di Frankenstein

Mi presento, sono a pezzi. Sono Frankenstein. Parlerò in prima o terza persona, come meglio viene rispetto a questa chiappina innestata che rappresento in esclusiva. D’ora in poi sarò solo F, per abbreviare.

La storia si racconta così: nel 1980, sulla soglia dei trent’anni, F è un dismesso videomaker dei Dodo Brothers, un gruppazzo che dovendo scegliere tra la lotta armata e l’eroina opta per un situazionismo paraculo: usare una telecamerina come revolver e il microfono come siringa. Nessuno comunica attraverso nessuno, ma c’è sempre qualcuno che schiaccia rec, dicono. A fine anni settanta F e i suoi compari mettono insieme una forma di videogiornalismo autistico, qualche semiologo la prende per performing art e qualche fetente per apologia di guerra civile. Sbagliato: i loro video sono un disarticolato fake del movimento del ‘77 venduti alla RAI come chimera di una generazione ribelle. La messa in onda senza censure di questi video scatena reazioni violente nel pubblico servizio televisivo. Ciao Mamma, Ciao Papà è il loro titolo cumulativo.

Sotto c’è uno straccio di metodo è un’abilità imparata nel combattimento di strada.

Nel “delittuoso cammino verso la professione”, pubblicato a fine epoca bellica su Video 79, i Dodo Brothers e Alberto Grifi espellono un frammento testamentario: “Il tuo popolo non è fuoricampo, tu sei parte del popolo, tu sei il campo e il controcampo, non sei fuori, non sei un estraneo. Usa il video come una spranga, come un passamontagna, come una bandiera, come un coro. Hai la parola, parla addosso! Bacia la telecamera sulla faccia che hai davanti, e non uscire più dai suoi occhi fino alla resa dei conti”.

Poi buio.

Alla RAI i reporter socialisti di Primo Piano vorrebbero ingaggiare F come video teppista anti-pci a vita, ma lui ne ha strapieni i coglioni. Senza un ghello svacca a Bologna in un appartamentone loggiato in strada Maggiore 37, lì dentro sta in grotta. E’ accudito da MarioZ che gli porta donne in casa per animarlo un po’, ma F fa l’assopito. E’ nel pieno fallimento del suo sapersi bello, scopatore e fetuso. Molte delle parti di corpi con cui è stato assemblato paiono schifate dai suoi strapazzi. Vive in una vestaglia di seta, ringhia senza più branco, si lava poco, mangia stracchino e beve fino a stramazzarsi, poi un bel giorno MarioZ  gli porta una a casa. Costei vuole dritte su come fare un suo filmino sperimentale. Chissà come la si placa. Sarà mica del PCI? A diniego avvenuto F inizia a trattarla a pesci in faccia confidando che si tolga dai piedi. Ma la tipa ha una resistenza innata agli insulti. Non molla.

E’ l’inizio di tutte le disgrazie. Ventiseienne semi-solitaria, esente da collettivismo creativo, rossa, brianzola, snella, abita a Bologna nel Ghetto, laureata al Dams, poco immischiata nella rivolta del 77, è animosamente infatuata dalla nouvelle vague francese (registi come Ackerman, Duras, Eustache).

F non li ha mai sentiti nominare, a lui piace Alien.

D’ora in poi sarà identificabile come JLB, la bulla.

Video 79 è il tropico dei pirati, qui siamo nell’Antartide dei posseduti da Cahiers de Cinema e Positif, farebbe bene costei a compilare schedule d’essai per la Cineteca di Bologna. Alla bulla F passa una canna.       .

Intendiamoci non se la vuole fare. Donne così le tratta come uomini, e questo a lei pare vada benissimo.

Quando le chiede chi conosce a Bologna, dice Freak.

Forse Freak le ha cacciato in testa che F dei Dodo Brothers sia il cugino tonto di Klaus Kinsky .

Una demenza, e c’è da giurarci che sia venuta in strada Maggiore così tanto per farsi una cultura antagonista. Mentre MarioZ va a mangiarsi una pesca in cucina, F, indomito narcisista, considera l’incontro una specie di mesmerico atto di supremazia del suo passato su questa invalida da cineforum, si mette in posa, stappa del lambrusco e le racconta una frottola su di una diavolessa.

