di Nico Maccentelli

(Capitolo 19)

19.

Doveva condurre quell’indagine a modo suo. Sapeva che quello che stava per fare, soprattutto dopo il suo esonero, non solo gli sarebbe costata la carriera, ma sarebbe anche potuto finire in galera e per un bel po’.

Quando arrivò sul posto si guardò attorno con fare circospetto. Erano le due di notte e la porta del Laser game chiusa da una serranda a maglie larghe e con la grande insegna giallo fosforescente sembrava l’ingresso d’un antro demoniaco. O più semplicemente una presa in giro costruita apposta per far fare le nottate insonni a un onesto ispettore di polizia.

Cattabriga si guardò attorno con circospezione. Quello che stava per fare era tutt’altro che regolare. Se le sue intuizioni non erano giuste, sicurosicuro si giocava il posto. La serranda non aveva più i sigilli della procura.

Però, quante cose accadute nell’arco di poche ore. Il secondo omicidio a scombinare le belle congetture di Improta, l’intervento del questore su pressione delle solite associazioni di categorie sifacesseroicazziloro, proprio quando ci stavano arrivando a capo. E Silvia. Quella sbarba che l’aveva stregato e che ora era diventato un chiodo fisso nella sua testa, impossibile da estrarre, impossibile da tenere.

Frugò in una tasca del giubbotto e afferrò il passe-partout. Dopo tutto se l’era cercata lui, le aveva dato corda sin dall’inizio, era andato in quel fottuto liceo, l’aveva invitata a bere qualcosa. Anche se non si sarebbe mai aspettato una reazione così diretta da parte della ragazza.

Infilò il passe-partout nella toppa della serranda. Ah, le ragazze d’oggi, sanno sempre ciò che vogliono. O forse no. Anche in questa vicenda c’era qualcosa che gli sfuggiva.

Fece scattare la serratura e si guardò ancora in giro. Non c’era nessuno. Bene. Con un colpo rapido sollevò di scatto la serranda. Il rumore che fece gli sembrò amplificato dalla violazione che stava commettendo.

E uno. Ora c’era la serratura della porta a vetri. I napoletani non avevano installato alcun allarme. Meglio. Armeggiò ancora per qualche istante, poi la porta cedette. Entrò rapido. Doveva fare le cose velocemente. Qualcuno poteva notare la serranda aperta, magari dei vigilanti, e sarebbero stati guai seri.

Fece qualche passo e accese la torcia. Dunque, l’arena è laggiù. Percorse velocemente l’atrio e arrivò fino alla porta che dava accesso al campo di gioco. Bene, è aperta. Il dedalo di muri neri gli sembrava ancora più sinistro, così, spento nell’oscurità.

Cercò il punto preciso dove era avvenuto il primo delitto, quello di Luca. Chi cazzo si ricorda… Poi gli venne in mente che il luogo dov’era avvenuto il secondo delitto doveva avere ancora il gesso della silhouette della vittima.

Infatti: eccolo lì. La sagoma disegnava un corpo piegato. Sembrava il graffito di qualche antica e misteriosa civiltà. In realtà era la mano di Menozzi, esperto della scientifica ed esperto rompicoglioni, scientifico anche in quello. Lui e le sue collette pro-tutto, le sue feste noiose, il re del dopolavoro. Uno scassaballe, ma bravo nel suo lavoro. Molto. 

Altezza dei corpi: uno e settantacinque tutt’e due. Una coincidenza favorevole. Speriamo. Tirò fuori un metro e misurò sul muro di fianco alla sagoma un metro e settantacinque dal suolo. Segnò il punto con un gesso. 45 gradi…

Si avvicinò al muro opposto e lo scrutò attentamente. Era liscio. No, no non va, deve pur esserci qualcosa… perlustrò l’interstizio che univa i due pannelli. “Accidenti, non ho portato una scala!” pensò. Guardò in alto, verso la fine del muro. 45 gradi significano che il punto di partenza dello sparo poteva essere lassù.

Udì uno scalpiccìo lontano. “Merda! hanno visto la serranda aperta!” Spense subito la torcia e afferrò istintivamente la pistola. A chi cavolo sparo, a un vigilante? No, gli consegno l’arma e tanti saluti. Ma poteva anche essere quel fetente di Ciro.

I passi ora erano più vicini. S’acquattò. Pronto a balzare agli onori della cronaca o a cambiare mestiere.

