di Marc Tibaldi

Enrico Buonanno, Vite straordinarie di uomini volanti, Sellerio, 2018, pp. 176, € 13,00.

A André Breton sarebbe piaciuto Vite straordinarie di uomini volanti (Sellerio, 175 pagg, 13 €) di Errico Buonanno, libro agile e denso, fuori dalla forma-romanzo, manuale di volo dell’immaginazione. Forse non il Breton papa nero del surrealismo che scomunica gli eretici, ma il Breton di cui scrisse Michel Foucault: “siamo attualmente nell’incavo che Breton ha lasciato dietro di sé”, quello di “cambiare il mondo, trasformare la vita” e della bellezza convulsiva. “La verità è lo strano, il meraviglioso. Tutto ciò che scambiamo per ‘realtà’ è il piccolo incubo coagulato nella mente dell’uomo che domina la nostra specie: l’uomo all’altezza, l’uomo potente. Cioè l’uomo pietrificato nel suo incubo quotidiano”, scriveva il padre del surrealismo. Buonanno nelle sue opere precedenti (Lotta di classe al terzo piano; Sarà vero; La sindrome di Nerone) ci ha abituati alla commistione tra storia e invenzione, tra documentazione e immaginazione, qui non inventa nulla, i fatti che riporta sono tutti attestati, è il punto di vista a essere trasversale, sembra quasi faccia sua la prospettiva degli uomini volanti, prendendone le difese, con raffinatezza, nella trama e nella ricerca linguistica. “Cronaca autentica delle avventure di un gruppo di eroi un po’ trasognati che, senza accorgersene o volerlo, fecero ciò che a noi riesce impossibile: decollarono”, il libro racconta le vite di uomini e donne volanti che fino al Settecento si sono librati in volo, in particolare di San Giuseppe da Copertino, Teresa d’Avila, Simon Mago, San Filippo Neri. Il tutto avveniva prima del secolo della Ragione, quando si dimostrò l’impossibilità del volo e l’uomo divenne incapace della “sospensione volontaria dell’incredulità”, teorizzata da Coleridge. Chi volava era mal tollerato se faceva parte della Chiesa, perseguitato se era strega o benandante.

Singolare la figura di San Giuseppe da Copertino, che intesse tutti i capitoli del libro, frate che le cronache dell’epoca definiscono come “idioto”, buona a nulla, ma che aveva la grande capacità di alzarsi e volare quando si emozionava – osservando la bellezza della natura o ascoltando la musica – veniva rapito (i “ratti giubilati”) e ballava “al soffitto al suono di pifferi e zampogne”.  Nel 1949, il grande Blaise Cendrars gli dedica Le Lotissement du ciel, “libro che zittì le critiche”, non ancora tradotto in italiano. Nel 1976 è Carmelo Bene, visionario e salentino come San Giuseppe, a dedicargli la piéce A boccaperta, che non portò mai in scena. San Giuseppe, detto anche frate asino, “fuor da qualsivoglia cultura, de-pensa, si spensiera”, sosteneva Bene, è leggero e vola. E nel 2017, il filosofo e jazzista Massimo Donà incide “Il Santo che vola” (Abeat), un cd immaginifico. Ma fu nel 1700, in California, che un devoto di San Giuseppe, in onore del Santo, battezzò un ruscello Arroyo San José de Cupertino, che diede nome alla città capitale della Silicon Valley, oggi emblema della leggerezza dei bit e dei software, come notò “Sua Divina Grazia Italo Calvino” nel saggio sulla leggerezza in Lezioni americane. Potrebbe chiudersi qui il libro, e invece l’ultimo capitolo Appendice (la scia), è un ulteriore prova di raffinatezza dell’autore con il racconto che passa da storie vere a storie letterarie, dallo schianto di Franz Reichelt, che nel 1912 provò a volare dalla Torre Eiffel, a Einstein e il concetto di gravità universale, ai voli di Peter Pan. I concetti di levitas e la gravitas che attraversano tutte le pagine arrivano a intrecciarsi: “questa storia è la fine di un sogno, travolto per sempre dalla realtà dei fatti. Ma è anche la prova che quel sogno non cessa, per chi con i soldi fa barchette di carta. Tra il mondo reale e il mondo poetico, la differenza è nelle ali, nel volo”. La locuzione latina “verba volant, scripta manent”, e viceversa, assume nel libro di Buonanno significato molteplice.