di Sandro Moiso

Tommaso Maccacaro – Claudio M. Tartari, STORIA DEL DOVE. Alla ricerca dei confini del mondo, Bollati Boringhieri 2017, pp.150, € 14,00

In un’epoca di oscurantismo, di chiusure nazionalistiche e razziste dei confini, il testo di Tommaso Maccacaro (astrofisico) e Claudio Tartari (storico) appare come una salutare boccata d’aria. Anche se, all’apparenza, il testo si occupa di ben altro che delle questioni terrene legate ai tristi temi politici oggi attuali. Eppure, eppure…la storia della progressiva definizione ed allargamento dei confini degli spazi conosciuti dalla specie umana costituisce un ottimo stimolo per la riflessione anche su temi così distanti. Oltre che su un’infinità di altri.

La straordinari e sintetica panoramica che i due autori ci forniscono sull’evoluzione delle conoscenze umane sullo spazio circostante, condotta a partire dai nostri preistorici antenati, ci obbliga a riflettere sui percorsi che l’immaginario prodotto dai differenti e distanti gruppi sociali ha seguito non soltanto per risolvere problemi di urgenza immediata (l’orientamento spaziale per affrontare lunghi viaggi e spostamenti o la necessità di definire misure sicure per delimitare proprietà, regni, stati e imperi), ma per giungere anche ad una conoscenza che è giunta ben al di là dei limiti (spaziali e fisici) dell’uomo. Fino all’ipotesi di quel multiverso costituito da infiniti universi paralleli o frattale a cui si accenna nel titolo di questa recensione.

Cercare i confini ha infatti indotto gli uomini a superarli costantemente, sia in termini di spazio che di conoscenza. Così se, metaforicamente e praticamente, per le società mediterranee dell’Antichità e del Medio Evo il superamento delle Colonne d’Ercole significò scoprire il mondo degli oceani ed aprirsi ad esso, anche il superamento definitivo della teoria geocentrica tolemaica e dei dogmi che la sostenevano significò per gli uomini, non solo di scienza, partire per un viaggio nel cosmo che non è ancora terminato e dover fare i conti con una conoscenza che più si ingrandisce e più si rende conto di quanto l’universo che ci circonda sia tutt’altro che conosciuto.

L’ardua battaglia dei fisici per ridurlo a dimensioni riconoscibili e misurabili, quindi ad un universo finito, si scontra costantemente con il concetto di infinito postulato da filosofi e matematici, dando vita ad una continua, soprattutto negli ultimi secoli, revisione dei risultati raggiunti che ha dialetticamente dato vita a nuove conoscenze e nuove domande.

Un ciclo infinito di domande, congetture, ipotesi, teorie che sembra essersi sviluppato da quando gli uomini iniziarono ad alzare gli occhi verso il cielo e a cercare, da un lato, di utilizzarlo per i propri spostamenti e il proprio orientamento e, dall’altro, di interpretarne le dimensioni, la distanza, la sostanza e il significato per la specie stessa e il mondo che abitava.

Ciclo infinito che ci rivela come spesso il limite, oltre che di carattere strumentale e conoscitivo, sia stato spesso di carattere ideologico, politico o religioso. Limite non sempre e soltanto posto dagli interessi del potere e dell’autorità. Come dimostra il caso della difesa a spada tratta del sistema geocentrico e tolemaico fatta sia dagli anabattisti che dall’Inquisizione e dalla Congrega dell’Indice che operavano in nome dell’autorità della Chiesa romana contro qualsiasi tipo di eresia.

Una storia complessa e tortuosa quella del progressivo allargamento delle conoscenze geografiche e astronomiche, prima, e astrofisiche e astrobiologiche poi. Una storia contraddittoria che ha costretto e costringe gli uomini che se ne occupavano e ancora se ne occupano a fare i conti con i loro limiti e il loro riduttivo antropocentrismo. Soprattutto oggi che la possibilità di individuare pianeti sui quali la vita sia possibile si fa via via più vicina, costringendo gli scienziati a chiedersi sotto quali altre forme e strutture chimiche, magari non basate sul carbonio, la vita e l’intelligenza possano manifestarsi.

Una storia in cui speculazioni e congetture, una volta liberata la strada da dogmi e divieti, sono state rigettate soltanto in base alla loro erroneità sperimentale ed empirica, in una sorta di labirinto degli specchi in cui dall’osservazione empirica si passa alle congetture e ai postulati, per poi tornare alla dimostrazione sperimentale ed empirica.

Stiamo attenti, ciò che questa storia dimostra è che nemmeno il calcolo e la dimostrazione matematica bastano a confermare un’ipotesi, se poi questa non è verificabile strumentalmente. Prova ne sia l’attitudine galileiana all’osservazione dei fenomeni celesti attraverso un cannocchiale (strumento che tra XVI e XVII secolo stava muovendo i primi passi), nonostante il fatto che a convincere Galileo della corretta (e poi superata) concezione copernicana del sistema solare fossero stati inizialmente i calcoli dello studioso polacco.

Quindi quello che questa ricostruzione ci suggerisce è che il cammino della conoscenza è costituito da un continuo scambio ed elaborazione di informazioni tra osservazione empirica, lavoro dell’immaginazione (congetture e ipotesi) e loro conferma (o meno) a livello empirico e/o strumentale. Un metodo che suggerisce qualcosa anche a chi si occupa di altro, ad esempio della critica dell’esistente. Che evidentemente non può essere affrontata sostituendo dogmi con altri dogmi.

Per finire va perciò detto che l’utilità e l’importanza del testo dei due studiosi più che nella storia delle vicende e delle osservazioni di alcuni individui importantissimi per lo sviluppo delle conoscenze umane (Dante, Levi ben Gershon, Niccolò Cusano, Galileo Galilei, William Herschel o Fritz Zwicky, soltanto per citarne alcuni), consiste proprio nelle riflessioni che costringe il lettore a fare, quando questo si rende conto, come è successo nei secoli per la comunità degli scienziati, che per quanto lontano si riesca ad osservare c’è sempre qualcosa da scoprire oltre.

Un testo, infine, che nel triste panorama scolastico italiano forse dovrebbe essere prima letto e poi adottato dai docenti, sia delle discipline scientifiche che di quelle umanistiche, per insegnare agli studenti a porsi nuove domande e ad andare oltre. Ma questo è davvero chiedere e sperare troppo.