Pochi metri ancora, i passi erano dietro il pannello di plexiglas nero di fronte a lui. Appena vide la figura saltò fuori dall’angolo, accese di colpo la torcia e puntò la pistola. — Polizia!

— Aaah! — Silvia fece un salto indietro. Cattabriga vide il bianco dei suoi occhi e la bocca allargata in una maschera di terrore.

— Che spavento! sei proprio uno stronzo!

L’ispettore era furente, ma non tanto da non notare la sottanella corta di jeans, che dava alla ragazza un’aria ancora più infantile. — Silvia, che ci fai qua!

La ragazza si portò una mano al petto, riprese fiato e disse: — Anche se sapevo che qui dentro c’eri tu, mi hai fatto prendere proprio un bello spago!

Cattabriga imprecò, poi, facendosi forza per non perdere la pazienza, chiese: — Come sapevi che ero qui?!

— Semplice: ti ho seguito.

— Mi hai seguito?!! — Yuri non riuscì a trattenersi e tirò un pugno su un pannello. —  E come hai fatto?!

— Con lo scooter. Ho aspettato che tu uscissi dalla centrale.

Cattabriga provò una certa ammirazione per la piccola, ma si sentì anche un discreto coglione. Il che lo fece arrabbiare ancora di più. La afferrò per un braccio. — Ma cosa credi, che io stia qui a giocare a guardie e ladri?

Silvia si divincolò e lo guadò in cagnesco. — Di ladri, anzi, di assassini ne vedo pochi. In compenso vedo uno stronzo.

— Silvia, non sto giocando.

La ragazza proseguì come se non l’avesse sentito. — Vedo uno stronzo che mi ha scopata, che si è divertito e mandata affanculo.

“Che faccia tosta la ragazzina!” pensò l’ispettore.

— Silvia, non sto giocando!

— Hai giocato! sì, hai giocato!

Yuri mise una mano sulla bocca della ragazza. — Zitta! — le intimò. Rimase un attimo in ascolto. Forse aveva sentito qualcosa. Uno strano ronzio.

Silvia mugolò per un istante, ma sopportò di buon grado quella mano grande. Gli alitò sopra delicatamente, scostò le sue labbra e gli leccò con dolcezza il palmo con la punta della lingua.

Cattabriga ebbe un sussultò e scostò la mano. — Zitta — disse ancora, ma stavolta con un sussurro che non poteva celare un certo turbamento.

Sentì una vibrazione metallica, giungere da un punto remoto. — È una tubatura dell’acqua chissà dove — concluse.

Tranquillizzatosi, ripose la pistola nella fondina. — Senti, rimandiamo la nostra questione a dopo…

— Davanti a un buon caffè. O forse vuoi giocare ancora?

— Mi sembra che ci fossi anche tu a giocare. Anzi se ben mi ricordo l’idea è partita da te, o sbaglio?

La ragazza ebbe uno scatto insofferente.

— Comunque sia, Silvia, ora in ballo ci sei anche tu e mi devi aiutare.

— Mago Zurlì ha bisogno della piccola bimba?

Yuri le fece una smorfia e indicò la parte alta del muro in pietra. — Sì. Dovresti salire sulle mie spalle e dirmi cosa noti là sopra, tra i due blocchi di pietra, dentro l’interstizio.

— Sì buana! — rispose Silvia imitando la voce di un africano.

Si chinò flettendo le gambe. La ragazza gli afferrò le spalle da dietro e con un salto gli fu sopra. Strinse subito il collo dell’uomo con le cosce, prendendo la torcia che lui le porgeva.

— Guarda a venti centimetri circa dal soffitto — le suggerì Yuri, sollevandosi lentamente. Sentiva quellacosa tenera e viva tra capo e nuca. Al tatto poteva distinguerne la forma. Qualche pelo soffice usciva dalle mutandine facendogli il solletico sul collo. Anche l’odore era intenso. Ebbe una vertigine. Barcollò.

— Ma che fai! — strillò Silvia. La torcia piombò a terra fracassandosi e tutto divenne buio.

— Porca troia! — smoccolò Cattabriga appoggiandosi al muro per diminuire il carico che aveva sulle spalle.

— Forse sono troppo pesante — osservò con ironia la ragazza.

“Cinquantotto chili di gnocca sulle spalle! altro che peso!” Cattabriga si trattenne dal dirlo.

— Adesso siamo nella merda — concluse.

— Ho io un accendino.

— Meglio di niente. Passamelo che voglio vedere com’è messa la torcia.

Silvia si frugò un attimo in tasca e l’allungò all’ispettore.

