di Walter Catalano

Elliott Chaze, La fine di Wettermark – Mattioli 1885, Fidenza 2018, pagg. 188, €. 15

Elliott Chaze, Il mio angelo ha le ali nere – Mattioli 1885, Fidenza 2016, pagg. 208, €. 14.90

“Virginia era seduta sul pavimento, nuda, in mezzo a un mucchio di biglietti verdi. Dietro di lei, c’era la guardia, ancora con quel sorriso congelato dalla morte. Virginia stava raccogliendo manciate di banconote e se le faceva cadere sulla testa così che queste le scivolavano sui capelli color miele, poi sulle spalle e sul corpo. Dalla sua bocca usciva un suono che non ho mai sentito emettere da nessun essere. Era un urlo che era simile a un sussurro, una risata che era simile a un pianto. E non s’interrompeva. Quel suono e quell’afferrare le banconote e rovesciarsele addosso. Le banconote che scivolavano, scendendo lungo il suo corpo rigido. Come se nemmeno sapesse che esistevo” (Elliott Chaze – Black Wings Has My Angel, 1953).

Questo passo tratto da Il mio angelo ha le ali nere, ha scatenato vocazioni inestinguibili per il noir: prima fra tutte quella di Jean-Patrick Manchette che ha più volte dichiarato di aver letto il libro da adolescente e di non aver mai dimenticato il turbamento e l’eccitazione suscitata da questa scena in particolare e da tutto il romanzo, un piccolo, enorme classico misconosciuto, pubblicato solo in paperback, proprio come è stato per tutti i capolavori di Jim Thompson. Il suo autore non è mai divenuto famoso, né in patria – gli Stati Uniti, dove solo recentemente è stato riscoperto e dove molte sue opere restano tuttora fuori catalogo – né a maggior ragione in Italia. Dobbiamo al fervore e al gusto di una piccola casa editrice di Fidenza, la curatissima e pregevole Mattioli 1885, il dono di poter leggere nella nostra lingua ben due opere di questo geniale minore, del quale speriamo di vedere tradotti presto gli altri, pochi, romanzi.

Lewis Elliott Chaze (15 novembre 1915, Mamou, Louisiana – 11 novembre 1990, Hattiesburg, Mississippi) è stato fondamentalmente un giornalista della vecchia scuola. Iniziò la sua carriera all’Associated Press di New Orleans appena prima di Pearl Harbour, e terminato il servizio nei paracadutisti durante la Seconda Guerra Mondiale, si spostò a sud nel Mississippi dove svolse per vent’anni l’attività di reporter e premiato cronista e per altri dieci quella di editor per quotidiani e periodici locali. In più scrisse articoli e racconti per Cosmopolitan, Collier’s, Life, The New Yorker e altre riviste di alto livello, niente a che vedere col pulp. Scriveva narrativa, disse, “per egocentrismo e paura della matematica e in più per soldi. Soprattutto però ho il semplice desiderio di lustrarmi il culo e metterlo un po’ in mostra sulla stampa”. Molti dei suoi romanzi esulano dal nostro argomento e rientrano nel mainstream: dall’esordio con l’autobiografico The Stainless Steel Kimono, del 1947, che racconta di un gruppo di parà americani nel Giappone dell’immediato dopoguerra e che divenne un modesto best seller ma ottenne considerazione e apprezzamento da parte di Ernest Hemingway; all’ugualmente autobiografico The Gold Tag (1950), di ambientazione giornalistica; fino al polemico Tiger in the Honeysuckle (1965), testimonianza diretta sulle turbolenze intorno al movimento per i diritti civili nel Sud; non va inoltre dimenticata una spiritosa raccolta di saggi sulla vita locale e familiare, Two Roofs and a Snake on the Door (1963). Il suo exploit nel campo della crime-fiction è però, sicuramente, il capolavoro Il mio angelo ha le ali nere (Black Wings Has My Angel) del 1953, su cui ci soffermeremo più avanti, e quello che più si avvicina a emularlo è Wettermark del 1969, appena uscito da noi con il titolo di La fine di Wettermark.

Come scrisse qualche critico, si tratta di un romanzo di alto valore letterario che solo per combinazione ruota intorno a un crimine. Non arriva ai vertici di Il mio angelo ha le ali nere, ma ci si avvicina molto. Se la struttura classica del noir veniva portata in Il mio angelo alle massime possibilità espressive (mettendo in campo tutti gli ingredienti caratteristici: femme fatale, coppia maledetta, rapina-fuga-inseguimento, vicissitudini carcerarie, omicidi e sparatorie, sbirri sadici, dialettica crudeltà/senso di colpa/cinismo/sentimentalismo, e così via, ma con uno stile e un’autenticità uniche), in Wettermark invece resta come in filigrana lasciando predominare soprattutto la descrizione d’ambiente, sarcastica e disincantata, e la caratterizzazione psicologica del protagonista nei suoi rapporti con gli altri personaggi: lo scacco definitivo di un perdente nato (preferiamo per questo il titolo originale, semplicemente il nome Wettermark, che l’anticipazione troppo esplicita dell’adattamento italiano…).

