di Mauro Baldrati

C’è una novità: Paolo Sorrentino ha rinunciato al tabagismo. Non è una notizia da poco, considerando la pignoleria con la quale rappresentava continuamente il rito della sigaretta.

Ma non l’ha eliminato e basta. C’è stata una vera e propria sostituzione dell’oggetto transizionale: via le paglie e avanti la figa e la coca. Autotreni di ragazze, naturalmente tutte giovani, tutte danzanti, illuminate da luci calde, potenziate da una colonna sonora eroica. Costituiscono lo sfondo animato della scena nella quale si muovono i personaggi, “Loro” appunto, individui abbastanza macchiettizzati che sniffano quasi in ogni scena. Badilate di coca, la forza motrice indispensabile per tenere alto il ritmo.

Per una buona metà del film non si fa altro. I personaggi sfilano, si presentano, sullo skyline dinamico della figa. C’è il mezzo imprenditore ruffiano, col faccione del bravo Scamarcio (che tuttavia non riesce a scrollarsi di dosso una certa aria da ragazzo per bene), figlio di un imprenditore “onesto” (disdicevole, si confida una notte con la capa delle escort, perché onesto = sfigato), forse l’ultimo della specie; traffica coi contratti truccati, la cui forma di pagamento è costituita dalle escort; si agita, briga, trama, con l’unico scopo di entrare nel giro che conta e conoscere finalmente “Lui”, il principe, l’inarrivabile.

C’è poi il reclutatore personale di “Lui”, una specie di rettile linfatico polimorfo, che gli esperti hanno identificato con Lele Mora. Esamina le ragazze, ne valuta la temperatura puttanesca, le giudica idonee o le scaccia con un gesto della mano morta.

E il ministro poeta, innamorato dalla moglie-compagna di Scamarcio, che si atteggia a super escort ma non la dà via, soprattutto a lui (a meno che non ci scappi un bel ricatto). Qualcuno, nella sovralimentazione di eccessività, chiasso cialtrone, sbracamento, sciatteria, ha giudicato i personaggi e gli eventi del film improbabili. Beh, è sbagliato. Forse è una speranza inconscia, il desiderio intimo che il mondo possa non essere così. Ma chi ha letto le poesie di Sandro Bondi dedicate a Berlusconi sa che non esiste limite, e tutto è permesso.

L’andamento ripetitivo di questo recital del leccaculismo e della corruzione, che a un certo punto trasuderebbe noia e disagio – sentimenti temibili tenuti a bada dal virtuosismo estetico di Sorrentino – subisce finalmente una svolta con l’entrata in scena di “Lui”: un Jep Gambardella all’ennesima potenza, dove lo spleen decandentistico dissipatorio è stato fagogitato dalla ferocia del principe che tutto può, tutto possiede, tutto può schiacciare con un’alzata di spalle. Ovviamente non è possibile riprodurre la maschera pietrificata dell’androide coi capelli di plastica, ma l’icona Toni Servillo riesce comunque a creare un personaggio credibile, impenetrabile, scafato, cinico. Pure simpatico, e questo è uno dei problemi. E’ un Berlusconi per niente sciatto, per niente volgare, è persino raffinato nella sua freddezza. Cita addirittura Natalia Ginsburg (non dimentichiamo che la matrice originaria si vantò di non leggere mai un libro).

“Lui” sta cercando di recuperare il rapporto con la moglie Veronica (interpretata da una perfetta Elena Sofia Ricci), una donna infelice, piena di rancore verso il marito anaffettivo e puttaniere compulsivo. Per la verità questa prima parte del film (la seconda uscirà il 10 maggio) non si sofferma su questo aspetto del principe, ma lancia dei segnali: il suo sguardo malinconico quando finalmente nota l’enorme motoscafo oceanico stracarico di ragazze in festa che Scamarcio ha noleggiato (caricandosi di debiti) apposta per attirare la sua attenzione mentre è a bordo del gigantesco jacht spettrale in compagnia di Veronica. Oppure l’incursione alla festa di Naomi Letizia, la ragazzina minorenne che il principe “frequenta” con l’approvazione dei genitori, proprio come un ayatollah settantenne che può sposare una bambina.

A questo punto il martellamento parossistico della follia edonista si attenua. Ci facciamo coinvolgere dalle due vicende portanti, che procedono con la scansione della telenovela: i traffici di Scamarcio e le beghe matrimoniali del principe (che verranno espanse nella seconda parte, dove “Lui” viene “riscaldato”).

C’è anche un personaggio posticcio, che non c’entra nulla con la storia, un certo “Dio” che nessuno conosce, uno che riceve le escort con un asciugamano sulla testa e chiede una masturbazione di 4 secondi esatti. Compare solo in una scena, quasi un errore di montaggio, per cui vedremo se nella famosa seconda parte avrà un seguito.

Insomma, sembra di essere in un film di fantascienza, tipo Star Trek quando gli eroi sbarcano su pianeti sconosciuti popolati da creature non umane. Perché esistono solo “loro”, nient’altro, nessun altro. E questo è il suo limite, che fa di Loro 1 un film egoista, desideroso solo di essere scritto, di essere girato e guardato. Offre il fianco alla stessa ambiguità di Gomorra, un’empatia obbligata con quei personaggi negativi da ogni punto di vista. Come quelli di Loro 1, che sono gaudenti, felici di essere quello che sono, di fare quello che fanno. Non esiste un contraltare, nessun mutamento del paesaggio. Non c’è l’astronave di Star Trek, pronta a riprendere il viaggio. Siamo bloccati, non sappiamo perché siamo capitati qui né come possiamo uscirne. E’ un Pensiero Unico, a suo modo.

Ma è anche un prodotto certificato made in Italy da esportazione, di grande potenzialità. Gli americani puritani, i tedeschi sassoni impazziranno ammirando gli eccessi, l’amoralità, la vita viziosa degli “italiani”, ultimi eredi dei principi e dei papi del Rinascimento: feste sfarzose, veleni, tradimenti, concubine; e se ci mettiamo anche Gomorra abbiamo pure mafia, violenza, guerra, strage. Se facciamo addirittura cappotto con la politica… chi può fermarci? Chi può competere? Chi può osare?