di Giuditta Brattini

L’accesso alla striscia di  Gaza è come al solito sotto stretto controllo della sicurezza israeliana: verifica della validità del permesso entrata, controllo del contenuto valigia e metal detector. Una  successiva verifica del passaporto, qualche domanda sulle ragioni della visita a Gaza e poi passaggio attraverso tornelli e porte blindate. All’uscita prendo posto  su un piccolo bus che aspetta i pochi che riescono a entrare a Gaza e dopo  i successivi controlli passaporto da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese e dell’Autorità di Gaza, Hamas, qualche domanda su dove soggiornerò durante la mia permanenza, finalmente  sono nella striscia di Gaza.

Nel corso delle visite ai nostri bambini ascolto i racconti delle famiglie che parlano della difficile  situazione  in cui sono costretti a vivere: senza lavoro con conseguente dipendenza dagli aiuti umanitari, una quotidianità difficile  causa  i  tagli continui di energia elettrica, 6/8 ore al giorno e per  mancanza di acqua potabile, divieto di libero movimento e  paura di nuovi bombardamenti. I droni, “zanana” come li chiamano a Gaza, ronzano continuamente sulle teste dei palestinesi, determinando insicurezza perché quel ronzio i gazawi sanno bene che è uno strumento di morte. Alla povertà dei campi profughi  contrasta il benessere di altre aree, in particole in Gaza City, dove anche nelle ore di taglio dell’ elettricità   i generatori sono in funzione e nelle case si può condurre una vita “normale”.  Durante gli incontri con le famiglie dei nostri bambini sono stata informata che Islam affetta da epidermolisi bollosa, una malattia genetica rara definita ‘Sindrome dei bambini farfalla’ facendo riferimento alla fragilità della loro pelle, che causa dolore, disabilità esclusione sociale, era morta. Islam aveva 13 anni, era nel progetto Gazzella dal 2010,  e nella sua breve vita aveva vissuto 4 aggressioni armate e a causa l’assedio non aveva mai potuto curarsi come era nel suo diritto.  Islam era  minuta e fragile, ma una bambina sveglia e con tanta voglia di vivere. La mamma ha ringraziato per il sostegno e il sollievo che abbiamo portato in questi anni a Islam. Oggi l’associazione Gazzella,   presente in Palestina dal  2000,    segue  217 bambini e bambine con disabilità e  ferite; alcuni di questi sono di nuova individuazione perché feriti nel corso delle manifestazioni della grande marcia per il ritorno.

Nel corso della missione nella striscia di Gaza oltre alle visite dei bambini,  sono continuate le attività di monitoraggio e sostegno agli ospedali pubblici.

