza più organizzate e incisive per divenire sempre più ingestibili per il presidente.

Immersione e spaesamento illustrano ciò che vivo in quei momenti: persone mai viste prima, visibilmente senza riferimenti militanti e nemmeno esperienza di cortei attraversano il centro di Parigi urlando e ululando con un’energia e una gioia contagiosa. Gli accenti sono forti a rappresentare i lunghi chilometri attraversati per essere nella capitale. Bandiere regionali quasi sconosciute sventolano qua e là svelando la provenienza di questo o quel gruppetto.
“Te l’avevo detto che quella rossa con il leone è la bandiera che vedi nella confezione del camembert, è la Normandia, non sono mica fasci quelli, sono i normanni…”, un esempio dello spaesamento militante di fronte ai gilet.
Nei gruppi ci sono molte donne, spesso di una certa età e non è affatto raro sentirle gridare indicazioni a quelli con loro.
I giovanissimi sono una minoranza, l’età mi sembra piuttosto alta, tra i 40 e i 50… tra gli uomini gente che sembra più avvezza ai lavori manuali che a indossare completi nei quartieri degli uffici della capitale. Manco la conoscono la capitale, infatti quando iniziamo ad addentrarci tra le viuzze, le domande di orientamento sono frequenti. Pochi parigini quest’oggi hanno il gilet.
I quartieri dello shopping si trasformano, la coda non è più per entrare da Zara dalla porta, ma dalle finestre spaccate. Il paesaggio è a tratti irreale, un amico fotografo non può farsi sfuggire la silhouette di un bus carico di latinos che salutano i gilet mentre scattano flash alla nube del fuoco delle barricate che oscura il colonnato dell’Opera.

La domanda di giustizia sociale diviene progressivamente l’asse centrale del movimento, che non si accontenta più di concessioni, ma vuole rovesciare il tavolo della cena di gala riservata ai ricchi macronisti. Vengono invocati l’aumento del salario minimo (lo SMIC) e dei minimi sociali, limitando la differenziazione tra popolazione precaria ma lavoratrice e quella precaria e disoccupata che poteva sentirsi più spesso nel primo periodo.
I mesi di mobilitazione dei GJ hanno mutato e fatto evolvere le parole d’ordine gridate e i loro obiettivi.
Si è passati da un insieme di rivendicazioni particolari magari contraddittorie, al consolidamento di una prospettiva condivisa di cambiamento radicale della società e del suo modo di produzione e sfruttamento. La questione anticapitalista ha conquistato spazio così come la consapevolezza della connessione tra disuguaglianze sociali e distruzione del vivente.

I GJ hanno rivendicato in maniera progressiva di essere la “pancia” del paese: i dimenticati, gli accantonati.
Un movimento popolare indifferente al gradualismo riformista e senza fiducia nelle promesse del governo.
Insomma, un movimento attraversato da una rabbia collettiva che si sostituisce alla frustrazione individuale nei confronti della propria situazione.
Una collera che nasce nella francia periferica e che non si limita ad invadere i centri cittadini ma vuole conquistare anche lo spazio simbolico del potere che la relega ai margini.

1/continua…

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