di Walter Catalano

Arrivata alla terza stagione, The Expanse, può ormai essere inserita a ragione e con cognizione di causa tra le migliori serie fantascientifiche realizzate negli ultimi anni. Molti l’hanno accomunata a Star Trek: Deep Space Nine, a Babylon 5, a Firefly e addirittura alla mitica Battlestar Galactica, o a videogame come Wing Commander prima o Mass Effect, ma si potrebbe aggiungere una menzione particolare che la rende unica per l’originalità – pur nella tradizione canonica della space opera – e per l’equilibrio sapiente tra aderenza e infrazione allo stereotipo nel cross-over tra generi.

Lo show è tratto dalla saga spaziale omonima, nota da noi con il titolo La distesa: una serie di romanzi e novelle, scritti da James S. A. Corey, pseudonimo di Daniel Abraham e Ty Franck, autore fantasy il primo e collaboratore di George R.R. Martin il secondo. Ad oggi  articolato in sei volumi: Leviathan-Il risveglio (Leviathan Wakes)  del 2011, Caliban-La guerra (Caliban’s War) del 2012, Abaddon’s Gate – La fuga (Abaddon’s Gate) del 2013, Cibola Burn – La cura (Cibola Burn) del 2014, Nemesis Games – L’esodo (Nemesis Games) del 2015, Babylon’s Ashes – Il destino (Babylon’s Ashes) del 2016, Persepolis Rising – La Rinascita (Persepolis Rising) del 2017, il ciclo – candidato nel 2012 e nel 2017 al Premio Hugo e al Premio Nebula – è stato da qualcuno definito la controparte fantascientifica alla saga fantasy incompiuta di Martin, A Song of Ice and Fire, da cui è stato tratto il serial The Game of Thrones. A parte le relazioni strette fra il creatore de Il Trono di spade e uno dei due autori, Franck, e il vezzo, ripreso da Martin, di moltiplicare progressivamente i punti di vista dei sempre più numerosi personaggi narranti (nel primo romanzo della serie, Leviathan, ci sono solo due punti di vista principali e altri due, minori, nel prologo e nell’epilogo; nei romanzi successivi i punti di vista diventano quattro; mentre nel sesto libro della saga, Babylon’s Ashes, il numero dei personaggi seguiti balza a quindici), le analogie – anche nella descrizione degli intrighi machiavellici e delle contraddittorie fazioni che si contendono il potere – sono in realtà davvero minime.

Lo scenario di The Expanse si svolge duecento anni nel futuro: nel XXIII secolo l’umanità ha colonizzato il nostro Sistema solare stanziandosi sulla Luna, su Marte, nella Fascia di Asteroidi e sulle lune dei pianeti esterni, ma non è ancora in grado di uscire dal sistema. La Fascia, o Cintura, insieme agli anelli di Saturno, più Giove con relativi satelliti, ha l’importante funzione di serbatoio universale di ghiaccio, ovvero di fonte di acqua potabile per i Pianeti Interni, Terra e Marte su tutti: questo la rende una risorsa preziosa da sfruttare. Dopo alcune generazioni di colonizzazione i Cinturiani, cioè i coloni nati nelle basi costruite sugli asteroidi, subiscono l’evoluzione genetica dovuta alla bassa gravità: le loro ossa si assottigliano e si allungano, così come i loro muscoli, rendendoli fisiologicamente diversi, anche la loro lingua sviluppa un gergo incomprensibile per gli altri. Marte nel frattempo è diventato la Repubblica Congressuale Marziana, dopo l’indipendenza dalla Terra, e ha una sua flotta mercantile e militare, più potente di quella terrestre, con progetti autonomi di terraforming e sfruttamento delle risorse. Se la Terra è una sorta di Atene, detentrice del predominio economico e culturale ma tendenzialmente corrotta, Marte è una specie di Sparta, arroccata nel proprio orgoglio austero e frugale e nel militarismo. Entrambe le potenze però devono controllare le frequenti rivolte sulle basi cinturiane, istigate dall’Alleanza dei Pianeti Esterni (APE, in originale The Outer Planets Alliance, OPA), una rete di gruppi organizzati, ma spesso in antagonismo tra loro, che cerca di combattere lo sfruttamento della Fascia da parte degli “Interni”, che da parte loro, hanno denunciato l’APE come un’organizzazione illegale e terroristica il cui obiettivo primario è la lotta armata per l’indipendenza dalle potenze economiche dei Pianeti Interni. Le forze militari terrestri costituiscono la Marina delle Nazioni Unite (UNN) che si contrappone alla Marina Marziana (MCRN) del Pianeta rosso.