Situazione sanitaria

Lo scorso mese di febbraio  un appello del Ministero della salute di Gaza denunciava il rischio di una catastrofe per mancanza di  gasolio per i generatori degli ospedali; si calcola che per il funzionamento dei 13 ospedali pubblici della striscia sono necessari almeno 350.000 litri di gasolio al mese. Inoltre si denunciava l’ esaurimento del 30% dei medicinali e la necessita’ di strumentazioni per la diagnostica, la cura, e per interventi di chirurgia. Per circa due settimane si era resa necessaria la riduzione  di alcuni servizi sanitari di prevenzione e le scorte di gasolio erano state utilizzate per i  servizi essenziali quali dialisi, terapia intensiva, cure salvavita. Non ci sono state chiusure degli ospedali e grazie agli  aiuti economici di Ong e del Qatar, le attività sanitarie sono continuate. Nel frattempo all’ospedale  pubblico Al Rantisi è stato inaugurato il Dipartimento  per i tumori pediatrici, unica struttura  nella striscia di Gaza, donato  dal Palestinian Children s  Relief  Fund, P.C.R.F. Una struttura di 24.000 metri quadrati  con 15 posti letto per day hospital,  16 camere con bagno per ricoveri, 3 studi diagnostici,  unita’ dentista, banca del sangue,  farmacia e postazioni per le visite.
Secondo i dati riportati dal Ministero della Salute Palestinese, i bambini malati di cancro che vivono nella Striscia di Gaza  sono 608. A Gaza  i tumori possono essere curati solo con farmaci chemioterapici, perché la  radioterapia non e’ disponibile. Tuttavia anche curarsi  con farmaci chemioterapici  e’ difficile e la cura limitata nel tempo,  perche’ causa l’assedio i farmaci non sono sempre disponibili. Dall’inizio dell’assedio israeliano, 2007, iI sistema sanitario pubblico di Gaza  con  grandi difficoltà   garantisce cura e   prevenzione. Dal 30 marzo 2018,  inizio delle manifestazioni i della Grande Marcia del Ritorno G.M.R., per  i tredici ospedali pubblici la situazione si è aggravata. Le strutture   sanitarie risultano inadatte a gestire l’ondata di feriti causata dalla violenta risposta israeliana contro i manifestanti e operano in  perenne emergenza sanitaria. Non sono disponibili  fissatori esterni per gravi traumi, materiali sanitari adeguati per curare lesioni vascolari, antibiotici. Mancano posti letto  perché i feriti hanno necessità di tempi più lunghi per le cure . Ad oggi sono state stimante  5.023 persone con ferite agli arti  e per  136 è stata necessaria  l’amputazione; per altre   543 le condizioni sono ancora critiche e dovranno sottoporsi alla ricostruzione degli  arti.  Questi casi richiedono più interventi  chirurgici, tempi  lunghi  di ospedalizzazione e di  riabilitazione.

In uno scenario di area di conflitto, come quello della Striscia di Gaza,   si deve anche parlare di  sicurezza sanitaria. Infatti la mancanza negli ospedali di acqua potabile, energia elettrica e carburante per i generatori significa non garantire  gli standard base di  igiene, rendendo così più facile la diffusione di  infezioni. Il personale medico e paramedico molto spesso non ha le adeguate condizioni igieniche per  lavare le mani e si registra la  carenza di materiali monouso quali guanti e il cloro per la disinfezione.  In questa situazione la sicurezza sanitaria è compromessa e sempre piu’ frequentemente si rilevano  superbatteri resistenti agli antibiotici con conseguenti ritardi nella guarigione delle ferite, che in alcuni casi  rende necessaria l’amputazione degli arti.  Tutti i superbatteri presenti sulla lista dell’Organizzazione Mondiale della Sanità,  quelli che rappresentano la più grande minaccia per la salute umana,  sono  stati rilevati  in Palestina. Su indicazione del Direttore dello  Shifa Hospital,  con i contributi raccolti finalizzati all’aiuto degli ospedali pubblici sono state acquistate 205 confezioni eparina/clexane, farmaco per il trattamento  e prevenzione dei  problemi di coagulazione.  Le richieste e le necessita’ rappresentate dal direttore del Shifa Hospital sono molteplici; è stato scelto l’acquisto di un farmaco a stock zero quale  eparina/clexane,  che  oltre ad essere tra i farmaci più efficaci e sicuri per gli  specifici usi, e’ sull’elenco dei farmaci essenziali per l’Organizzazione Mondiale della Salute.

Nel corso della missione sono state monitorate le attività del dipartimento maternità dello Shifa Hospital. Lo scorso anno l’Associazione Gazzella ha donato  due cardiotocografi    per la misurazione della frequenza dei movimenti  fetali e le contrazioni uterine. Da  informazioni assunte dal Direttore del dipartimento, nel corso del 2018 sono nati 13.706 bambini  di questi 9.900 con parto normale e 3.806 con taglio cesareo. I casi dei bambini nati morti sono stati 112, mentre nel centro neonatale 251 sono deceduti dopo la nascita; 52 bambini sono nati con malformazioni congenite e 31 neonati con organi genitali non sviluppati.