Solo per passare il pomeriggio.

La diavolessa è un ordigno video chiamato La Paluche, uscito dalla mente ingegnera dello svizzero francese Jean-Pierre Beauviala basato a Grenoble, in codice Aaton: una microcamera capace di arrampicarsi sui muri, dotata di una lunga membrana che si muove come un mamba. Nel 1977 F ha provato La Paluche alla Tricontinetal Video di Parigi, va in macro a 3 cm dal soggetto. Scondinzola superlativa. F parla a JLB di Carole Roussopoulos una francese incontrata a Berlino, ha usato La Paluche tra le prostitute, a contatto. Poi di una serba, una certa Marina Abramovic venuta a Bologna con Imponderabilia, una performance di nudità imbarazzante con il suo compagno. F usa la Paluche sui due con un anatomopatologo, a contatto.

JLB non ha nulla a che spartire con Carole e Marina, nel reportage è ignorante come una capra, non è una video femminista, della performing art non gliene frega una sega. A quel tempo è un conglomerato di poetiche incasinate, mangia male e poco, cucina da schifo, il ghiaccio sorridente negli occhi, cinquanta chili circa post-proletari. Parla come un camionista, nessuno se la fila, ogni tanto dice “sessantotto”, ma pare dia i numeri, ha delle lacune tecno evidenti, forse un tentativo di robot nevrotico andato in default in qualche bunker brianzolo. E’ un essere atemporale in una città Stalingrado dove il tempo è immemorabilmente immobile.

A fine frottola F si accorge che la diavolessa intriga veramente la bulla. La vuole La Paluche. Deve girare con la diavolessa in camera sua. Un piano sequenza circolare sul suo mito del momento, il regista francese Jean Eustache. JLB pensa di confezionare questo tributo e portarlo al Festival di Venezia.  Sfortuna vuole che la video biscia è un prototipo ritornato definitivamente a Parigi. F propone un ritorno neorealista: un classico super 16 mm su cavalletto. Pare non ci sia alternativa, anche perché i trogloditi del festival di Venezia i video non li vogliono.

F per i socialisti di RAI2 è un loro agente dormiente nella capitale PCI, e così, tanto per stare in contatto, un giorno gli chiedono un favorino: c’è uno di loro, Ottovolante, arrivato a dirigere la RAI di Bologna. Devi fargli conoscere la città, è un pesce fuor d’acqua, portalo in giro, è napoletano e zoppo, si divertirà, tienilo lontano dai comunisti. Questo è obbligatorio. Ottovolante viene prelevato da F che gli fa fare un giro di giostra in ambienti non esattamente istituzionali, e lo mette in contatto con i suoi rivoltanti innesti. Lui si spaventa un pochino, allora F per quietarlo gli fa conoscere la sua bulla. Assieme a JLB vanno una sera alla sala stampa dell’ordine dei giornalisti in via Galliera: lì l’amato Jean Eustache proietta un suo insopportabile film, La maman e la putain.

INNESTO EUSTACHE

Poco tempo dopo.

Limpidissima sera del 1982, via del Carro. Ultimo piano di una casona nel ghetto ebraico di Bologna. Una mansarda dove JLB vive con un mite marito fronte Due Torri. Sui tetti sta un terrazzo condominiale sulla Garisenda e l’Asinelli, è stretto e lungo come una rampa futurista. Al punto estremo del terrazzo, come una polena, sta lei – Il film su Eustache… oggi si è appena suicidato con una rivoltellata al cuore… me lo giri tu? –

Su questa rampa l’innesto si compie: la Jole mi dona un pezzo della sua chiappina soda in pegno, un gesto scaramantico che durerà tot anni, fino al 2008, quando un inspiegabile rigetto staccherà il pezzo del suo sedere dal mio, per l’appunto quello che oggi voglio donarvi, e mi lascerà una strana cavità.

La scena: salottino micro mansardino, ci sono dischi, foto di Eustache, libri, aggeggi, cose che non si sa cosa. Un 360° di icone e manufatti. Cavalletto al centro con un Arri 16 e un caricatore da 120 metri bianco e nero, 11 minuti di autonomia. Luce naturale. Lei parla fuoricampo al movimento della cinepresa. La mano di F lentissima.