— Uno zippo…meno male. — Accese. La pila giaceva come una povera bestia inerte, col vetro rotto. Era uscita persino la lampadina. Un danno irreparabile. — Bene! — gridò Cattabriga. — Dovremo controllare il muro con l’accendino.

Ripassò lo zippo acceso a Silvia. — Sei pronta?

— Se tu non fai altre stronzate, sì.

Ancora una volta gli sembrò di sentire un ronzio.

— Non c’arrivo! — disse la ragazza.

— Sali coi piedi sulle mie spalle.

La ragazza eseguì.

— Vedi niente?

Silvia scrutò la parte finale del muro e vide, quasi verso il soffitto, un piccolo foro.

— C’è un buco!

Yuri si girò di scatto. Un altro ronzio. — Grande come?

— Boh, non so. Forse mezzo centimetro.

— Come supponevo. Vieni giù. — L’ispettore aiutò la ragazza a scendere, sentendo tutto il corpo di lei che scivolava sul suo.

Rimasero un attimo abbracciati l’uno all’altro, a guardarsi nel tenue pallore giallognolo dello zippo. Cattabriga prese l’accendino tra le mani. — È come pensavo. Il colpo di pistola è uscito da lì. L’assassino, che a questo punto dev’essere proprio Ciro Mutolo, ha agito non dentro il labirinto, ma fuori. Deve esserci un ambiente qui dietro.

— Piuttosto grande — constatò Silvia, — perché la distanza tra i due luoghi degli omicidi è almeno di trenta metri.

Yuri allungò l’accendino verso la parte alta del muro.

— Comunque Ciro è fregato. Questa volta neppure il ministro in persona potrà impedirmi di tornare qui con un mandato di perquisizione esteso a tutto il palazzo.

— Perché Ciro?

— è un discorso lungo.

— Bene caro il mio ispettore, dovresti ringraz…

— Zitta!

Yuri bloccò la ragazza e rimase un attimo in ascolto. — Hai sentito anche tu?

— Sì, questa volta il rumore era chiaro.

— Non riesco a capire cosa possa essere, ma di sicuro non una tubatura. E ora è più vicino.

— Cosa può essere?

L’ispettore non le rispose, ma la squadrò come per saggiarne le caratteristiche fisiche.

— E adesso cosa c’è? — chiese lei. — Cos’è quello sguardo penetrante. Ti sembra il momento di…

— Mi sto chiedendo se le tue spalle sono in grado di reggere il mio peso.

— E come no! Di bestioni di ottanta chili me ne carico tutti i giorni!

Gli occhi del poliziotto ebbero un lampo ironico, e colse l’occasione. — Sì, vorrei proprio sapere quanti.

— Stronzo! E poi se speri che io…

— Poche storie, ladygodiva — tagliò corto Yuri, soddisfatto per la reazione della ragazza. — Unisci le mani e chinati.

Silvia eseguì brontolando qualche insulto. L’ispettore appoggiò il piede sulle dita intrecciate della ragazza e fece leva col ginocchio. Poi con l’altro piede salì su una spalla di lei. — Se ti appoggi al muro fai meno fatica.

Quando fu sopra la ragazza con entrambi i piedi, avvicinò l’accendino verso l’interstizio. E vide il piccolo buco. — Eh sì, qui ci passa giusto giusto un calibro trentotto. Vediamo l’interno.

— Fa attenzione! — esclamò Silvia.

Cattabriga introdusse il polpastrello del mignolo dentro il foro. — Metallo! è una vera e propria canna…

Questa volta il ronzio fu più forte delle altre volte.

Si girò di scatto verso la fonte del rumore. A pochi centimetri da lui vide un tubicino alla cui fine una lente convessa lo fissava come un occhio asettico e perfido.

— Una microtelecamera! — esclamò.

Il tubicino tornò a ronzare, muovendosi come un piccolo mostro metallico.

Ora la vedeva anche Silvia. — Una microtelecamera?!

— Sì! siamo stati spiati sin dall’inizio! — confermò l’ispettore. E aggiunse: — Tienimi!

Appoggiò le mani per un istante al muro per coordinare il salto che stava per fare.

— Gne! ble! stronzo, porco! — gridò Silvia verso l’obiettivo con smorfie e boccacce, e alzò il dito medio della mano destra mentre appoggiava la sinistra all’interno del gomito, dove solitamente si tiene il manico dell’ombrello chiuso.