Vita a Gaza

Nella striscia di Gaza su una superfice di 360 kmq abitano circa  2.000.000 di palestinesi di cui il 56 % sono bambini;  quasi l’80% delle famiglie è in povertà e il 74% sono rifugiati che vivono con gli aiuti dell’Unrwa. Da dodici  anni la popolazione della striscia di Gaza è sottoposta all’ assedio,  l’assedio più lungo della storia contemporanea, tanto che il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres ha definito Gaza “una prigione a cielo aperto”. Il diritto alla libera circolazione  è negato: i border di Rafah, sotto controllo egiziano, e quello di Erez, sotto controllo israeliano, sono sigillati. Sono rare le possibilità di attraversarli e comunque  non prima di aver ottenuto speciali permessi che richiedono tempi lunghi per ottenerli. Non si possono muovere i malati che necessitano di cure in ospedali fuori  Gaza, gli  studenti che vogliono frequentare scuole  all’estero; questa è una chiara  negazione dei diritti umani alla cura, all’ istruzione e alla libertà di  movimento.

Le attività industriali e commerciali sono  impedite dal blocco  militare, determinando   una paralisi dell’economia e come indicato dalla Federazione Generale dei Sindacati del Lavoro Palestinesi   il tasso di disoccupazione nella Striscia di Gaza è raddoppiato da quando, 12 anni fa, Israele ha posto l’ assedio con il blocco territoriale, marittimo ed aereo. Inoltre circa 5.500  infrastrutture industriali, che impiegavano migliaia di lavoratori a Gaza, sono state distrutte nel corso degli attacchi.

Il salario medio mensile a Gaza è tra i 300/500 dollari mensili. Si lavora   nel settore pubblico, alle dipendenze dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e  di Hamas,  poco nel    privato, e nell’agricoltura e pesca.

Per i dipendendi pubblici di Hamas, da quattro anni  il salario è ridotto del 40%-50% pagato ogni 50 giorni, mentre i dipendenti  dell’ANP, da qualche mese, ricevono  lo stipendio   ridotto del 50%.

A Gaza in passato erano presenti  colture di ulivi, mandorli, alberi da agrumi, vigneti e altri alberi da frutta tanto da poter destinare la produzione anche per l’esportazione. Oggi per i  contadini che hanno la terra vicino al border, la cosidetta zona cuscinetto lungo la recinzione che circonda Gaza, è molto difficile  lavorare perchè le forze di occupazione israeliane operano  liberamente nell’area che va dai 300 mt. a 1.000 mt. dalla recinzione.

In queste aree l’esercito israeliano attacca i civili,  distrugge le abitazioni e le coltivazioni.

Secondo un rapporto dell’Onu oltre il 45% delle terre coltivabili di Gaza si trovano in una zona definita ad «alto rischio».

Non riuscendo a fermare le aggressioni dell’esercito israeliano contro i contadini, nel 2015  è stato stipulato   un accordo  tra Comitato Internazionale della Croce Rossa presente a Gaza  e Forze di Occupazione Israeliane. Nell’accordo si prevede   che le colture destinate all’area fino a 300 mt a ridosso della linea di confine  riguardino la produzione di seminativi ed orticole che raggiungono  l’altezza max di  70 cm (es. orzo, frumento, ortaggi vari). Le colture invece che interessano la terra inserita tra i 300 mt e i 1.000/3.000 mt. dalla linea di confine  possono avere un’altezza superiore ai 70cm. (es. mais) purchè non siamo piante a fusto.

Per gli agricoltori significa  ricorrere ad un’agricoltura di sussistenza rinunciando al reimpianto  di altre colture  che erano  presenti in passato, quali agrumi e ulivi.  Tuttavia anche in presenza di tale accordo per i contadini è impossibile  lavorare la propria terra, molto spesso le coltivazioni vengono distrutte dai bulldozer e gli attacchi armati da parte dell’esercito rendono insicuro il lavoro dei contadini che  rappresenta l ‘unica fonte di sostentamento per intere famiglie.