Se i romanzi sono basati soprattutto sullo sviluppo narrativo, la serie TV vuole invece incentrarsi principalmente sui personaggi e in questo risulta vincente: lo showrunner Naven Shankar e gli sceneggiatori Mark Fergus e Hawk Ostby, restano a grandi linee fedeli al testo con l’unica eccezione dell’ampliamento a coprotagonista della figura di Chrisjen Avasarala (interpretata dalla bravissima attrice iraniana Shoreh Aghdashloo), che compare già all’inizio della prima stagione anziché solo nel secondo romanzo. Questa entrata in scena anticipata permette agli autori dello script, di poter articolare tre diversi e paralleli spazi narrativi, destinati a ricongiungersi parzialmente solo nel finale di stagione, che perseguono tre stili diversi ma complementari: il noir, la space opera e il drama/thriller politico.

Nella “sezione” space opera, il cargo porta-ghiaccio Canterbury, al rientro da Saturno, riceve una richiesta di soccorso proveniente dalla nave Scopuli e il vice comandante James Holden (Steven Strait) organizza insieme a tre suoi compagni – Alex Kamal (Cas Anvar), Naomi Nagata (Dominique Tipper) e Amos Burton (Wes Chatham) – una missione di recupero; giunto a destinazione però il ridotto equipaggio non trova superstiti, comprendendo di essere caduto in una trappola. Dalla navetta infatti il gruppo è costretto a vedere il Canterbury distrutto da missili nucleari, con un sistema di occultamento di tecnologia marziana, che causano la morte di centinaia di passeggeri. James Holden lancia un appello a tutto il Sistema Solare dal suo shuttle di sopravvissuti: il messaggio viene strumentalizzato dall’APE e diventa virale come bandiera dei focolai di ribellione della Fascia di Asteroidi contro le potenze sfruttatrici marziane e terrestri. La notizia, giunta sulla Terra – e qui si apre la “sezione” drama/thriller, spy-story – crea instabilità politica e l’attacco viene attribuito alle colonie marziane; Terra e Marte, si rinfacciano a vicenda il disastro della Canterbury e la possibile perdita delle forniture di acqua potabile e di altre risorse dai Pianeti Esterni; Chrisjen Avasarala, funzionaria delle Nazioni Unite, decide di fare chiarezza per evitare un potenziale e disastroso conflitto con Marte. Nel frattempo su Cerere, pianeta nano della Fascia degli asteroidi, Josephus Miller (Thomas Jane), detective della Star Helix, la polizia privata di Cerere – e qui entriamo nella “sezione” noir con un personaggio che immancabilmente evoca il Rick Deckard di Blade Runner, e ovviamente il capostipite degli sleuth Philip Marlowe – si mette sulle tracce della scomparsa Julie Andromeda Mao (Florence Faivre), figlia di un ricco industriale terrestre Jules Pierre Mao (François Chau), immischiata con l’APE e in un intrigo molto pericoloso che riguarda una nanotecnologia collegata ad una misteriosa protomolecola di possibile origine extrasolare.

Dalla seconda stagione i tre percorsi paralleli cominciano a sovrapporsi, la spy-story procede a zig-zag mentre l’aspetto space-opera diventa prominente e quello noir scompare quasi del tutto insieme con il personaggio interpretato da Thomas Lane (ma alla fine della terza stagione avremo una sorpresa…o forse solo il preludio di una sorpresa) e, a rafforzare certi tòpoi che se non ben usati rischiano di risultare scontati, entra in scena il personaggio per il momento più debole, Bobbie Draper (Frankie Adams) che compare anche nel secondo romanzo Caliban. Marine marziana, patriota fino al midollo, militarista convinta, versione femminile di un personaggio di solito maschile, un Rambo in calzamaglia che sa usare il suo esoscheletro robotico come un’arma infallibile, prende colpi in pieno petto e si rialza come se nulla fosse,  ma che, per fortuna, nel finale della stagione, avrà una svolta narrativa interessante e un’evoluzione caratteriale più amabile, trovandosi, sbalzata dalla sottotrama spaziale a quella spionistica, a fiancheggiare e difendere Chrisjen Avasarala, specularmente catapultata in piena action dopo aver abbandonato lo scenario terrestre e statico che l’aveva caratterizzata fin qui.

