di Nico Maccentelli

(Capitoli 21 e 22)

21.

La prima cosa che vide, appena velata da una strana coltre luminosa, fu la silhouette di una donna, di spalle, china verso un ripiano che doveva essere un tavolo. No, un carrello. La donna aveva una cuffia da infermiera. Era un’infermiera.

Come una panoramica velocissima, a schiaffo, la sua mente tornò agli ultimi secondi di coscienza, quando aveva Silvia tra le braccia. Chiamò debolmente l’infermiera, che si girò.

— Ah, finalmente s’è svegliato!

— Dov’è Silvia?

— Di chi parla, della ragazza che lei ha salvato?

Yuri pensò alla parola “salvato”. Non era mai stata così bella. Annuì debolmente.

— È in chirurgia femminile, in questo stesso piano. L’hanno operata ieri d’urgenza, come lei. Ora sta bene.

L’infermiera si accostò al suo letto e gli rimboccò le lenzuola concludendo: — Adesso però non parli più. Deve solo riposarsi.

Yuri chiuse gli occhi e sospirò. Sentiva un leggero dolore lungo la gamba. Doveva essere sotto sedativo, perché era una sensazione tenue.

Gli occhi si spensero come una dissolvenza cinematografica a nero.

Quando si riaprirono, dopo un lasso di tempo che l’ispettore non era in grado di quantificare, videro il faccione stranamente gioviale di Improta. — Le è andata bene Cattabriga! La lama ha sfiorato il fegato e l’intestino. Un pelo più di lato e ciao!

L’ispettore ripetè in un sussurro: — Ciao…

— Sì, ciao!

— E la ragazza?

Improta ebbe un lampo ironico negli occhi, che subito represse. — La sua Silvia l’avremmo salvata lo stesso. La ferita era brutta, ma non ha leso organi vitali. Più che altro il sangue che aveva perso c’ha fatto per un attimo temere…

Il commissario sbirciò Cattabriga e aggiunse con una punta di sarcasmo: — A proposito la manda a salutare. Sa, la dimettono domani.

Yuri chiuse le palpebre e disse tra sé: “bene!”. Ma quanto tempo era passato? Poi, per la prima volta da che era lucido, pensò a tutta la faccenda.

— Commissario — sussurrò.

— Dica ispettore.

— Ma come avete fatto a trovarci?

— La stavamo già cercando. Ho intuito tardi quello che aveva intenzione di fare…

Yuri osservò mentalmente: “tardi come sempre!”. Ma il commissario come se avesse sentito quel pensiero proseguì con sguardo di rimprovero: — … ma non abbastanza tardi perché lei finisse al creatore. Sa che l’avrei fatta arrestare? Io Caputo e Rosselli eravamo venuti per lei, caro Cattabriga. Volevamo aspettarla al varco. La disobbedienza agli ordini è un’infrazione punibile con una sanzione disciplinare, ma la violazione di domicilio è un reato da codice penale…

— Non vedeva l’ora di sbarazzarsi di me, vero commissario?

— Lei dimostra di essere uno stronzo anche in questo frangente. Per che cosa ha preso la polizia, per un telefilm di Starsky e Hutch?

Cattabriga glissò i complimenti del superiore e chiese con ironia:  — Perché allora siete entrati, visto che non volevate commettere una violazione di domicilio?

Improta scosse la testa sorridendo. —  Abbiamo sentito delle raffiche di mitra. Il resto se lo può immaginare.

— Immaginare cosa? Avete scoperto…

— Sì, ispettore. Ci prende per dei cretini? Abbiamo visto la grata dell’aria socchiusa con il tubo della condotta spostato,  e siamo risaliti fino al covo di quel furioso criminale. Ci abbiamo messo un po’ a capire cosa voleva dire quel bel mucchio di pistole fissate ai muri e quei monitor agli infrarossi. Quando l’abbiamo capito non volevamo crederci. Era ingegnoso quanto pazzo, vero, il Mutolo?

Yuri annuì debolmente. — Ingegnoso il modo di agire. Usciva dalla sala giochi per una manciata di minuti, con la scusa di andare a prendere un panino o un caffè, entrava nell’appartamennto sopra al labirinto…

— Abbiamo scoperto che lo aveva comperato durante i lavori di costruzione del Laser game — lo interruppe per un attimo Improta.

Yuri proseguì: — Da lì sceglieva le vittime guardando i monitor e gli sparava azionando la pistola corrispondente all’area inquadrata. Poi, come se niente fosse, tornava dal collega con il suo bravo sacchetto di sandwiches.

— Bravo ispettore. Aveva già capito tutto.

Cattabriga fece un mezzo sorriso ironico. — Non ci voleva poi molto. La cosa pazzesca è che il Mutolo mi ha voluto spiegare tutto il suo piano per filo e per segno.