Ambientato nella piccola città di Catherine, Mississippi (che appena dissimula Hattiesburg, la cittadina in cui viveva Chaze), narra dell’eponimo Wettermark, reporter su un quotidiano locale, figura tragicomica, ma molto più tendente al tragico: un uomo stremato, ex alcolista, al verde sul piano economico e perennemente schiavo del misero salario, le cui ambizioni letterarie sono state da tempo infrante dai rifiuti e dall’apatia. Il suo arrivo nel bel mezzo di una rapina in banca coronata da successo, gli pianta un seme nella mente, “un’occhiata al malloppo” che è nutrita dalle circostanze e dai suoi demoni personali finché non sboccia in un’audace schema di colpo da realizzare da solo. Il romanzo è alternativamente comico, triste, amaro, pungente e alla fine altrettanto cupo e indimenticabile di Black Wings. Vi si estraggono gemme come questa, giustamente riportata in copertina: “…Starsene da soli è una faccenda delicata, l’intimità va calibrata in modo così fragile che – anche se uno l’ha desiderata – quando ne hai anche appena un poco di più di quello che ti serve, non è più affatto intimità. Non è più un lusso. Diventa solitudine, e la solitudine non è in alcun modo simile all’intimità, sebbene l’una e l’altra siano fatte della stessa sostanza”.

Negli anni più tardi, dopo il suo pensionamento dall’attività giornalistica, Chaze scrisse anche tre mystery anticonformisti, licenziosi (occasionalmente pornografici) e spesso cupamente comici, tutti aventi per protagonisti Kiel St. James, benintenzionato ma spesso maldestro editor del Catherine Call (la stessa cittadina di Catherine, già usata in precedenza ma misteriosamente spostata in questa serie dal Mississippi all’Alabama); Crystal Bunt, giovane fotografa fidanzata di Kiel e assatanata per il sesso; e Orson Boles, Capo Detective nella polizia locale, che indossa osceni completi verde-lucertola in poliestere e parla alternando l’inglese corretto con il greve e incomprensibile slang sudista.

Le tre avventure di St. James sono Goodbye, Goliath (1983), Mr. Yesterday (1984) e Little David (1985): furono accolte entusiasticamente dalla critica ma, come le sue opere precedenti a parte Black Wings, sono cadute nell’oblio poco dopo la pubblicazione e là per ora immeritatamente restano. La migliore del trio è Mr. Yesterday, che narra degli assassinii di due eccentriche vecchie zitelle, uno avvenuto per caduta e l’altro per un eccessivamente bizzarro accoltellamento. I motivi degli omicidi ed i metodi impiegati nel secondo dei due sono, in senso letterale, i più strani, sfrenati, ingegnosi, e audaci (eppure assolutamente plausibili) mai congegnati per un romanzo mystery.

Come attestano Il mio angelo ha le ali nere e gli altri suoi romanzi, Chaze fu un fine prosatore, uno stilista sofisticato e un consumato narratore; è stato anche, nei suoi romanzi più tardi, spiritoso, introspettivo, nostalgico e irriverente. Black Wings e Wettermark sono i suoi due unici noir veri e propri, ma forti elementi noir sono presenti in tutta la sua fiction. Come Cornell Woolrich, Jim Thompson e David Goodis, Chaze sapeva comprendere e rappresentare infallibilmente gli abissi e gli anfratti oscuri dell’anima umana e ciò che accade quando a quell’oscurità si consente di emergere e prendere il dominio.

Il suo romanzo più importante, Il mio angelo ha le ali nere, verte proprio su questo ed è essenzialmente una storia a due personaggi. Il narratore, il carcerato evaso Tim Sunblade (non il suo vero nome, che non è mai rivelato, ma uno pseudonimo adottato dopo l’evasione “perché profuma di fuori”) si nasconde dalla legge lavorando come trivellatore ad un pozzo petrolifero (lavoro che Jim Thompson fece davvero per anni, in gioventù) a sud del fiume Atchafayala. Mentre si rilassa in un motel del posto richiede i servigi di una prostituta per una notte e gli si presenta davanti una bionda dagli occhi violetti, di una bellezza perfetta e dai modi decisi ma raffinati (“Avrei indossato un asciugamano più carino” – le dissi – “Se avessi saputo che avremmo fatto tante cerimonie”. “Sono stanca” – rispose. Teneva le mani intrecciate sulle ginocchia, ancora avvolte nella gabardina bianco lucida dell’impermeabile. “Non mi va di perdere tempo in battute. Non bisogna mai scherzare con una puttana stanca. Non esiste nessuna persona al mondo tanto stanca quanto una puttana stanca”.): Virginia, non è certo una puttana da pochi dollari e Tim, già ammaliato, si chiede che ci faccia una donna di quel livello in un posto del genere (si scoprirà più avanti che Virginia è una mantenuta d’alto bordo, collusa con i gangster di New York ed anche lei in fuga). Presto s’instaura tra loro un rapporto interessato ma già più profondo (“Il mio piano era di sfruttarla per quello che mi serviva e poi abbandonarla nel gabinetto di qualche stazione di servizio fra Dallas e Denver”. Pensa lui. “Se hai soldi, tesoro, ho tutto il tempo che vuoi”. Dichiara lei, usando le parole di una canzone trasmessa alla radio).

