di Walter Catalano

[Il seguente pezzo è, con qualche variante, una delle voci per autore che costituirà la Guida alla letteratura noir, di Walter Catalano, Luca Ortino, Giuseppe Panella e Pasquale Pede, di prossima uscita per Odoya.]

Fredric William Brown (Cincinnati, 29 ottobre 1906 – Tucson, 11 marzo 1972) è stato uno degli scrittori più raffinati e intelligenti formatisi alla scuola del pulp e passati poi al paperback e ai volumi rilegati tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’60. La sua eccezionale maestria si manifesta con identica compiutezza all’interno di più generi: il mystery (che è il primo affrontato, fin dal 1936), la fantascienza (dal 1941, dove l’autore acquisisce forse la più vasta notorietà) e il  noir (con alcuni romanzi, il primo dei quali, Sangue nel vicolo-The Fabulous Clipjoint, del 1947, si aggiudica subito il Premio Edgar Allan Poe come miglior opera prima). L’originalità e la profondità delle sue opere in questi ambiti è ineguagliata: Fredric Brown è, tra le altre cose, un grande umorista e come tutti gli umoristi – il maestro Mark Twain o l’amaro Ambrose Bierce, per restare negli USA, ne sono gli esempi più eclatanti – un uomo con una visione profondamente tragica della vita. La sua ironia metafisica, il suo humor nero che André Breton e i surrealisti avrebbero condiviso, emerge particolarmente nelle storie fantascientifiche dove realizza capolavori indiscussi: Assurdo universo (What Mad Universe) del 1949 o Marziani andate a casa ! (Martians, Go Home !) del 1955, veri roman philosophique travestiti da science fiction comica, pieni di riflessioni sulla scrittura, sulla follia, sull’alcolismo, sulla natura umana; Vieni e impazzisci (Come and Go Mad), novelette del 1949, vertice di nihilismo cosmico (e comico) degno del miglior Lovecraft (ma senza “mostri” e “abominazioni” manifeste) e del Vonnegut più cattivo, passando per Beckett e Artaud; o, tra i racconti (tutti brevissimi e fulminanti, barzellette abissali di mezza pagina), classici immortali come Sentinella (Sentry) del 1955, La risposta (Answer) del 1964 o il più lungo Arena del 1944. Anche nei suoi mystery prevalgono i toni noir con registri che spaziano tra il sarcasmo e la disperazione. I suoi protagonisti sono in genere outcasts della società americana: perdenti, falliti, spesso alcolizzati, coinvolti per caso o per scelta in ingranaggi più grandi di loro che finiranno, se non per stritolarli, per metterli definitivamente al margine senza riscatto né redenzione: in essi predatore e preda, vittima e carnefice, salvezza e perdizione si rivelano termini complementari e intercambiabili.

La vita di Brown non gli risparmia fin dall’inizio fatiche e dolori, precocemente orfano di entrambi i genitori è costretto a provvedere a se stesso ancora ragazzo, lavorando come factotum nell’ufficio di un’azienda produttrice di macchinari da lavoro e quest’esperienza gli fornirà il materiale autobiografico per il suo unico romanzo mainstream, The Office, del 1958. Negli anni seguenti una sequela di mestieri disparati: stenografo, agente assicurativo, bibliotecario, commesso, lavapiatti, bigliettaio di bus, perfino detective e attrezzista in un Luna Park itinerante (altre esperienze di cui farà tesoro come scrittore) e un’avventura come hobo, vagabondando vanamente in cerca di fortuna fino in California. Tornato a Milwaukee trova impiego stabile come correttore di bozze in una tipografia locale, impiego che non abbandonerà per 17 anni, e contemporaneamente comincia con successo a pubblicare le sue prime collaborazioni giornalistiche su periodici prima locali e poi nazionali. Nel 1937 il suo primo detective-thriller, Monday’s an Off Night, viene accettato da un editore pulp e da quel momento Brown si lancia in una frenetica attività letteraria notturna che non giova a rinsaldare il suo primo rapporto coniugale finito poco felicemente nel 1948, quando lo scrittore potrà finalmente permettersi di affrontare le spese di divorzio. Anche la sua salute è sempre più fragile e quando tenta di arruolarsi all’entrata in guerra degli USA nel 1941, viene riformato; nello stesso anno, per trovare sollievo all’asma e alle numerose allergie che gli imponevano spesso l’uso della bombola ad ossigeno, fu costretto a trasferirsi a sud, ad Albuquerque, New Mexico. Le prime storie di Brown hanno fin da quasi subito una struttura riconoscibile: protagonisti sui generis – giornalisti, agenti assicurativi o sbirri – dinamici ma sottovalutati (come Carter Monk che appare in tre storie, Deadpan, in due, o Carey Six, in due), risolvono il caso (con una buona dose di violenza e omicidi lungo il percorso) e ottengono il premio desiderato. Brown sottolineò nel 1940, polemizzando in una lettera contro il personaggio di Superman, da due anni alla ribalta, che per lui al contrario il protagonista ideale era “un tipo perfettamente ordinario, nient’affatto un modello di forza o di coraggio, che, senza sua colpa, si trova nei guai con dei criminali più forti di lui e con il coraggio della disperazione riesce a ribaltare la situazione e uscirne vincente”.

