Transeuropa editore, Massa 2018, pagg. 224 € 15,99

[Wildworld è una collana fondata dall’editore Transeuropa, con una connotazione precisa: i libri escono con una cadenza seriale, quasi come capitoli di una storia a puntate, benché i personaggi e i luoghi siano ogni volta diversi. E’ uno sguardo sulla realtà che non concede sconti: il mondo – i mondi – sono esplorati nei loro aspetti più contraddittori e violenti, con un’attenzione particolare a eventi di cronaca che in qualche modo hanno inciso sull’immaginario collettivo. Il primo titolo, che è diventato un piccolo caso editoriale, La notte dei ragni d’oleandro, di Mario Bramè, rielabora, da un punto di vista personalissimo, la tragedia del Bataclan a Parigi, il 13 novembre 2015. Trascinando il lettore in un intreccio infernale, con un ritmo serrato, l’autore crea un mix nichilista di realtà e fiction che non lascia indifferenti.
Il secondo titolo, Sotto il suo occhio, di Giulia Seri, si ispira ai casi di pratiche revenge porno, una discesa nell’incubo del tradimento e della violenza psicologica, con uno stile expanded che tende ad aumentare l’intensità del reale e dei luoghi oscuri.
Il terzo, in uscita il 26 settembre, è Cancellare la città, di Marco Aragno, il quale con la perfetta cadenza del giallo ci porta in un mondo post-apocalittico (che identifichiamo con la Terra dei Fuochi) dove la fiamma chimica brucia senza sosta, una combustione tossica, velenosa, in una terra malata e devastata dall’abbandono, dalla crudeltà e dal razzismo.
Il quarto romanzo, atteso per novembre, si intitolerà Nessun limite oltre il cielo, di Luca Cherubino, ci guiderà in un polar che indaga l’abisso della rete e della follia dei giochi a rischio mortale tra i ragazzi.
Tutti i romanzi sono stati realizzati col crowfunding, una forma di finanziamento trasversale che vede la partecipazione dei lettori, e i proventi hanno coperto il 50% delle spese di edizione.
Di seguito pubblichiamo un estratto del primo capitolo. M.B.