I pescatori gazawi  invece non hanno alcun controllo sulle acque territoriali e non possono superare le 3 miglia nautiche, anche se  il limite dell’area consentita per la pesca, fissata nell’accordo del 2012,  è di 6 miglia nautiche. Israele non ha mai rispettato l’accordo e in qualunque momento i pescatori  possono essere attaccati,  feriti, arrestati, uccisi e le loro  imbarcazioni sequestrate.   Sono più  di 75mila le persone che basano la loro sussistenza sulla  pesca.

A Gaza quasi il 90% dell’acqua, causa  l’alta  componente di salinità,  non rispetta gli standards stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Salute.  Inoltre  le falde acquifere nella Striscia di Gaza sono contaminate da acque reflue che non vengono trattate per la carenza di energia elettrica e per la  mancanza di adeguate  infrastrutture,  come le reti fognarie. Sono in aumento le malattie causate dall’inquinamento  per la presenza nell’acqua di alte percentuali di  fertilizzanti e pesticidi, di nitriti,  nitrati, cloro e oligoelementi. E’ altrettanto preoccupante  la contaminazione dell’acqua causa  gli   alti livelli di alluminio e di altri metalli, contaminazione che  è verosimilmente riconducibile alle armi utilizzate duranti gli attacchi  dell’esercito israeliano. (Journal of Water Resource and Protection Water Quality in the Gaza Strip: The Present Scenario)

Negli ultimi anni 11 anni  la popolazione  di Gaza ha subito  tre aggressioni armate da parte dell’esercito israeliano:

27 dic. 2008-19 gen. 2009 “piombo fuso”  1.285 morti di cui 280 bambini e 4.336 feriti di cui 1.133 bambini; 

14-21 novembre 2012 “colonne di nuvole”  170 morti e 1.222 feriti di cui 431 bambini;

8 luglio-26 agosto 2014 “margine protettivo”  2.260 morti di cui 580 bambini e 10.193 feriti di cui 3.084 bambini.

Migliaia di case distrutte, decine  di  scuole e ospedali danneggiati e decine di  infrastrutture distrutte.

Nel corso dell’ aggressione del 2014 “margine protettivo” è stato stimato che  le forze israeliane hanno utilizzato  21.000 tonnellate di materiali esplosivi, l’equivalente all’utilizzo di 2 bombe atomiche.

Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme: entro il 2020 la Striscia di Gaza potrebbe diventare “inabitabile”.

Le ragioni delle proteste: la Grande Marcia del Ritorno

Con la Grande Marcia del Ritorno, G.M.R.,  voluta da una coalizione di forze politiche palestinesi, dalla società civile e dalle ONG palestinesi,  si  intende  portare all’attenzione della Comunita’ Internazionale le condizioni di povertà, miseria e violenza nelle quali è  costretta a vivere la popolazione di Gaza a causa dell’assedio israeliano  e rivendicare il diritto al ritorno.

Il diritto al Ritorno è presente nella Risoluzione n. 194 del 1948,  dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, là dove definisce i principi sulla “regione Palestina” e al suo articolo 11 traccia i criteri  riferiti al diritto del ritorno dei rifugiati palestinesi.

Sebbene la Risoluzione 194 sia stata  emanata da un organismo ,quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che da pareri  non vincolanti cioè  raccomandazioni, tuttavia  il Diritto al Ritorno trova ragione nella legge Internazionale che definisce che tutti gli  individui hanno il diritto di tornare ai propri paesi d’origine e nelle loro case  dalle quali ne sono  stati allontanati in seguito a circostanze di cui non erano responsabili o ne sono stati forzatamente espulsi.  Il diritto al ritorno fa parte quindi dei diritti umani riconosciuti a  tutti gli individui.    Il documentato possesso della proprietà  è esigibile sempre e oggi lo stato di Israele rappresenta lo Stato di origine dei rifugiati palestinesi, perche’ li’ insistono le case e le terre di  proprieta’  dei rifugiati. Non riconoscendo il diritto al ritorno, Israele sta  violando   la  direttiva del Diritto Internazionale. Violazioni  di tale portata e gravità  devono essere  un richiamo per  la comunità internazionale  ad agire al fine di  ripristinare il diritto. Quindi  la Risoluzione Onu n. 194 , seppure non vincolante nelle sue raccomandazioni trova applicazione nei principi  del Diritto Internazionale: diritto  al ritorno di ogni individuo,   che  cammina a fianco del  diritto ‘collettivo’  all’ autodeterminazione.

