di Danilo Arona

Nyarlathotep(Un sunto della prefazione al libro di Angelo Cerchi Le radici del Necronomicon, edizioni Lanterna Magica, Palermo 2017)

La discussione è annosa. Ed è ripartita implacabile all’uscita del primo libro di Angelo Cerchi (H.P. Lovecraft – Il culto segreto). In una potente quanto inadeguata sintesi, da un lato i difensori del dogma lovecraftiano che attestano l’estraneità del mondo dello scrittore di Providence allo sterminato magma esoterico/religioso nato a ridosso della sua opera, grazie soprattutto alla creazione letteraria del Necronomicon (nei cui meandri interpretativi non intendo perdermi), e dall’altro un movimento in espansione che reputa possibile la complicità, più o meno consapevole, di HPL ad alcuni temi vincolanti della sua opera, primo fra tutti l’occultismo praticato – tanto ai tempi dello scrittore quanto oggi – da quelli che Kenneth Grant ha felicemente battezzato i Culti dell’Ombra[1].

In questa seconda corrente, “eretica” per capirci, ha trovato spazio l’interessante e succitato saggio di Cerchi, contro il quale non pochi si sono scagliati, senza forse neppure averlo letto, magari accontentandosi di un mio divertito commento apparso su Carmilla On Line nell’aprile del 2015[2]. Con buona probabilità succederà ancora con questo, nuovo Le radici del Necronomicon, nel quale Cerchi prosegue la sua indagine con inediti, niente affatto banali spunti che qui non voglio svelare, ma su cui mi preme richiamare l’attenzione attorno all’umile consapevolezza, esibita con prudenza a ogni passo dallo studioso, sulla “possibilità” di un’altra storia dietro alle mitologie del cosiddetto “solitario” di Providence.

Per rinfrescare le memorie, Cerchi nel suo primo libro s’interrogava sulla provenienza dei materiali magico-rituali che abbondano nella narrativa di Lovecraft, adombrando l’ipotesi che il medesimo, durante le sue tante peregrinazioni nel New England, entrasse in contatto con uno o più culti di quell’America rurale spesso immortalata nei racconti, in grado di trasmettergli occulte conoscenze a proposito degli Old Ones. Una condivisione di cui far buon uso in tante, immortali opere e, se Cerchi in questa nuova esplorazione sulle radici del sapere di HPL affonda ancor più il bisturi nel reame della Realtà Fantastica (ma pur sempre Realtà…), vorrei fiancheggiare il suo lavoro partendo da presupposti ancora differenti dai suoi. Al Cerchi saggista vorrei affiancare il tortuoso tragitto dello scrittore Arona. Ok, partiamo.

Per quanto catalogato tra i minori, esiste un breve racconto di HPL, The Lurking Fear, ben noto per alcune sue ricadute cinematografiche. Tradotto coerentemente come La paura in agguato, l’opera tratta, citando lo scrittore medesimo, di “mostri nati da creature viventi, che si moltiplicano di nascosto sottoterra,e formano una razza di demoni di cui nessuno sa nulla”. Con queste esatte parole, nel 1919, HPL annotava su uno dei suoi numerosi fogli di minuta, divenuti noti in seguito come Commonplace Book, uno spunto storico risalente alla Scozia del diciassettesimo secolo rievocante le “gesta”, si fa per dire, di una famiglia di degenerati comandata dal feroce Sawney Bean, un clan incestuoso di donne e uomini che si dedicavano al cannibalismo ai danni di sfortunati viaggiatori che capitavano dalle parti della loro caverna.

Se il tutto vi ricorda i  due film di Wes Craven, Le colline hanno gli occhi 1 e 2 e altrettanti remake, non è che Craven si sia ispirato a Lovecraft come spesso abbiamo letto, ma perché tanto Craven quanto HPL attinsero a quella storia, sulla quale va ricordata l’esistenza di una scuola di pensiero che la relega ai ranghi del cupo folklore scozzese. Su questo non abbiamo dubbi, perché, oltre alla fonte lovecraftiana del Commonplace Book, Craven lo dichiarò ampiamente nel 1977, come da me riportato nel libro del ’99 dedicato a Wes[3]. Peraltro, giusto per cronaca, in modo strisciante il film di Craven rilanciò, vero o falso che fosse, il mito dei Bean, in più di un caso usato come citazione significante e/o soggetto  in film e libri[4]. E, per un evidente gioco di specchi, ripropose all’attenzione il racconto di HPL, The Lurking Fear, la cui autentica versione cinematografica resta quella, omonima, del ’94 di  C. Courtney Joyner, prodotta dalla Fool Moon di Charles Band.

