Mondadori Segretissimo, Milano 2019 pagg.256 € 5.90

di Mauro Baldrati

La spy story è un genere per niente semplice. Anche se le storie sembrano semplici. Le spie, le azioni segrete, la CIA, i killer, le donne “toste”, gli intrighi. Invece il lavoro che richiede è complesso e delicato. E’ necessario un progetto, una costanza e una capacità di sintesi non comune per portarlo avanti in maniera credibile. Anche perché il procedimento stesso della scrittura offre il fianco a varianti che sembrano scaturire dal nulla, o dall’altrove. Lo stesso autore si stupisce degli sbocchi non premeditati, delle svolte non previste. “Ma come sono arrivato qui?” si chiede talvolta. E si trova nei guai. Deve riprendere la strada maestra. Deve ritrovare il percorso. E non è sempre facile. Insomma, è un lavoro ingegneristico di grande impegno. Ci vuole il mestiere, ma anche astuzia, cura dei dettagli, sensibilità verso i personaggi che devono essere non solo verosimili, ma “umani” e non stereotipi animati.

Inoltre è un genere considerato al maschile. Le statistiche, almeno, lo confermano. Per cui, quando compare un’autrice, la cosa si fa interessante. Scorriamo le pagine, le righe, le parole e cerchiamo di capire se esiste uno stile al femminile. E se esiste dove si differenzia dalla scrittura al testosterone degli autori.

E’ il caso di una giovane scrittrice bolognese, Scilla Bonfiglioli, che si presenta sulla scena della spy story con un romanzo pubblicato dal periodico Segretissimo che ha vinto il Premio Altieri 2019. E’ una scoperta interessante e piacevole. La stilizzazione al femminile si intuisce in una certa grazia con la quale gestisce, con mano ferma, i suoi personaggi, con una particolare attenzione a quelli femminili. Supera con disinvoltura una certa tendenza al luogo comune che, va detto, serpeggia in alcune opere di spy story: vale a dire personaggi femminili estremi, donne-coguar aggressive al massimo della seduzione che ghermiscono gli uomini (quasi sempre l’eroe di turno) come pantere nere. E stupisce come questa grazia sia comunque conforme alle regole interne del genere: la durezza delle vicende, dei contesti, il ritmo sostenuto ma non frenetico, i colpi di scena, la gestione della storia, senza cadute né insabbiamenti nelle variabili indipendenti di cui sopra. L’eroina, Zagara, è “tosta”, ma al contempo ha una sensibilità fuori dal comune nel mondo spietato terminale nel quale agisce. E’ stata un’orfana schiava sessuale in uno spaventoso bordello turco, dal quale l’ha liberata un giovane che diventerà il suo partner e maestro: Nero. Insieme formeranno una mitica coppia di mercenari assassini addestrati a tutte le tecniche di guerra, di difesa personale, di indagine.

In questo romanzo però Zagara agisce da sola. Infatti apprendiamo, a circa un terzo del testo, che Nero è stato assassinato. Esiste come ricordo, come aura narrativa non presente fisicamente ma come mito, come fantasma amico che la segue e, forse, la protegge.

Lo scenario è assolutamente moderno: Dubai, l’Iraq e il Kurdistan, che lotta per diventare uno stato autonomo che possa finalmente riunire, come Israele con gli ebrei, i curdi, sparsi tra la Turchia, la Siria, l’Iraq. Zagara viene contattata dalla CIA per trovare un mitico combattente curdo scomparso nel nulla durante una manifestazione. Lo scopo, che ci viene svelato strada facendo – perché la Bonfiglioli ha questo talento di incuriosire il lettore, prospettando un evento che sembra avere dei punti oscuri che poi vengono svelati a suo tempo – è di assassinarlo. Infatti è l’unico che, col suo straordinario carisma, potrebbe unire i curdi sotto un’unica bandiera. E questo costituirebbe un pericolo enorme, perché potrebbe far esplodere l’intera regione in una nuova, devastante guerra civile.

Inizia una lunga ricerca, un viaggio nelle terre martoriate dalle guerre e dagli attacchi di Daesh, il Califfato stragista contro il quale i curdi combattono duramente. Zagara lo cerca nei sobborghi di città che ci stupiscono per il mix di arcaicità e modernità tecnologica, di ferocia e di corruzione, inseguita da misteriosi killer-ombra (che verranno smascherati nelle fasi finali, perché davvero la Bonfiglioli non lascia nulla al caso).

L’autrice dimostra un’ottima conoscenza non solo dei luoghi, ma anche dei retroscena politici, degli intrighi e dei tradimenti del potere, per cui, senza essere mai didascalica, rivela un’etica e un’attenzione alle dinamiche che nobilita il genere, senza appesantirlo né forzare le regole tecniche.

Il finale è aperto, come ci aspettiamo. Dopo avere sistemato le cose, sempre in bilico tra la tragedia e la sconfitta, riparte a bordo di una grossa Honda Goldwing che corre nel deserto, decisa a risolvere una volta per tutte i punti in sospeso.

E noi aspettiamo il seguito, soddisfatti dell’avventura che ci ha appena fatto vivere.

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