Nel 1948  la popolazione dei rifugiati,  che con la forza furono costretti ad abbandonare la loro terra e la loro casa,  era di  almeno 700.000 persone, un numero  che e’  cresciuto e che oggi si stima di circa 5 milioni.  L’Unrwa l’Agenzia  per i rifugiati palestinesi svolge un ruolo  umanitario: interventi sanitari, di educazione, di assistenza sociale. Trattandosi di aiuti umanitari  gli  interventi dell’Agenzia sono suscettibili alle variabili dello scenario politico e “l’affare del secolo” fa sentire i suoi effetti. Nell’ultimo anno sono state messe in discussione le attività  dell’Unrwa e tagliati parte dei finanziamenti.  Queste scelte potrebbero  portare al  collasso del sistema e dei servizi di base che nelle striscia di Gaza  riguardano  275 scuole e 22 cliniche mediche oltre a  piani di  sostegno al reddito, distribuzione di pasti e pacchi alimentari. Si stima che sono  circa 1.250.000  i gazawi   che sono assistiti  dall’Unrwa e che da dodici anni vivono sotto assedio.  Una  popolazione  che vive intrappolata, considerata e trattata da Israele come “animali”, privata della dignità, dei diritti universali,  “mantenuta” con il ricatto degli aiuti umanitari e  costretta ad una lenta morte. Da un anno, ogni venerdì, le famiglie palestinesi continuano a manifestare pacificamente ai confini tracciati illegalmente da Israele, ritrovandosi  in migliaia nei cinque luoghi di concentramento dal nord al sud  della striscia di Gaza, Rafah Al Nahda, Khan Younis Khuza’a, Middle area El Bureij, Gaza city Malaka, Gaza nord Abu Safiya. Le  famiglie arrivano con  macchine, carretti o in pullman. Sotto le tendopoli allestite dagli organizzatori,  a qualche centinaio di metri dalla recinzione, le famiglie socializzano, fanno pic nic e i bambini giocano. Gruppi di uomini, donne e bambini armati di bandiere palestinesi camminano  davanti alla recinzione, a dimostrare che sono vivi sebbene tutto, mentre  dall’altra parte  i cecchini dell’esercito israeliano,  rispondono alle pacifiche proteste con bombe gas e proiettili esplosivi.

Secondo le fondi del Ministero della salute di Gaza dal 30 marzo 2018 Israele ha assassinato  271 persone  di cui 44 erano bambini ,  feriti 16.658 di cui 2319 erano bambini. 2 i giornalisti uccisi. I numeri dei feriti riguarda solo le persone ospedalizzate, ma a  migliaia hanno dovuto ricorrere alle cure sanitarie causa le inalazioni di gas.  Pur in condizioni difficili, la macchina dell’emergenza sanitaria riesce a funzionare: le ambulanze della Civil Defence, Moh, PRCS, PMRS, portano i feriti nelle tende allestite a circa 2 km dalle recinzioni per le prime cure. Lì i feriti   vengono stabilizzati e successivamente trasportati negli ospedali. L’attività di assistenza nel corso delle manifestazioni è incessante e nelle ambulanze si  trasportano anche 2 o 3 feriti contemporaneamente. Il personale paramedico, riconoscibile dal simbolo della Croce Rossa o Mezzaluna Rossa, viene attaccato dall’esercito  israeliano  mentre svolge il  lavoro di soccorso.  Ad oggi 3 paramedici sono stati uccisi, 192 feriti e 82  mezzi di soccorso danneggiati, tutto ciò in contrasto con il Diritto Internazionale Umanitario,  la IV Convenzioni di Ginevra del 1949 e successivi protocolli aggiuntivi 1977-2005.