***

Appena fuori, fu travolta dalla puzza di bruciato: cadeva dall’alto. Il cielo sopra di lei era torbido, velato dai fumi della Resit in fiamme. La macchia rossa scavalcava le cime dei palazzi, tracimava nel suo campo visivo.
Lei palpò la borsetta, prima di camminare: si sincerò che fosse al suo posto, aggrappata alla spalla, vicina al suo corpo. Fu travolta da un’ondata di calore che le si attaccò sulla pelle,
mentre si dirigeva verso la stazione dei carabinieri.
Passò davanti a un negozio di street food, sfilò davanti a un gruppo di africani, che la fissarono. La cameriera guardò a terra, tirò dritto.
Arrivò alla macchina, la sua Fiat Panda; l’aprì, buttò la borsetta sul sedile passeggero e si sedette nell’abitacolo. Lanciò uno sguardo nello specchietto retrovisore prima di girare la
chiave e ingranare la prima.
La circonvallazione era semideserta, a quell’ora. Qualche auto diretta agli alberghi sul lungomare per incontri tra amanti clandestini; una prostituita nera con la parrucca bionda, sul ciglio della strada, si schiaffeggiava il sedere per attirare gli automobilisti.
Amanda superò un sovrappasso, con lo sguardo su una fila di pini marittimi esangui, piantati a forza dentro lo spartitraffico centrale. La caserma dei carabinieri era vicina. Altre due, forse tre rotonde: varcato l’ingresso, avrebbe messo fine a un incubo.
Ingranò la quarta ed entrò in una rotatoria. Attraverso il vetro appannato del parabrezza guardò la colonna di fumo nerastra sopra le antenne dei palazzi, il fungo che sorgeva oltre
i cornicioni e sputava il suo respiro tossico sulla città.
Per quello avrebbe denunciato tutto? Per riportare il sereno negli occhi della gente? O solo per sua sorella?
Socchiuse un attimo gli occhi, quasi si addormentò, finché un ruggito di motori non esplose alle sue spalle.
L’auto sbandò, le ruote strisciarono sull’asfalto perdendo di aderenza. Le mani si avvinghiarono allo sterzo.
Amanda guardo nello specchietto: uno sciame di abbaglianti in movimento.
Chi cazzo era?
«Bellissima! Sei un angelo!»
Un muccusiello a bordo di un SH, si e no diciassette anni, picchiò il vetro con le nocche; dietro di lui altri due scooter con quattro compagni in felpa e cappuccio che strombazzavano
saltellando sulla sella.
«Ma andate a fare in culo a casa vostra, ’sti pezzi di merda.»
Amanda sbuffò. Poi accelerò, riporto gli occhi sulla strada e distaccò i tre scooter quanto bastava per vederli rimpicciolire nel retrovisore. Era bella, le dicevano. I tratti di un viso delicato induriti dalla prima maturità; le curve dei seni che si intuivano sotto le camicie slim fit. Era abituata alle peggiori avances.
«Yooo!» Il tipo sul motorino cacciò fuori un grido selvaggio. Portava i capelli con la riga laterale disegnata dal rasoio elettrico; aveva un sopracciglio sfregiato. Si alzo sulla pedana del mezzo, poi affondò il culo sulla sella e impennò trascinandosi per metri sulla ruota posteriore.
Lei seguì la scena attraverso lo specchietto, finché non vide il centauro perdere l’equilibrio e schiantarsi contro la ruota del compare in sella all’altro scooter.
«Teste di merda.»
Amanda Fiorino rimase di nuovo da sola nel silenzio dell’abitacolo: davanti a sé la striscia d’asfalto della circonvallazione, che la separava dai carabinieri. Altri cavalcavia, decine
di stradine ai lati, che si diramavano nel nulla delle campagne.
Affondò sull’acceleratore, il cuore le aveva preso a pulsare come un corpo estraneo, un sasso piantato tra le costole. Ma c’era quasi. A un passo. Altri mille metri e sarebbe stata in un luogo protetto; si sarebbe seduta in un ufficio pieno di pc e coi faldoni alti mezzo metro; avrebbe raccontato, incrociando lo sguardo del maresciallo, la sua verità.
Tirò un respiro. Rallentò. Accese la radio e regolo il climatizzatore. Guardò di nuovo il cielo, cercò uno sprazzo di sereno tra le scie di fumo. Fissò la luce di alcune stelle che proiettavano sul parabrezza l’orma di una galassia sicura, un rifugio, forse una costellazione lontanissima di cui non ricordava il nome.
Sorrise.
Finché un rumore sordo dal lato dello sportello posteriore non la fece sussultare. Una botta?
Rallentò, scalò di marcia, guardò a destra e sinistra per vedere cosa fosse. Niente. Era sola. Puntò gli occhi nel retrovisore: pochi metri dietro, in sosta, c’era una vettura scura. Un Suv.
Che l’avesse colpita senza accorgersene?
L’auto si mise in moto, accese i fari e si affianco alla sua Panda. Il finestrino calò e sul sedile del passeggero prese corpo nella penombra una faccia scura. I lineamenti erano indistinguibili, seminascosti nel buio dell’abitacolo: «Lei ci ha urtato lo specchietto. Non se n’è accorta?»
La ragazza abbassò il finestrino e cercò di dare un’occhiata in cerca di ammaccature. «Cosa, scusi?»
Dall’abitacolo del Suv uscì la nube di vapore bianco di una sigaretta elettronica. Il passeggero sporse l’avambraccio, mostrando un tatuaggio. Poi allungò il collo oltre il bordo
dello sportello e lasciò che la luce giallastra dei lampioni gli disegnasse la faccia: capelli rasati, denti piccoli sotto gengive rosse, zigomi butterati ricoperti da una barba sfatta.
«Lo specchietto, vede? Ce lo ha rotto.»