Una certa componente filosofica e l’evocazione di scenari pittoreschi come il circo, il Luna Park, i baracconi dei Freaks, la fiera popolare o Carnival, come la chiamano gli americani, già emergono come suoi aspetti caratteristici. Dopo un buon numero di questi racconti, di varia lunghezza e qualità, pubblicati tra il 1937 e i primi anni ’40 sui pulp più disparati del settore, da Detective Story a Thrilling Detective, da Detective Fiction Weekly a Dime Mystery, lo scrittore è ormai pronto per il romanzo e dal 1944 intraprende la stesura di The Fabulous Clipjoint, recandosi a fare ricerche sul campo negli slums di Chicago, dove la storia è ambientata, e attingendo di nuovo alle reminescenze, soprattutto gergali, del suo periodo lavorativo come inserviente in un Luna Park. Per un paio di anni l’autore ricevette continui, demoralizzanti rifiuti da parte di molti editori ai quali sottopose il romanzo: ad alcuni la storia appariva troppo naturalistica e realistica – personaggi della working class, espliciti richiami al sesso, cruda rappresentazione dell’alcolismo, ecc. – per un mystery, ma alla fine il testo fu serializzato in forma accorciata su Mystery Book Magazine, con il titolo cambiato di Dead Man’s Indemnity, e l’anno seguente, venne pubblicato in forma integrale e con il titolo originale, in volume, ottenendo unanimi consensi ed il prestigioso premio Poe. Brown non ne era ancora pienamente consapevole, ma aveva messo in campo la prima avventura di Ed e Am, nipote e zio, gli unici due detective seriali da lui inventati. Questa prima storia, probabilmente la migliore di tutto il ciclo, vede l’incontro dei due parenti per indagare sul misterioso assassinio del padre di Ed e fratello di Am. Si tratta, come sempre in Brown, di un testo molto più complesso di quello che sembra all’apparenza: un vero e proprio bildungroman – l’iniziazione alla vita adulta del diciannovenne Ed – travestito da detective thriller, in cui ambiente e caratterizzazione dei personaggi, con forti elementi autobiografici, prevalgono sull’intreccio, sabotando il mystery tradizionale e, rispettosamente, satireggiando le convenzioni dell’hard-boiled. Come notò Ron Goulart: ”C’è una sensibilità che sostanzia il romanzo, un apprezzamento profondo per quella gente che deve farsi largo nei bassifondi e riesce nonostante tutto a restare onesta”.