Da Gaza la societa’ civile chiede che si apra un’inchiesta per l’operato dell’esercito israeliano, identificando i responsabili delle violazioni; auspica che la Comunita’ Internazionale si assuma la responsabilita’ affinche’ le evidenze emerse siano oggetto di una indagine da parte della Corte Penale Internazionale (ICC) .

Una Commissione indipendente di indagine, istituita l’anno scorso dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ha indagato sulle possibili violazioni da parte dell’esercito israeliano,  dall’inizio delle proteste del 30 marzo 2018 fino al 31 dicembre.

Sono stata messe sotto la lente di ingrandimento alcune azioni violente subite dai partecipanti  alle iniziative della G.M.R.

183 uccisi di cui 35 bambini pari al 19%

6.106  feriti da armi di cui 940 bambini pari al 18%

1.576 feriti da frammenti di proiettili di cui 345 bambini pari al 21%

438 feriti da proiettili rivestiti di gomma di cui 124 bambini pari al 31%

1.084 feriti da bombe lacrimogene di cui 233 bambini pari al 22%

3 paramedici  uccisi e 192 feriti

2 giornalisti uccisi e 48  feriti.

Il rapporto diffuso dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, lo scorso mese di febbraio,  al Consiglio Onu per i diritti umani a Ginevra,  parla di “ragionevoli motivi per credere” che i cecchini abbiano sparato intenzionalmente a bambini e civili durante le manifestazioni  di Gaza nel 201.

Santiago Canton, presidente della Commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite ha dichiarato che “i soldati israeliani hanno commesso  violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario. Alcune di queste violazioni possono costituire crimini di guerra o crimini contro l’umanità. Più di 6.000 manifestanti disarmati sono stati feriti dai cecchini, settimana dopo settimana, nei luoghi della protesta”.

La commissione  ha trovato fondati motivi per ritenere che i cecchini israeliani abbiano sparato a giornalisti, operatori sanitari, bambini e persone con disabilità, sapendo che erano chiaramente riconoscibili come tali, specificando  che c’erano anche fondati motivi per ritenere che le truppe israeliane abbiano ucciso e ferito i palestinesi “che non stavano né partecipando direttamente alle ostilità, né ponendo una minaccia imminente”.

Sono state   respinte le affermazioni di Israele secondo cui le proteste miravano a nascondere atti di terrorismo.

Si legge nella dichiarazione: “Le manifestazioni erano di natura civile, con obiettivi politici chiaramente definiti. La Commissione ha riscontrato che le dimostrazioni non costituivano campagne militari o di combattimento “.

La commissione  ha affermato di aver condotto 325 interviste con vittime, testimoni e altre fonti, mentre ha esaminato oltre 8.000 documenti, riportando  che gli investigatori hanno esaminato filmati di droni e altro materiale audiovisivo.

Il rapporto riporta  anche che “Le autorità israeliane non hanno dato risposta  alle ripetute richieste, da parte della Commissione di informazioni, di avere  accesso a Israele e al Territorio palestinese occupato”.

La commissione  Onu ha anche criticato Hamas per non aver impedito l’uso di aquiloni incendiari – armi a bassa tecnologia con code infuocate progettate per accendere fuochi – durante le proteste.

Attraverso la menzogna e informazioni distorte della realta’,  il governo israeliano cerca di delegittimare i valori e le ragioni della G.M.R.. Dichiara che il suo esercito sta difendendo il confine del paese contro i tentativi di infiltrazione violenta. Accusa il movimento di Hamas, che governa  Gaza, di usare le grandi folle come copertura per effettuare attacchi. Descrive Hamas  come il “capo” delle manifestazioni, nel tentativo di occultare  che  un   movimento di massa, disarmato e pacifico protesta per il riconoscimento e l’applicazione dei diritti universali.