L’ispettore raccontò al suo superiore la chiacchierata allucinante fatta con Ciro e il progetto insensato della grande mattanza. Improta alla fine commentò: — Eh, i meandri imperscrutabili della mente di un pazzo… valli a capire.  Certo che per studiare una trappola così geniale e incredibile, ci vuole una mente perversa all’ennesima potenza.

— O un giallista cretino — aggiunse Cattabriga. — No, Improta. Il suo gioco non avrebbe potuto continuare per molto. Mutolo aveva un’intelligenza fuori dal normale, ma una psicosi limitata a produrre effetti immediati alle sue azioni. Un serial killer che si rispetti non commette crimini di corto respiro. Fa piani arditi, gioca con la polizia, ma stando sempre ben attento a non lasciare tracce, se non quelle volutamente fuorvianti. O tutt’al più si fa catturare solo se è lui a volerlo, in un delirio di onnipotenza che non concede al nemico neppure l’onore del merito.

Ma nel dire questo, Yuri ebbe come una fitta nel petto. C’era qualcosa che lo tormentava. Rivisse per un attimo la lotta con Ciro e le sue ultime parole gli suonarono nella mente come versi strani, afflati rauchi d’un moribondo. Lo inquietarono. — Sembrava quasi che il suo desiderio più vivo fosse dimostrare a me, a un avversario, quanto fosse bravo, in un delirio di narcisismo ossessivo.

— Comunque — concluse il commissario, — l’importante è che il caso sia chiuso.

Cattabriga annuì sorridendo. — Stavolta i grandi capi non si possono lamentare.

— No di certo — rispose Improta. — Peccato però che per individuare eventuali suoi complici abbiamo mobilitato un centinaio di agenti, facendogli fare irruzione un po’ bruscamente in qualche decina di appartamenti. Praticamente tutto il palazzo, tre numeri civici.

— Sembra che lei ci prenda gusto a rompere i coglioni alla gente.

— Si riposi Cattabriga — tagliò corto il commissario, — si riposi sui suoi allori, visto che la sua brillante operazione l’ha fatto diventare il grande eroe per tutte le televisioni e i giornali del paese. Guardi qua! — E mostrò all’ispettore i quotidiani di due giorni prima. Avevano titoloni cubitali, tutti sul tono: “Intrepido ispettore di polizia salva ragazza da folle e risolve il caso della sala giochi”.

Yuri li lesse velocemente con un certa indifferenza. Sentì che non gliene fregava nulla. Commentò soltanto: — Un bel colpo per la nostra squadra.

— Un bel colpo per lei, Cattabriga! ora saranno costretti a promuoverla.

Quest’ultima frase Improta la disse con un po’ di risentimento. Grazie alle sue tesi sbagliate, sapeva di non uscirne bene. Aggiunse con una punta d’astio: — Da una sicura incriminazione per disobbedienza ai superiori e violazione di domicilio, a una veloce carriera nella Pubblica Sicurezza: non c’è male!

— È la vita, commissario — rispose un po’ sornione Yuri.

— È la vita — gli fece di rimando Improta.

— Che ne sarà ora del Laser game?

— Beh, è lì. A tutti gli effetti l’impianto e i locali sono di proprietà degli eredi di Mutolo e del ciccione. Comunque lo abbiamo fatto sigillare.

In quel momento entrò l’infermiera. — Ora basta commissario, me lo sta stancando troppo. — Poi rivolta all’ispettore: — Il paziente ora si farà un bel sonnellino.

Cattabriga s’addormentò un quarto d’ora dopo, mentre nella sua mente si accavallavano la voce di Ciro, i brontolii di Improta e le risate di Silvia.

 

22.

Le settimane di convalescenza per l’ispettore trascorsero noiose e lente, tra programmi demenziali nel piccolo tv a colori, frutto di una colletta in questura e visite di amici, parenti, colleghi. Venne a trovarlo anche Eva. Gli regalò una collanina di corallo che aveva fatto apposta lui. Gli disse che era pronta a ricominciare tutto, che era diversa, che era cambiata, che ora però stava per partire con degli amici per il Nepal, che quando sarebbe tornata, allora…

Yuri girò la testa verso la finestra. In pochi istanti comprese la distanza che ormai li separava, un abisso incolmabile.

Sì, tante cose sono cambiate, Eva. Neanche te le immagini. Parti, Eva, parti. E torna possibilmente la settimana che ha due giovedì.

Silvia venne a trovarlo il pomeriggio di un sabato, quando lui era ancora sotto stretta osservazione. Era venuta per salutarlo, ma lui dormiva. Quando glielo dissero, si trattenne a stento dal tirare un pugno sulla spalliera del letto. E ora non poteva chiedere di lei. Improta non aveva spifferato certo la cosa ai quattro venti. Ma ora che lui era al centro d’un caso clamoroso, la stampa non avrebbe certo mangiato la foglia.