Entrambi sono corrotti, ossessionati dal denaro e dalla lussuria e assediati da oscuri demoni personali, ma entrambi credono di avere più o meno il controllo sul proprio destino. Quando davvero faranno squadra e ognuno dei due diventerà nutrimento della fame dell’altro, genereranno una sorta di forza ciclonica che demolirà ogni illusione su loro stessi e sulla loro relazione e li trascinerà come un vortice lungo una traiettoria di mutua distruzione. Sunblade è il più complesso dei due personaggi. Se Virginia è, con minore ambiguità, una tipica femme fatale amorale, l’antieroe di Chaze è troppo tortuoso per essere descritto semplicemente come tale: le sue azioni immorali lo ossessionano a un punto tale che nessun individuo amorale avrebbe tollerato. Tim non riesce mai a scrollarsi tutto di dosso: un tempo ha vissuto una vita onesta e ha ancora una coscienza che lotta contro il suo lato oscuro; una lotta che è condannato a perdere.

La storia si sposta dalle foreste del Mississippi a New Orleans, dalla cittadina natale di Sunblade a Denver, e infine nel profondo delle Montagne rocciose del Colorado. Il momento centrale è la pericolosa rapina ad un veicolo blindato meticolosamente progettata da Sunblade ed eseguita con l’aiuto di Virginia, ma il focus primario di tutta la narrazione è la relazione corrosiva fra i due membri della coppia. Le loro compulsioni li conducono inevitabilmente al catastrofico finale in cui, soggiogati da un impulso ancora più oscuro, tornano sul luogo del delitto, per sfidare ciò che è nascosto e sepolto facendolo riemergere – una sorta di rituale esorcistico del senso di colpa e della pulsione autodistruttiva. Guarderanno nel fondo del pozzo della miniera abbandonata in cui hanno sprofondato i resti del loro crimine e il corpo dell’uomo che hanno ucciso, osando fissare gli occhi nelle tenebre della morte. Ma – quasi parafrasi nietzschiana – se guardi nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te. Il finale sarà quanto di più mozzafiato si possa immaginare.

Per quanto straordinario sia, Black Wings ebbe poco successo commerciale e critico nel 1953: le vendite furono modeste e il libro passò inosservato tra i recensori di riviste e quotidiani. Una seconda edizione paperback fu ripubblicata nel 1962 con un titolo molto meno affascinante, One for My Money, e nel 1985 fu la volta di un’edizione britannica rilegata con il titolo leggermente mutato in One for the Money, ma entrambe le edizioni vendettero ancora meno dell’originale Gold Medal: ci sarebbe voluto quasi mezzo secolo perché Black Wings trovasse finalmente l’attenzione meritata e numerose ristampe a livello internazionale.

Il romanzo sembra stagliarsi come una sorta di pietra di paragone, di idealtipo di ogni storia noir, contenendone tutti i principali tòpoi ma utilizzandoli sempre ampiamente oltre il loro potenziale naturale, sia in termini simbolici che tematici, e trascendendoli per la ricchezza e complessità stilistica con cui vengono affrontati, riportandoli a scenari che sublimano e travalicano il genere. Se volessimo cercare delle fonti d’ispirazione dirette e indirette per questo tour de force narrativo, le troveremmo certamente nelle coppie maledette di James Cain (il film con Garfield e Lana Turner tratto da Il postino suona sempre due volte, viene esplicitamente citato in un dialogo tra i due protagonisti), ma più sotterranea e per questo ancora più forte è l’influenza, tacita ma onnipresente, di Edgar Allan Poe (oltre che un quintessenziale noir il libro è anche un grandissimo american gothic): l’immagine numinosa del pozzo senza fondo, del gorgo risucchiante, del maelstrom che tutto travolge e nel quale finiamo per gettarci da soli, per il capriccio perverso del provocare la propria rovina quando si è apparentemente vinto la partita; la percezione spasmodica dell’inevitabilità del destino; la consapevolezza tormentosa del nevermore ineludibile che impronta la condizione umana. Tutto rimanda al Bardo di Richmond. Non a caso la protagonista femminile, l’angelo dalle ali nere, avrà lo stesso nome del più grande amore di Poe, la moglie-bambina perduta: Virginia.

 

 

 

 

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