Brown aveva firmato con l’editore Dutton un contratto per otto romanzi – nel 1948 può finalmente vivere di sola letteratura, divorziare e risposarsi con la nuova compagna Elizabeth Charlier – e cercava un’idea: niente di meglio che trovare un seguito per la saga di Ed e Am Hunter, detective dilettanti che tanto successo avevano riscosso alla loro prima apparizione. Combinando elementi disparati da varie vecchie storie pubblicate sui pulp e rimodellandole a formare un nuovo plot, lo scrittore termina entro l’anno il suo secondo romanzo  Delitto senza preludio (The Dead Ringer), che fu pubblicato, come il precedente, prima serializzato su Mystery Book Magazine, e poi in volume da Dutton. In seguito i casi polizieschi risolti da Ed&Am verranno articolati in sette romanzi: nel 1949, The Bloody Moonlight, inedito in italiano; nel 1950, Un caso su mille (Compliments of a Fiend); nel 1951, Uno strano cliente (Death Has Many Doors); nel 1959,  La morte viene dalla strada (The Late Lamented); nel 1963, Mrs. Murphy’s Underpants, anche questo inedito in italiano. Zio e nipote, nel corso del ciclo narrativo, lasciano il Luna Park dove sono ambientati i primi due romanzi e iniziano nel terzo romanzo a lavorare professionalmente per la Starlock Detective Agency, in seguito, dal quinto romanzo, si metteranno in proprio con la Hunter&Hunter Detective Agency. I plot sono come sempre originali e ingegnosi tirando in campo le teorie complottiste del  ricercatore di fenomeni anomali Charles Fort, sedicenti Marziani che tenteranno il classico delitto della camera chiusa, induzioni post-ipnotiche suicide e vari macchinismi divertenti ma che ci conducono ormai ben lontano dal noir, al cui alveo solo il primo romanzo è, in parte, riconducibile. Ed, di storia in storia, cresce come uomo e investigatore, suona sempre meglio il trombone jazz e ha numerosi love affair con belle fanciulle ma, nel corso degli anni, la qualità delle sue avventure decade dal livello di indimenticabile classico a quello di intrattenimento leggero.

La vena profondamente pessimistica, saturnina e nera dell’autore si rivela in altre opere estranee al ciclo mystery dei due simpatici detective. Un esempio emblematico è dato da una storia il cui incipit racchiude già un’intera visione del mondo: “C’è una simpatica storiella paurosa su un contadino che s’incammina per una foresta infestata, una foresta, diceva la gente, abitata da demoni che si prendevano ogni mortale che passava di lì. Ma il contadino pensava, mentre procedeva lentamente:’Sono un brav’uomo e non ho fatto alcun male. Se i demoni possono nuocermi, allora non c’è alcuna giustizia”. Una voce dietro di lui disse: “Infatti non ce n’è ”. Si tratta di A Voice Behind Him, pubblicata nel 1946 su Mystery Book Magazine: il protagonista, The Great Raimondi, il proiettile umano che si fa sparare da un cannone in un circo di provincia, litiga aspramente con la moglie che minaccia di ucciderlo se lui la lascerà; alla sera l’uomo fa il suo numero per l’ultima volta, lascia un biglietto di addio alla consorte e si avvia lungo i binari ferroviari per prendere al volo il primo treno; all’improvviso un’ombra dietro di lui ed un braccio proteso come a pugnalarlo gli fanno ricordare la minaccia della compagna: istintivamente si volta per difendersi, pugnalando a sua volta l’assalitrice, proprio sua moglie, e uccidendola; in quel momento compare in lontananza il treno e lui non sente alcun rumore: si accorge così di avere ancora negli orecchi la cera che gli ripara i timpani dal colpo di cannone; non ha potuto udire le preghiere della povera donna, che non impugnava affatto un coltello, e lo stava solo supplicando di non lasciarla: compreso in un attimo il tragico errore, l’uomo volta le spalle al treno in arrivo e si lascia investire.