Già, la foglia. Fumarsi qualche foglia con la piccola a casa sua, come quella sera. La foglia. La voglia. La voglia del sapore della sua pelle, dei suoi seni, della sua piccola lingua calda dolce e metallica insieme, la voglia della sua bocca.

Aveva desiderio di lei, ma paura del sentimento che si era fatto strada nella coltre del suo cinismo disincantato come un fiore insolito, nato troppo tardi. Tre settimane, sono passate tre settimane? Sì tre settimane. E non viene. Mettiamoci una pietra sopra, sì un bel masso definitivo.

Fu una mattina, dopo due mesi di degenza, che entrò. Entrò nella sua stanza con Stefano. Yuri spense il suo sorriso iniziale in uno sguardo interrogativo, quasi diffidente verso il ragazzo.

— Ciao — disse lei, come se si fossero lasciati ieri

— Ciao — rispose lui.

— Ciao — disse Stefano con voce un po’ stentata. Il ragazzo aveva davanti a sé il suo persecutore, forse il più comprensivo, quello che non aveva creduto alla tesi della sua colpevolezza, ma pur sempre persecutore, o più semplicemente sbirro.

Per un attimo fu il silenzio. Lo ruppe lei: — Sai, ero venuta da te prima di uscire, ma…

— Ma dormivo — concluse Cattabriga scuotendo la testa con un mezzo sorriso pacato.

Silvia annuì. — Dormivi.

Lo fissò per pochi istanti, poi si scosse. — Ah, è vero. Ti abbiamo portato questo.

Tirò fuori dal suo zainetto un piccolo pacco. Yuri lo prese e lo tastò con aria interrogativa. — Cos’è?

— Indovina! — rispose lei.

— Indovinare i regali non è mai stato il mio forte.

Scartò il pacco, cercando di non rompere la carta, come volesse conservare tutto di lei, anche le più piccole cose, anche quello che si deve buttare via.

Ne uscì una maglietta inscatolata. La svolse: era piena di spille, spillette, strass, tutti attaccati al corpo caricaturizzato di una donna in hot pants e body. Un inno al peircing. — E questa dove la indosso, in Questura?

— La metti per venire da noi quando ci sono dei casini a scuola — disse Stefano.

— Non sono mica della Digos — commentò Yuri con scherzoso risentimento. Poi guardò Silvia dritto negli occhi. Lei lo fissò a sua volta. Yuri sentì un rimescolo al petto. La ragazza si distaccò velocemente da quello sguardo, abbassando il viso. Non per pudore, no. Era un addio. Tornò a guardarlo con un sorriso diverso.

Yuri scosse impercettibilmente la testa in segno di assenso. Avrebbe voluto dire: sì, è meglio così, non poteva funzionare. Avrebbe voluto stringerla e salutarla. Ma quella dolce straordinaria sbarbina era più saggia di lui. Non era un vaffanculo detto sulle scale di un liceo, tra un libro di matematica e un pacchetto di marlboro da dieci. Non erano quattro abbracci piagnucolosi e poi via, la settimana dopo con un altro e un’altra, a memoria zero, e altri pianti, altri vaffanculo. Non era nulla di tutto questo. Lo sapevano tutti e due.

— Ispettore — disse Stefano un po’ confuso, — la volevo ringraziare.

— E per cosa?

— Lei non ha mai creduto neppure per un istante alla mia colpevolezza…

— Io non credo a nulla Stefano. Ragiono. E all’inizio ho pensato anche all’ipotesi della tua colpevolezza.

Poi, Yuri lo fissò un istante, raccolse tutta l’aria da sbirro che poteva fare dentro quel pigiama padellato, in quella stanza di Chirurgia Due ed esclamò: — Ho fatto il mio dovere.

Silvia prese per mano Stefano e disse: — Beh, dobbiamo andare.

— Andate ragazzi e mi raccomando… — ma la frase restò lì, nella sua bocca, appesa al labbro. Scoprì in un istante che non sapeva cosa raccomandargli. Era una frase fatta, nata solo dallo sforzo di recitare la parte dello sbirro fino in fondo.

Silvia sorrise ironicamente. — Mi raccomando tu. E quando non sei di servizio vieni pure a trovarci. Magari fumiamo qualcosa insieme.

Stefano si girò verso di lei con aria interrogativa, mentre il cuscino arrivava in faccia a tutti e due.

— Via di qua! — esclamò Cattabriga ridendo. Ma quando le voci e le risate dei due ragazzi si persero in fondo al corridoio, il suo sorriso si era già trasformato in una smorfia amara.

 

 

(Fine della dodicesima puntata, la prossima: domenica 26/05/2019)

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