Il piano sequenza dura diversi minuti. La pellicola viene mandata in sviluppo a Cinecittà.

Dopo pochi giorni il direttore sviluppo e stampa telefona a F, contrito annuncia che la pizza bianco e nero di Eustache è finita per errore nella sbianca del colore. Annientata. JLB non la prende bene, ma F dice “rifacciamo tutto”, e si rifà. Questa volta va liscia.

La RAI ci starebbe a mandare al Festival di Venezia il suo corto cult sul regista suicida?

F le consiglia di rivolgersi al direttore regionale Ottovolante. Il napoletano visiona e convoca F, “del lavoro della tua amica c’ho capito un cazzo”, con grazia si sente rispondere che non c’è niente da capire. Va così.

A Officina Cinema Venezia F non viene citato nei crediti, fa finta di averlo girato lei, e si accorge anche di un’altra cosa: per JLB, Jean Eustache è stata solo una passeggera infatuazione cinephile, ora la bulla sgomita, scalcia, una mutoide che lascerà più pelli sulla sua strada. Punta a diventare reporter.

Ci mette un po’ a farsi le ossa.

Dentro questa intercapedine temporale JLB dispiega il suo acronimo in quello che diventerà poi noto al grande pubblico come Jole La Brianza di Report.

Attraversa una prima fase propedeutica di robette rairegionali, poi punta a intortarsi il capo dei reporter più importante di Roma, Jean Le Minule detto Mixer. Lo conquista, riesce a farsi provare su campi bellicosi.

Un periodo esotico, va dal 1989 al 1991. Immagini belle e potenti di Rob Quinlan suo intimo karateka cameramen (un giorno JLB lo renderà obsoleto). Fa l’obbediente al suo capo La Minule. Dura fino a Vukovar, che la rende definitivamente celebre. Questo è solo l’inizio. Jean La Minule ha per le mani una ragazza che buca il catodico. Prima di Vukovar la manda in giro per il mondo a far quel che le piace: dal generale Giap, tra i bambini vietnamiti semibiondi figli dello sperma marines, tra i venditori di organi indiani e gli eredi degli ammutinati del Bounty nell’isola di Pitcairn, e altre cose belle e toste. Con lei c’è sempre l’intimo e capace cameramen, mai è indifesa.

E’ intruppata con Rob Quinlan, cintura nera.

Io vado a casa sua, adesso sta in via Gramsci, un po’ più di luce e spazio che nel ghetto. Carichiamo la cassetta.

Il girato sui discendenti del Bounty. Jole ridotta a uno straccio. A fare quel viaggio ci vuole un addestramento Navy Seals. Lo straccio mi regala una maglietta di Pitcairn. Questa storia dei discendenti degli ammutinati è letterale, debbono scendere una scarpata, buttarsi su di una lancia per intercettare nel mare incazzato la nave con i viveri che passa quando può o la nave dei turisti dove si vende quello che si può. Una vitaccia discendente al mare e poi ascendente al paesello situato in un buco di culo di mondo esattamente equidistante da tutte le civiltà. Il lavoro mi colpisce. Una prova estrema di solitudine tra solitari. Forse qui inizia il vero destino a cui JLB ha deciso di consacrarsi: la solitudine come effetto estremo dell’indipendenza. La sua chiappetta nel mio culo senza rigetti. Ci deve essere stato feeling, l’ho pensato fino a oggi. Forse continuerò a pensarlo a tempo perso.

INNESTO FAKE/SOLITUDINE.

La trentacinquenne scarsa ha il suo battesimo del fuoco. E’ l’inverno del 1991. Jugoslavia, guerra serbo-croata. Vuole da La Minule una troupe per andare là, ma la troupe non arriverà mai, in realtà lo sapeva fin dall’inizio, per questo parte lo stesso con due Sony 8 e un’audacia autistica.

Ha sentito parlare di un eccidio di bambini, le fonti sono contrastanti. Se ne frega. L’obiettivo è un altro: fare un golpe mediatico senza colleghi testimoni. Deve essere unica, nessun altro reporter, solo lei, il bello dell’esclusiva. Non si saprà mai se Jean La Minule ne fosse al corrente, fatto sta che a Vukovar nasce ufficialmente la videogiornalista Jole La Brianza, un mutaforma.