Yuri si trattenne un attimo dal lanciarsi. — Ma ti sembra il modo, accidenti!

— Quel pezzo di merda ci sta sicuramente guardando! — E proseguì con gli sberleffi.

— Silvia, ma non capisci che potrebbe…

Il sibilo fu forte e qualcosa sfiorò un orecchio di Cattabriga, che perse l’equilibrio e cadde sul fianco. Fu di nuovo buio. Aveva un’anca e una spalla doloranti.

— Yuri!  dove sei! ti sei fatto male?

— Accidenti, ha sparato! Silvia, dobbiamo uscire al più presto di qua! L’accendino, aiutami a cercare l’accendino!

Di colpo si accese la luce giallognola fosforescente dell’impianto.

— Ci vuoi vedere bene, eh bastardo? — urlò Cattabriga.

La ragazza gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi. Ma lui la strattonò verso il basso. — D’ora in poi non alzarti più in piedi, hai capito?! Chissà quanti buchi ci sono, pronti a sparare.

Silvia si strinse al suo collo. E per un attimo lui sentì la sua guancia sfiorargli l’orecchio. La prese per mano. — Vieni, seguimi. Stai chinata come me.

Iniziarono a percorre il dedalo di muri e pannelli. Partì la musica del Laser game: una miscela psichedelica di suoni elettronici, che ora davano un tono ancora più sinistro al labirinto.

Svoltarono un angolo. Partì un altro botto. Il proiettile sibilò sulla loro testa e rimbalzò sul muro di fronte. — Merda! — gridò la ragazza — ci vuole fare la pelle!

Sopra di loro, in ogni corridoio, le telecamere scrutavano verso il basso, come bestie riportate alla luce da nascondigli remoti. Qualcuna si muoveva come un cobra col capo eretto, che gira seguendo la preda, pronto a scattare.

Yuri guardò a destra e a sinistra con aria confusa.

— Dov’è l’uscita!?

Un altro colpo partì, trapassando un pannello di plexiglas e sibilando a non più di venti centimetri dalla testa dell’ispettore.

Fecero ancora una svolta, ma si trovarono in un vicolo cieco. Tornarono indietro, ma un altro colpo fracassò una finestrella di plastica trasparente, passando proprio in mezzo a loro, appena sopra le mani unite. — Passa sotto alle feritoie!! Ci vede anche da lì!

— Benvenuti al Laser game, per un’altra indimenticabile battaglia! — gracchiò una voce registrata da un altoparlante. — Siete pronti per il combattimento? … Sì? …Allora che vincano i migliori!

Silvia quella voce anonima e metallica, l’aveva sentita tante volte, tante volte aveva percorso quei cunicoli, con il fucile laser in pugno, alla ricerca dei suoi amici. Ma poi, alla fine si usciva sudati, si commentavano i punti fatti e si tornava a casa. Ora lì dentro stava vivendo un incubo.

— Forse l’uscita è di là! — gridò Cattabriga, vedendo un aumento di luce in fondo, appena girato il corridoio che stavano percorrendo. Un altro colpo partì da uno dei buchi, rimbalzò sul muro ed entrò nel suo giubbotto. L’ispettore urlò piegandosi su se stesso fino a toccare la testa al suolo.

— Yuri!! — gridò Silvia.

— Sono stato colpito! — La spalla gli bruciava. Controllò.

Il proiettile aveva bucato gli indumenti, e tracciato un breve solco rosso e nerastro sulla pelle, come un ematoma.

La ragazza balbettò: — È… è grave?

— No, è di striscio.

Riprese la mano di Silvia e la trascinò per un’altra svolta. — Presto, dobbiamo andare verso quella luce! — urlò.

I due ripresero la corsa meno chinati, per prendere velocità. In fondo al corridoio svoltarono e furono investiti da un muro di luce e di fumo. A pochi passi da loro, la porta aperta dell’uscita.

— Dai! — gridò il poliziotto alla ragazza. Ma la falcata della loro corsa si faceva più incerta, e a ogni passo perdevano le forze. — Il fumo! — gridò Yuri con la testa che gli girava come in una giostra impazzita. Crollò a terra a due metri dalla porta.

Silvia si accasciò dietro a lui, rimase inarcata, per un attimo, sui gomiti e le ginocchia, col sedere all’insù e la sottanella alzata, cercando lo sguardo dell’ispettore. — Cazzo, che fumo questo! — Fu l’ultima cosa che disse.

 

(Fine della decima puntata, la prossima: domenica 12/05/2019)

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