Nel corso della seconda stagione la sottotrama extraterrestre è ormai precisata e solida e nella terza diventa proprio questo il leitmotiv che giustifica e sostanzia tutto l’intricato percorso preparato dagli eventi precedenti: la protomolecola individuata da Mao per essere usata come potenziale arma in vendita al miglior offerente, è sfuggita al controllo del capitalista che sperava di gestirla come una qualsiasi risorsa sfruttabile, ha preso possesso di Venere, creando un gigantesco anello sul quale converge l’attenzione e la preoccupazione di tutte le forze presenti in campo  – Terrestre, Marziana e Cinturiana – e respinge le interferenze umane, anche se questo non significa che sia necessariamente offensiva o rappresenti una minaccia. L’anello resta immobile e quasi ieratico nella sua indifferenza alle astronavi e alle sonde inviate per monitorarlo, ricorda in certi aspetti l’Oceano di Solaris – quale migliore esempio di totale estraneità all’umano – e l’analogia con il grande romanzo di Stanislaw Lem è confermata dalla fantomatica riapparizione del detective Miller, morto all’inizio della stagione 2 insieme alla sua Dulcinea, Julie Mao, entrambi infestati dal virus blu della protomolecola e schiantatisi su Venere con tutto il satellite “contaminato” Eros. Holden lo vede nel deposito tute della sua astronave (la Rocinante, ribattezzata dopo lo scoppio della guerra fra Terra e Marte, per motivi di sicurezza, Pinus Contorta), ma troppo brevemente per poter stabilire se si tratti di un’allucinazione, di un fantasma o di altro (si ha il sospetto che Joe e Julie non siano affatto morti: la protomolecola li ha solo trasformati). E’ questo il cliffhanger che ci accompagnerà oltre, come il mistero delle creature umanoidi mutanti – gli Ibridi – che un mad doctor al soldo di Mao crea in un laboratorio sul  satellite gioviano Io, come armi viventi, esponendo bambini con una rara malattia genetica al contatto con la protomolecola: perfino il cinico capitalista Mao sarà disgustato dall’esperimento, interrompendolo bruscamente.

Altri personaggi affollano la terza stagione che ormai converge sempre più verso la space-opera integrale (e un po’ ci dispiace),  i più interessanti sono soprattutto Melba, la sorella maggiore di Julie Mao che vuole vendicarsi di Holden da lei accusato della rovina della sua famiglia, e il reverendo Volovodov – una bella signora che convive con un’altra bella signora di colore con la quale ha una bambina (la chiesa evidentemente ha avuto una notevole evoluzione nel futuro…) – che, ingaggiata per scrivere proclami patriottici per il Presidente terrestre, lotta invece per la cessazione del micidiale conflitto tra Terra e Marte, per la prima volta nella sua vita si ritrova a contatto con l’ignoto e crede di scoprire nell’incomprensibile forma aliena della protomolecola, l’entità più vicina a Dio che l’uomo abbia mai incontrato. Nel frattempo le cospirazioni segrete e la guerra aperta tra le varie fazioni del Sistema solare imperversano sempre più spietate ma sulla Pinus Contorta il marziano, il cinturiano e il terrestre continuano a convivere fraternamente (seppur litigando in continuazione…): l’astronave del Capitano Holden diventa metafora della famiglia, del microcosmo in cui l’armonia può stabilirsi solo se ognuno riesce a comprendere le proprie debolezze. Un modello che il macrocosmo non riesce mai a riprodurre, almeno secondo la limitata prospettiva umana.

Se di space-opera si tratta, e non dovrebbero esserci dubbi in proposito, i riferimenti di James S. A. Corey e attraverso di lui degli autori della serie TV, attingono alla tradizione più nobile del sottogenere fantascientifico: non certo i melodrammi del tutto inattendibili nei personaggi e nelle tecnologie di E. E. “Doc” Smith con la sua Skylark, di Edmond Hamilton con il suo Starwolf o di Jack Williamson con la sua Legion of Space, né tantomeno il planetary romance alla Edgar Rice Burroughs o alla Leigh Brackett (da cui Star Wars e simili), quanto gli esempi più maturi e adulti del filone, dal Novilunio di Fritz Leiber, al Nova di Samuel Delany, dai Berserker di Fred Saberhagen, all’Hyperion di Dan Simmons o all’Eschaton di Charles Stross; con alle spalle l’antiepica della Guerra eterna di Joe Haldeman, l’ironia, la satira e l’umorismo di Harry Harrison e Douglas Adams e la prospettiva metafisica de L’Incal o dei Metabaroni di Alejandro Jodorowsky. Agli antecedenti letterari e fumettistici, possiamo aggiungere quelli cinematografici (dall’inevitabile Odissea kubrickiana, all’Alien di Ridley Scott, al Pitch Black di David Twohy) e quelli televisivi con tutte le serie classiche già citate in apertura.