Prima di partire ha già aperto un canale: si assicura da Moris Ergas, un settantenne serbo ex produttore cinematografico di Roberto Rossellini, un contatto a Belgrado nel bar dei tifosi del Stella Rossa calcio, in soldoni un centro di reclutamento per le milizie serbe, le Tigri del comandante Arkan. In 48 ore diventa embedded di una spedizione punitiva. Una solitaria in giacca a vento scortata verso un inesistente eccidio di bambini serbi da parte croata a Vukovar. Esemplare scoop situazionista. Preferite fake? Chissenefrega, la notizia è altra: una femmina solitaria in mezzo a maschi da combattimento. La scenografia è una fangaia gelata. Non c’è ombra di altro giornalista. Tutta la potenza in campo è lei, la demo che si può fare. E, se non così, non si può proprio fare. Qualunque sia la notizia certa o incerta la storia è: con due video-8 si gira contemporaneamente il campo e il controcampo. Campo: Jole che urla ai serbi “Dov’è l’Onu, dov’è Amnesty?!” e interroga i loro prigionieri croati (ripresa dai serbi). Messinscena sporca in guerra sporca. Controcampo: Jole che riprende Arkan e i suoi parlando dietro la telecamerina. E’ una storia di guerra, di come ci si ammazza tra famiglie contadine in campagne fradicie di sangue. Arkan le dice: “li vedi questi morti, sono nostri soldati fatti prigionieri dagli ustascia croati, li hanno seviziati, gli hanno tagliato cazzo e coglioni e glieli hanno infilati in bocca, noi siamo guerrieri ma non faremmo loro mai una cosa simile”.

Questa la splendida atmosfera.

Il pezzo va in onda, succede un casino. Tutti addosso alla “troia serba” che racconta balle. Viene indagata dal Garante dell’Editoria, minacciata da associazioni pro croate. Da quel giorno, per tutti, sarà Jole La Brianza, che ne ha combinata una grossa in Jugoslavia.

Il posizionamento d’acciaio del videogiornalismo in solitaria è partorito, nel fango di Vukovar. 

Nessuno comunica attraverso  nessuno, ma c’è sempre qualcuno che schiaccia rec. Sono giorni duri, che mi frega dove abbia mancato, tenere al sicuro la sua mente, la minacciano di continuo, il mite marito non basta, la Polda figliola è piccina ma qualcosa intuisce. Cantava Azzurro insieme ad Arkan su una Uaz di merda? E dunque Celentano è serbo? E che mi frega. Solo scocomerati nella notte verso il fronte. Sceneggiate con le telecamerine date in mano ai soldati, e un sacco di altre cose? E che mi frega. E’ brava, ora è sotto attacco. Fatti nostri avrebbero detto i Dodo Brothers. La bulla è l’unico innesto che resiste nel mio corpo.

Esemplare il video: one shot, one kill.

Occhi bassi e rasomuro. Stare in grotta. Per un po’ Jole La Brianza fa il pesce in barile, si tiene sottotraccia, deve passare la buriana, La Minule la protegge e le tiene in carica la batteria. I socialisti in Rai sono ancora potenti. Tranquilla Jole, si ricomincia.

Poi 1993 a Milano: i socialisti annientati da Mani Pulite (non esistono innocenti in Italia).

I pcisti da partito dei lavoratori si mutano in partito degli onesti. Nel 1993 ultima diretta di Grillo in RAI, un presagio. F fiuta i primi manettari ad oltranza, la moglie di Cusani lo avvisa: i magistrati del pool non fabbricano prove, fabbricano pentiti, si fa meno fatica. Aria irrespirabile, chi lo aveva difeso fino ad adesso dalle vendette piciste deve difendersi: sei socialista? Allora sei automaticamente ladro. Già, il partito degli onesti, il primo segnale del movimento mediatico che verrà: Jole e Beppe una lunga e solidissima empatia che tanti anni dopo diverrà un blog che fa assist a un format tv.

(CONTINUA)