La politica palestinese

Nello scenario politico palestinese c’è bisogno di una leadership credibile.  A Gaza  si protesta contro le politiche di Abu Mazen che in 12 anni di assedio israeliano ha dato la propria collaborazione all’occupante con azioni  come il taglio dei rifornimenti di medicinali agli ospedali pubblici, il mancato  pagamento per l’erogazione dell’ energia elettrica; in  Cisgiordania i palestinesi che si oppongono all’occupante vengono arrestati anche grazie alla collaborazione tra le  forze di sicurezza dell’ Autorità Nazionale Palestinese, A.N.P., e l’ esercito israeliano.

Abu Mazen e’ stato eletto, nel 2005, presidente dell’ A.N.P.  e continua   a governare nonostante il mandato  sia terminato nel 2009.

Nel 2006 Hamas aveva vinto le elezioni legislative, ma essendo considerato un movimento terroristico, la “democrazia internazionale”  non ha riconosciuto il voto popolare, e sostenuto   la politica dell’A.N.P., che ha delegittimato e arrestato gli eletti di Hamas. Un agire che è stato possibile  in Cisgiordania, ma non  nella striscia di Gaza dove dal  2006 al 2007 si è consumata una strisciate guerra civile. La sicurezza dell’ANP, sotto il comando di M. Dahlan,  con  uomini  ben addestrati ed armati  ha tentato  di tenere il controllo della striscia. Dopo un anno  Hamas ha avuto  la meglio cacciando  Dahlan da Gaza. Dagli scontri armati tra le forze di Hamas e di  Dahlan ci furono piu’di 2.000 feriti e 248 morti. L’insediamento  da parte di Hamas  nella  Striscia, ha determinato  una spaccatura, dando vita a due entita’ territoriali separate e indipendenti, Cisgiordania e Striscia di Gaza.  L’A.N.P. ha tentato di creare le condizioni  perchè Hamas non potesse governare: ha chiesto ai suoi 70 mila dipendenti pubblici di abbandonare i posti di lavoro, pur assicurando loro lo stipendio e questo nel tentativo di mettere   in crisi il sistema amministrativo dei ministeri e l’erogazione dei servizi pubblici negli  ospedali, scuole, centri sanitari territoriali.  Operazione in parte riuscita, circa 40.000 dipendenti dell’A.N.P. hanno accettato, ma questo  non ha impedito a Hamas di prendere il controllo di tutti i servizi pubblici, rimpiazzare, non con poca fatica  medici, insegnanti, impiegati e governare. Un’impresa che ai tanti pareva impossibile per un Movimento Islamico di Resistenza,  ma che è riuscito, continua e che potrebbe trovare riconoscimento anche a livello Internazionale. In questo senso va data lettura ai tentativi di riconciliazione Hamas/Fatah. L’uomo che tesse la tela di questa nuova scena politica è M.  Dahlan  l’ex uomo dei servizi di sicurezza palestinesi,  il “riformista” del partito di Fatah. Scomparso da Gaza dal 2007  da tempo è presente nella striscia attraverso   Associazioni  e Ong che sostengono con   contributi  famiglie e svolgono attività di studi di ricerca. Una figura chiacchierata quella  di Dahlan, visto il suo recente passato, ma   è comunque la persona alla quale viene riconosciuto il ruolo di  interlocutore  con Israele, la Giordania, l’Arabia Saudita, Emirati Arabi e l’ Egitto e, a detta di molti, potrebbe tenere insieme le fazioni di Hamas e Fatah.

Questa è la grande sfida.

Intanto la popolazione di  Gaza sopravvive ricercando nei  valori della solidarieta’ e dell’unita’ la forza per  contrastare le minacce che minano la causa palestinese e il diritto all’autodeterminazione.

E’ con questo  sguardo che lascio la striscia di Gaza e che continuamo le attività e il sostengo ai  gazawi.