Altro celeberrimo esempio noir da manuale fra le sue storie brevi e Don’t Look Behind You (tradotto in italiano come Non ti voltare), pubblicato nel 1947 su Ellery Queen’s Mystery Magazine, classico esempio della sua vena narrativa più sperimentale: il narratore si rivolge direttamente al lettore nell’incipit, “Adesso appoggiati indietro e rilassati. Cerca di gustare questo racconto, sarà l’ultimo che leggerai, o quasi l’ultimo”. Chi parla è Justin Dean, un tipografo, ma il lettore ancora non lo sa, finchè lui racconta la prima parte della storia in terza persona, come fosse qualcun altro. Un certo Harley Prentice lo ha ingaggiato per stampare banconote false da cinque e dieci dollari. L’attività illegale funziona per un po’ finchè Harley allarmato non chiama il complice ordinandogli di distruggere subito le matrici e bruciare ciò che resta delle banconote rimaste. Nonostante le tardive precauzioni, Harley viene ucciso e Dean interrogato dalla polizia con un trattamento così energico che sembra farlo impazzire. Ricoverato in ospedale si lascia ingenuamente condurre fuori dai complici di Harley che lo torturano per farsi rivelare il nascondiglio delle matrici e infine lo gettano in una palude. Dean impazzisce definitivamente ed ha la visione fantomatica di Harley che lo conduce in salvo fuori della palude: lungo la strada uccide una contadina, poi un uomo e continua a uccidere chiunque si pari sul suo cammino ubbidendo agli ordini di Harley con lo scopo di raggiungere gli uomini che lo hanno torturato. Poi rivela al lettore della scommessa che ha fatto con il fantasma: riuscirà perfino ad uccidere qualcuno a coltellate spiegandogli prima perché e quando. La vittima designata è proprio il lettore del racconto e Dean, non per niente tipografo, ha inserito il testo appositamente nella sua copia del libro proprio per avvertirlo dell’imminente omicidio e poi vincere la scommessa, e la conclusione giunge raggelante: ”Su, continua, ancora un poco. Pensa che questa è solo una storia inventata. Non ti voltare. Non crederci, finchè non sentirai il coltello”.

Brown continua a scrivere racconti (in tutto sono oltre 300) e – soprattutto in ambito fantascientifico – le sue fulminanti short-short stories di mezza pagina, anche dopo la crisi delle riviste pulp e fino al 1957, ma ormai la sua attività letteraria è soprattutto centrata sui romanzi. Escludendo quelli di fantascienza, la sua produzione comprende sia polizieschi di intrigo molto ben congegnati, ma che esulerebbero dalla nostra ricerca, sia noir veri e propri: non sempre è facile discriminare gli uni dagli altri perché in essi intreccio macchinoso a puzzle e atmosfera plumbea, humor nero ed esistenzialismo, raziocinio ed allucinazione, si compenetrano ed interscambiano. Nella prima categoria tenderemmo a includere (e citiamo solo i migliori esempi dei 28 romanzi che Brown scrisse) tutti i testi in cui prevale il tono umoristico, divertente e divertito, in cui vengono condotte indagini cervellotiche e bizzarre, come quella che vede un assassino vestito da Babbo Natale commettere omicidi seguendo l’intreccio dei radiodrammi polizieschi di un povero sceneggiatore radiofonico costretto a improvvisarsi detective di Murder Can Be Fun del 1948, noto da noi come Il delitto che diverte oppure I delitti di Babbo Natale (titolo originale, in realtà, della storia breve di cui il romanzo è l’espansione); oppure di Night of the Jabberwock del 1951, da noi Tutto in una notte, in cui un giornalista avvinazzato in una sonnacchiosa città di provincia deve discolparsi da un triplice omicidio districando le fantasie immaginifiche dell’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll; o in We All Killed Grandma del 1952, da noi Ho ucciso mia nonna ?, in cui il protagonista deve venire a capo della sua amnesia e scoprire se ha davvero assassinato la sua ricca nonna.