Come può evincersi facilmente dalla coesistenza di tanti e tali riferimenti, la pietanza risulta saporita e succulenta: tutto l’immaginario narrativo e visuale fantascientifico più numerosi ingredienti di almeno un paio di altri generi, viene imbandito in The Expanse, se non con originalità, con indubbio gusto e intelligenza. La tecnologia è credibile (basata principalmente su suggestivi sviluppi ologrammatici del computer e del cellulare…); le astronavi ben disegnate; gli ambienti e i costumi intriganti; i personaggi, chi più chi meno, funzionano (come per Il Trono di Spade, ci si affeziona a loro, si parteggia per questo o per quello, ci si stupisce per certe loro evoluzioni inaspettate); i dialoghi sono brillanti; il ritmo del montaggio parallelo (considerate le numerose sottotrame collaterali, inevitabile…) è ben equilibrato; lo scenario politico delineato verisimile e non banale; l’incalzare della trama non dà mai tregua. Cosa si può chiedere di più a una serie televisiva ? La mia teoria poi che un buon serial si possa già prefigurare semplicemente guardando la sigla iniziale, viene pienamente confermata: anche in questo caso le immagini spaziali coloratissime (ben in vista sulla Terra, proprio l’Italia… e ogni volta che la vedo mi torna in mente Freak Antoni: “Che cosa ti vuoi aspettare da un paese che ha la forma di una scarpa ?”), i satelliti artificiali, i bunker, i panorami alieni che scorrono sulla lirica soundtrack di Clinton Shorter già ci mettono sulla sintonia giusta.

L’intero cast è formato da ottimi attori: il meno efficace, forse, è proprio il protagonista principale James Holden/Steven Strait (Revenge), un po’ troppo monocorde; adeguatamente marlowiano Thomas Jane (La sottile linea rossa); simpaticissimo Cas Anvar/ Alex Kamal (The Strain), il pilota marziano, fisionomia mediorientale e (in originale) accento texano; muscolare ma intenso Wes Chatham/ Amos Burton (Hunger Games: Il canto della rivolta), il forzuto che prima picchia o spara e poi pensa (ma anche lui avrà la sua bella evoluzione); perfetta action lady, flessuosa e scattante, Dominique Tipper/Naomi Nagata, con splendida cresta punk afro; mefistofelico Shawn Doyle (Frontiera), il bieco Sottosegretario delle Nazioni Unite che avvelena l’ambasciatore marziano e scatena la guerra; e più affascinante di tutti Shohreh Aghdashloo/Chrisjen Avasarala (The Punisher), logorata dal potere ma disposta ad assumersi le proprie responsabilità con coerenza,  è una signora di classe, sempre fasciata in splendidi sari, che spesso e volentieri però si lascia scappare imprecazioni da trivio mantenendo lo stile e il carisma della donna matura, quasi anziana, ma ancora decisamente sexy. Convincenti anche gran parte dei ruoli minori.

Nonostante tutti questi punti a suo favore, la serie ha rischiato di venire interrotta: si è vista infatti cancellata dopo la terza stagione da Syfy, la compagnia via cavo che la produceva dal 14 dicembre 2015, non per le medie d’ascolto, più o meno in linea con le stagioni precedenti, ma per la natura dell’accordo con Alcon Entertainment, che includeva solo i diritti di prima trasmissione, non particolarmente vantaggiosi per una serie sci-fi, che tende ad attirare il maggior numero di spettatori in differita. The Expanse per fortuna continuerà comunque su Amazon Prime, che ha già ordinato una quarta stagione. Essendo Amazon la detentrice negli Stati Uniti dei diritti streaming per le prime due stagioni, il passaggio era più che naturale, ma la stampa specializzata ha riportato che lo stesso Jeff Bezos è un accanito fan della serie ed è intervenuto personalmente per salvarla… (mah !).