Al di là della filologia, qualche volta necessaria, va da sé che il film di Craven, per quanto attualizzato, e The Lurking Fear raccontino all’incirca la stessa storia. Però quella di HPL la faccio raccontare da Filippo Melani[5], con tanto di suo commento finale, perché è un approccio di assoluto interesse in questo contesto:

Il racconto dello scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft intitolato La paura in agguato e composto nel novembre 1922, quindi nel primo periodo della sua attività, mi ha colpito molto. Infatti, al di là della sua ispirazione a un fatto realmente accaduto, il caso della famiglia Bean in Scozia nel diciassettesimo secolo, esso mostra una trattazione molto interessante del tema del potere oltre a quello già inscritto nel titolo del terrore. In breve intorno alla Montagna della Tempesta (Tempest Mountain) sulla quale troneggia la villa disabitata dell’antica famiglia dei Martense cominciano ad accadere misteriose sparizioni di un numero considerevole di esseri umani. Allo scopo di far luce sull’accaduto il protagonista, memore della misteriosa scomparsa dell’antica famiglia olandese, s’inerpica quindi svariate volte sulle pendici della montagna tempestosa. Dopo numerosi tentativi arriva l’incredibile soluzione: i Martense hanno vissuto per secoli come cannibali nei molteplici cunicoli della montagna incrociandosi tra consanguinei per degenerare in una specie di ominide sottosviluppato. Posso a questo punto far notare alcune caratteristiche interessanti di questa breve narrazione. Innanzi tutto la nobile famiglia olandese ha nascosto la sua presenza sparendo sotto terra per poter perpetrare meglio i suoi macabri scopi. In secondo luogo i Martense hanno praticato l’unione fra consanguinei e il cannibalismo quindi dei sacrifici umani. In terzo luogo il potere della famiglia olandese è proseguito nell’oscurità tramite le sembianze rappresentative di una struttura vuota, ovvero una casa abbandonata, e una rete di gallerie sotterranee. Dunque i Martense sono sopravvissuti grazie all’anonimato, al parassitismo e alla loro rete di passaggi segreti. A ben vedere quindi Lovecraft in questo racconto non ha voluto solo dare una rappresentazione del terrore ma anche un disvelamento di quel meccanismo che in genere chiamiamo Potere. E questo racconto, assieme ad altre opere dell’artista di Providence, avrebbe più tardi ispirato un altro “Re del brivido” come Stephen King per la composizione di It un altro capolavoro sui temi del terrore, del potere e della possessione.

Apprezzo certo la sinossi, ma ancor di più l’approccio interpretativo, secondo me perfetto. E, se mi è permessa l’integrazione, il potere sotterraneo rimanda in primo luogo alle autentiche finalità delle Congreghe, ai luoghi particolari guarda caso esotericamente nominati come “Zone di Potere” e ai cerimoniali segreti che molti gruppi , a ragione o a torto ispirati al mondo di Lovecraft, celebrano a parecchi metri sotto terra – e di luoghi sotterranei abbonda anche in modo coincidente Le radici del Necromicon. Spingendomi ancora più in là, lo ammetto per puro divertissement, si può ricordare la tesi di Kenneth Grant a proposito della convinzione di August Derleth, padre della Arkham House cui dobbiamo la continuazione dei miti di Cthulhu dopo la morte del loro creatore, sulla presenza in Wisconsin di certe “Zone di Potere” la più potente delle quali al fine di favorire l’evocazione dei “Profondi” si troverebbe sotto un lago deserto, luogo frequentato dagli adepti del Culto del Serpente Nero di Michael Bertiaux, da sempre pubblicamente convinto che gli Antichi di Lovecraft sono la dimostrazione che lo scrittore avrebbe avuto relazioni tenaci con i movimenti magici del suo tempo. Poi, se suona come un’ovvia battuta il ricordare che i “Profondi” stanno per definizione sotto terra, è invece statisticamente conclamato che il Wisconsin è la regione americana a più alto numero di sette, congreghe e gruppi magici in genere, tra le quali almeno una loggia simil-massonica dell’Esoteric Order of Dagon, che combina elementi desunti da Aleister Crowley ad altri di provenienza lovecraftiana. Sarà puramente casuale, ma tant’è.

Ma allora chi sono gli abitatori dei cunicoli? I veri detentori di un sapere iniziatico per il quale sono giustificate l’esistenza e la pratica delle congreghe?

Mille mitologie e altrettante metafore si affacciano dietro la storia dei Martense come attorno all’esigenza di riesumare i Profondi da parte dei gruppi esoterici che citano HPL a loro uso e consumo, convinti peraltro che lo scrittore avesse conosciuto, se non frequentato, in vita i loro antenati più o meno legittimi. Inconscio collettivo, l’inferno come spettacolo che potrebbe riemergere (e magari è già accaduto e non ce ne rendiamo conto…), la Terra Cava, il mito dei Nephilim, il mondo ctonio e il potere, appunto, “sotterraneo” delle lobby per non citare il tormentone dei vari bunker dell’Apocalisse. Un congerie nella quale è troppo rischioso perdersi, sintomo di un’archeologia della mente che identifica la sede del vero potere – vero perché occulto – nel mondo di sotto. In questa sconcertante coincidenza s’intravede però la sostanziale differenza tra HPL e i suoi presunti adepti: mentre questi ultimi vorrebbero forse (sempre d’obbligo…) ribaltare il luogo comune e fare della sotterraneità un ambiente per capirci rassicurante (perché a loro i Profondi sono congeniali…), lo scrittore in verità ha sempre ampiamente dimostrato di averne autentico terrore. Nel suo distacco dal mondo a lui contemporaneo HPL cantava, pur temendolo, l’avvento di un’Apocalisse in parte multidimensionale e in parte scaturente dal profondo, dal basso. Questo racconta al protagonista dell’immenso racconto Il richiamo di Cthulhu un adepto del culto:

«… Mi ha rivelato che adorano i Grandi Antichi, i quali vissero molti secoli prima della comparsa degli uomini, e che giunsero dal cielo ai primordi del mondo. Tali Antichi oggi sono sprofondati dentro la terra e sotto il mare, ma i loro corpi morti comunicarono i loro segreti al primo uomo, il quale fu incaricato di fondare un culto che non morisse mai. Il nostro è quel culto. Esso è sempre esistito e sempre esisterà, nascosto nelle lande lontane e nei luoghi oscuri del mondo fino al momento in cui il Grande Sacerdote Cthulhu, dalla sua casa buia nella potente città inabissata di R’lyeh, risorgerà a dominare la Terra. Un giorno Esso chiamerà, quando le stelle saranno pronte, e il culto sarà pronto a liberarlo. Nel frattempo, niente altro deve essere detto. Esiste un segreto che nemmeno la peggiore tortura sarebbe in grado di estorcere. L’umanità non è del tutto sola tra le cose coscienti della Terra; qualcosa è uscita dal buio per visitare i pochi fedeli. Ma non si tratta dei Grandi Antichi. Nessun uomo ha mai veduto gli Antichi. Il simbolo intagliato raffigurava il grande Cthulhu, ma nessuno sa se gli altri Antichi siano fatti nello stesso modo. Nessuno è in grado di decifrare la antica incisione, tuttavia le cose sono state tramandate oralmente. Il rituale cantato non era il segreto, il quale non fu mai affermato, ma solo bisbigliato. Il rituale cantato diceva quanto segue:
“Nella sua casa di R’lyeh, il defunto Cthulhu attende sognando”».

Basterebbe questo passaggio per capire come tanti occultisti di ieri e di oggi si affannano a far proprio Lovecraft. La maggior parte di quelli che ho avvicinato negli anni Novanta quando scrissi con Gian Maria Panizza un libro sui moderni riti occulti[6] non parlavano d’altro: risveglio, riemersione (da un mondo di sotto…), il sogno come comunicazione tra entità ed esseri umani, soglie e mondi infradimensionali. Satana quasi mai citato, perlopiù si preoccupavano a definire il concetto di Male.

Lovecraft era di casa.

[1]   Kenneth Grant, I Culti dell’Ombra, Astrolabio, Roma, 2005.

[2]   D. Arona, L’Antico, gli Antichi e il culto segreto http://www.carmillaonline.com/2015/04/23/… Divertito perché amo l’approccio intelligente e possibilista alla Colin Wilson. Che era uno che sapeva divertirsi anche maneggiando argomenti pesanti.

 

 

[3]          “Avevo fatto delle ricerche alla Biblioteca pubblica di New York sul crimine e gli stupri nella storia. E avevo trovato la storia di una famiglia mostruosa vissuta nella Scozia del diciassettesimo secolo, l’infame clan comandato da Sawney Bean. Costoro erano dei cannibali che vivevano in una grotta a strapiombo sull’oceano e che attiravano in imboscate i viaggiatori che passavano da quelle parti. Tutta quella zona aveva una sinistra reputazione perché la maggior parte di quelli che vi transitavano poi sparivano letteralmente dalla circolazione. Alla fine, un uomo e sua moglie furono aggrediti, e la donna catturata mentre il marito riusciva a fuggire. Costui aveva però visto i suoi aggressori e, trovati dei rinforzi, tornò sul posto dove scoprì la grotta abitata da questa famiglia di venticinque persone con delle cavità che contenevano corpi umani conservati nell’acqua di mare. La famiglia folle e selvaggia fu catturata e condotta a Londra dove tutti furono giustiziati. È a questa storia che mi sono ispirato per descrivere la famiglia de Le colline hanno gli occhi, un clan primitivo che vive in una zona desertica del Nevada dove l’esercito compie esercitazioni e forse anche strani esperimenti. Nella concezione originale, si trattava di un futuristico deserto del ventunesimo secolo, dove due famiglie di superstiti si specchiavano l’una nell’altra, il lato oscuro e il lato illuminato della famiglia americana, senza dimenticare che i cannibali sono anche una delle espressioni del terzo mondo”.

 

[4]   Brad Strickland ne Le ombre, S.K. Tremayne ne La gemella silenziosa, Jack Ketchum in Offspring e nei film Hillside Cannibals di Leigh Scott e Sawney, Flesh of Man di Ricky Wood. Ispiratissimi, poi, al clan dei Bean sono i cannibali della lunga saga di Wrong Turn, forte a oggi di sei titoli.

[5]   http://www.novostilos.it/il-potere-in-agguato/

[6]   Satana ti vuole, Corbaccio, Milano, 1995.