Nella seconda categoria, tra i noir veri e propri invece, domina incontrastato il tema della follia in tutte le sue possibili declinazioni: come nel suo capolavoro The Screaming Mimi del 1949, in italiano La statua che urla, in cui per la prima volta la figura del serial-killer prende corpo concretamente in quello seducente di una femme fatale che uccide altre femmes fatales, secondo un rituale ossessivo di identificazione espresso dalla statuetta urlante che la ritrae nuda nel momento in cui viene aggredita, costringendola ad emulare, in un’interminabile coazione a ripetere, l’aggressione subita. Bella e Bestia contemporaneamente, come la danza/strip-tease che interpreta nel night-club dove lavora – Dario Argento riprese ampiamente il tema senza citarne la fonte, nel suo primo film L’uccello dalle piume di cristallo – Yolanda/Bessie è lo Squartatore, ma è anche la sua vittima, come le altre vittime, Lola Brent e Dorothy Lee, le giovani donne da lei uccise, semplici pedine di un cieco gioco del destino che sempre finisce in scacco matto; lo stesso protagonista, è tutt’altro che un eroe: giornalista (scrive per un periodico di Chicago che si chiama Blade, lama, ma soffre di fobia per le lame…), irlandese, alcolizzato, ridotto a dormire sulle panchine senza cambiarsi l’abito da una settimana come un barbone, e amico di un barbone alcolizzato che si chiama God, Dio: risolverà il caso e ritornerà nelle ultime pagine sulla stessa panchina, sbronzo, come all’inizio del romanzo a condividere la sua bottiglia con Dio; diverse pedine dello stesso gioco. Oppure come in Here Comes A Candle, del 1950, mai tradotto in italiano per la sua struttura troppo sperimentale: 25 capitoli divisi in sei sezioni a loro volta divise in sei intersezioni composte in formati spuri (sceneggiatura, copione radiofonico, articolo di giornale, telecronaca, ecc.). Uno psicho-thriller che narra di un giovane torturato dal complesso di colpa di aver denunciato il padre – poi ucciso dalla polizia durante lo scontro a fuoco conseguente a una rapina – terrorizzato dalle candele e dalle asce, ossessionato dalla nursery rhyme che dà il titolo al libro, e che finirà per uccidere la ragazza che ama e suicidarsi. Oppure in The Far Cry (Grido di morte), del 1951, un altro dei suoi romanzi migliori, ambientato a Taos, New Mexico, altro luogo, come Chicago, dove lo scrittore visse a lungo e che conosceva nei minimi dettagli e che gli permette di esplorare in modo non banale le relazioni conflittuali fra gringos anglosassoni e  ispano-americani: qui George Weaver, un agente immobiliare convalescente per un esaurimento nervoso affitta la casa in cui otto anni prima è stata uccisa una ragazza, Jenny Ames; George è un uomo instabile, in grave crisi con la moglie, depresso, alcolizzato – come tutti i protagonisti di Brown, e, in certa misura, Brown stesso – e sviluppa un’insana ossessione romantica per la ragazza morta, conserva due valige contenenti oggetti di sua proprietà con feticistica reverenza mentre cerca di fare più luce sul suo assassinio: paradossalmente il fantasma idealizzato di una ragazza morta che non ha mai incontrato è preferibile alla realtà corporea di sua moglie – “Torna alla vita e alla luce – si dice dopo aver visitato la tomba della ragazza – non importa come si mostrerà questa luce, sarà sempre meglio della morte e delle tenebre. E’ davvero così ?” – seguendo le tracce della vittima George scopre che il corpo ritrovato dalla polizia non corrisponde alla descrizione che la madre di Jenny ha fatto della figlia: quindi o la ragazza è fuggita e non è morta, o ci sono stati più delitti: George si convince che in realtà la descrizione corrisponde perfettamente a quella di sua moglie otto anni prima, anche tempi e circostanze corrispondono: sua moglie è Jenny invecchiata e ingrassata. Il suo amore ideale lo ha lasciato con niente, nemmeno la certezza di un corpo in una tomba: George Weaver prende un coltello in cucina e si trasforma in George Nelson, l’odiato assassino di Jenny: la storia si conclude con lo stesso paragrafo iniziale in cui è descritto l’omicidio. Oppure in Madball, del 1953, mai tradotto in italiano, una delle sue storie più cupe, dove nessuno è felice e niente finisce bene ed in cui torna lo scenario del Carnival e del Luna Park, stavolta non più idealizzato in termini pittoreschi ma reso squallido e sordido: c’è un baraccone “Mystery of Sex”, in cui sono in mostra feti di vitelli a due teste in formaldeide (in realtà fantocci di gomma, ci viene svelato: tutto è falso nel Carnival, ma proprio dentro alcuni di questi finti mostri è nascosta la refurtiva di una rapina) e si vendono libri pornografici, le ragazze in mostra sono tutte prostitute e il gestore, un omosessuale pedofilo, sodomizza un ragazzino fuggito da un orfanotrofio; l’improvvisato detective è un mago da circo alcolizzato che, ubriaco fradicio, vedrà nel madball, la sua sfera di cristallo, l’esplosione che lo ucciderà: ogni cosa, compreso il denaro cercato da tutti i personaggi nel corso del romanzo, finirà in fiamme.

Ricordiamo, più rapidamente, i meno riusciti The Deep End (Gorgo fatale) del 1951 e His Name Was Death (Il suo nome era morte), del 1954, ma soprattutto l’ottimo The Wench is Dead, del 1955, titolo banalizzato in italiano come Indagine a Skid Row: in realtà The Wench is Dead, la fanciulla è morta, è una citazione; riprende infatti un passo da The Jew of Malta di Christopher Marlowe, posto ad epigrafe del libro: “Ma questo è avvenuto in un’altra città, e inoltre la fanciulla è morta…”, l’implicito significato, chiave del romanzo, è che il peccato deve essere dimenticato perché commesso molto tempo fa e molto lontano, con qualcuno che non c’è più. Poco interessa a Brown l’intreccio giallo che è forse il meno intricato fra quelli da lui escogitati: in realtà il tema del romanzo è l’alcolismo (ossessione amaramente ricorrente nell’opera dello scrittore statunitense) e la linea impercettibile che separa la “sanità” dalla “malattia”, il “normale” dall'”eccessivo”, l'”autonomia” dalla “dipendenza”. Come è consuetudine si tratta dell’ennesimo romanzo filosofico travestito da pulp: la metafora di un professore di sociologia che trascorre il suo anno sabbatico studiando i bassifondi come “osservatore-partecipante” ed è alla fine tanto sedotto dalla propria degradazione da non riuscire più ad abbandonarli. Con l’abituale disinvoltura riguardo alle questioni sessuali, Brown sfida l’America puritana del pieno maccarthismo, mettendo in scena con estremo candore, il menage familiare fra una simpatica prostituta e il suo compagno – il protagonista – che accetta in tutta naturalezza il mestiere dell’amata.

In The Lenient Beast (La belva nella città) del 1956, invece torna il tema del pregiudizio, razziale e religioso e del contrasto fra wasp e ispanici negli stati del sud ovest degli USA, con risultati meno eclatanti ma comunque soddisfacenti; dal 1958 al 1963, anno in cui interrompe l’attività letteraria, Brown pubblica altri sette romanzi, tutti di livello accettabile ma decisamente inferiori agli standard precedenti dell’autore, fra tutti spicca forse solo Knock Three-One-Two (La notte dello psico) del 1959, avvincente storia di serial-killer, scandita non da capitoli ma dal cronometraggio dei tempi in cui i fatti accadono: un ammirevole tour de force della suspense, conclusa da un più unico che raro lieto fine. Brown scrive ancora un paio di storie brevi nel 1964 e nel 1965, e poi depone definitivamente la penna fino al 1972, anno della sua morte.

E’ un vero peccato che questo grande protagonista della narrativa popolare – colto, problematico, non consolatorio, eppure ironico, divertente, accattivante, – sia stato quasi dimenticato, soprattutto nel nostro paese. Speriamo anche con questo piccolo omaggio alla sua memoria, di aver contribuito a invogliare qualche lettore a ricercare di nuovo i libri di Brown, ormai quasi usciti dalla circolazione, e a scoprirli o riscoprirli come meritano.

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

 

Sangue nel vicolo, Longanesi I Gialli proibiti 1954

Delitto senza preludio, I Gialli Elite n. 10 1957

Il delitto che diverte, Longanesi I gialli Proibiti N° 15 1954

La statua che urla, traduzione di Gianna Tornabuoni, I Classici del Giallo Mondadori (n.806), 1953, pp. 220.

Un caso su mille, Il Giallo Mondadori n. 232 1974

Tutto in una notte, Il Giallo Mondadori n. 2233 1991

Uno strano cliente, I Classici del Giallo Mondadori n. 932 2002

Grido di morte, Il Giallo Mondadori n. 2137 1990

Ho ucciso mia nonna?, Garzanti Serie Gialla n. 77  2010

Gorgo fatale, Garzanti Serie Gialla n. 31 1964

Madball, Dell Publishing Company, New York 1953

Il suo nome era morte, Garzanti Serie Gialla n. 65 1955

Indagine a Skid Row, Il Giallo Mondadori n. 2287 1992

La belva nella città, I Gialli del Secolo n. 308 1958

La notte dello psico, Classici del Giallo Mondadori n. 714 1994

Non ti voltare, in Ellery Queen Estate gialla 18 racconti del brivido, supplemento a il Giallo Mondadori n. 804 1964

– Jack Seabrook, Martians and Misplaced Clues: The Life and Work of Fredric Brown, Bowling Green State University Press 1993