di Cassandra Velicogna

giochi di ruolo la stanza profonda carmilla Vanni Santoni Laterza cassandra velicognaVanni Santoni La stanza profonda, Laterza, Roma-Bari, 2017, 151 pp, 14 € collana “Solaris”

Parola chiave per entrare nell’atmosfera del nuovo libro di Vanni Santoni è immergersi. Immergersi nel gioco, nell’immaginazione, nei ricordi, nel Dungeon (parola “intraducibile”), nella stanza profonda. Ma da lì poi risalire e riportare tanto con sé. Ecco uno dei vettori della lettura e forse anche della stesura di quello che avrebbe dovuto essere a buon diritto (vedi la collana, vedi l’editore) un oggetto ibrido tra saggio e romanzo incentrato sui giochi di ruolo. In realtà non lo è, come il precedente Muro di casse (sui free party) : sono entrambi romanzi. Bei romanzi, libri dai quali si emerge con altro oltre al puro divertimento proprio della narrativa: con informazioni, nozioni, riflessioni. Ma non sono forse questo, i buoni romanzi?
Se ne sono accorti anche alla Fondazione Bellonci, e ora staremo a vedere se La stanza profonda, con la sua bella copertina firmata dal guru Riccardo Falcinelli, finirà in cinquina. Sarebbe un ulteriore passo per svecchiare il premio del liquore giallastro. Passata la sbornia della non-fiction narrativa, dunque, possiamo complimentarci per un escamotage che proprio da romanzo non è, ovvero l’utilizzo delle note all’interno del testo: grazie a queste si scopre (sembra di guardare un documentario) la storia dei giochi di ruolo, veri protagonisti del libro.
Dalle note scopriamo per esempio i nomi dei maggiori giochi di ruolo — “abbiamo allora Dungeons & Dragons (1974); poi Empire of the Petal Throne (1975), prima ambientazione originale lontana dai cliché; Tunnels & Trolls (1975), primo clone di D&D e primo gioco a introdurre elementi umoristici; Traveller (1977), primo GdR di fantascienza; RuneQuest (1978), primo a introdurre le abilità; Rolemaster (1980), primo a introdurre i critici e primo tentativo di “summa”; Il richiamo di Cthulhu (1981), primo horror e archetipo delle forme di gioco moderne; Champions (1981), primo GdR di supereroi e primo dotato di un unico sistema a punti che regola ogni aspetto dei personaggi; Toon e Paranoia (1984), primi GdR umoristici e che superano il concetto di morte del personaggio; Kata Kumbas (1984), primo italiano, e al pari coi precedenti nell’aver portato lo humour nei GdR. GURPS (1986), primo regolamento universale; Wahammer Fantasy Roleplay (1986), via inglese al GdR che anticipa quel genere “grimdark” che avrebbe spopolato trent’anni dopo nella fiction; Ars Magica (1987), primo GdR a favorire lo storytelling; Cyberpunk 2013 (poi 2020, 1988), primo a introdurre il background del personaggio; Amber (1991), primo senza dadi; Vampire: The Masquerade (1991), l’arrivo dello storytelling maturo; Savage Worlds (2003), che segna il rifiuto della complessità a vantaggio della possibilità di giocare subito; Dogs in the Vineyard (2004)”— il loro rapporto con i wargame e la parentela con i librigame (EL editore, lo stesso del primo manuale Advanced D&D).
Individuato l’oggetto, ecco un abbozzo della trama: un dungeon master torna dopo qualche anno alla casa dei genitori nella quale ritrova la “stanza  profonda”, teatro delle mille campagne con un nucleo di giocatori fisso e qualche giocatore “fluttuante”. Ripercorre la sua storia con i giochi di ruolo e con il gruppo dei giocatori, dalla frustrazione infantile di non avere compagni, fino allo sfilacciarsi del gruppo e alla fine delle sessioni fisse del martedì sera. Elemento fondamentale della vicenda è l’ambientazione:  il piccolo paese in Valdarno dove si svolge la vicenda. Il protagonista ora vive a Firenze, il distacco temporale e spaziale, seppur breve, servono per meglio processare non solo il rapporto con quei “nerd” che fingevano di essere maghi, mezzi uomini, guerrieri o vampiri, ma anche il cambiamento demografico, la conta dei negozi che aprirono negli anni Ottanta ed oggi non ci sono più, i giochi dei ragazzini migranti che ora affollano la piazza del paese e la penna del vigile che li multa…
Non solo questo aggiunge parecchio alla trama, ma fa del libro un lavoro completo, prezioso anche per chi non ha mai tirato un d20. Il cuore della vicenda riguarda però gli appuntamenti nella stanza profonda dove il master organizza campagne sempre diverse alle quali si intrecciano le vite dei ragazzi del gruppo. Ci sono anche dei colpi di scena, davvero originali, ma quelli non li sveliamo.
Invece bisogna indagare sul perché l’utilizzo dei GdR renda questo libro esaltante, nuovo e al contempo parte di qualcosa. Santoni, che ho seguito in un paio di presentazioni (a Book Pride con Luigi Serafini!), ma che ben lo spiega anche nel libro, parte dal presupposto che il GdR crei “community” di giocatori basate sull’orizzontalità. Un gioco in cui non esiste un vero vincitore, che non prevede una grossa spesa e non ha potenzialmente una fine è una rarità nella storia dell’intrattenimento ludico. In effetti la nostra società incentiva passatempi (o sport) basati sul prevalere di uno su tutti i giocatori, che si tratti di atletica o di poker, ma anche del Monopoli o degli altri giochi da tavolo. Il più bravo vince, il più ricco si porta via tutto… Nei GdR questo non succede.
Effetto parallelo, ma forse anche parte della catena causale, il fatto che i giocatori (mezzo milione nel momento di massima popolarità, ovvero gli anni Ottanta) fossero considerati disadattati, nerd, una “nicchia” che immaginiamo popolata da esseri al limite del grottesco. Insomma gente che forse sarebbe stata utile con dei calcoli ingegneristici, ma di sicuro non avrebbe guidato grandi aziende e soprattutto non ti avrebbe soffiato la donna (o l’uomo) della tua vita…
Ok, ci sta: i nerd giocano a Dungeons & Dragons e sono emarginati. Fino a che un giorno — quando è iniziato tutto questo, con i film di Peter Jasckson? — la gente si sveglia e inizia a leggere J.R.R. Tolkien, vedere Games of Thrones, esaltarsi quando i robottoni di Pacific Rim sconfiggono i Kaiju e qualcosa cambia. La (sotto)cultura nerd ha vinto, o almeno è diventata di massa.
In ben due serie di culto si gioca a D&D: la prima è IT Crowd, (ve la consiglio, altro che Big Bang Theory). La serie britannica che narra di due nerd confinati nel reparto information technology di una grandissima azienda, che putacaso sta nello scantinato dell’azienda. Quando, per uno scherzo della sorte, si trovano a dover intrattenere i delegati delle aziende partner in giacca e cravatta, non li portano al night club come da prassi. Gli allestiscono nella propria stanza profonda (il reparto IT) una campagna di D&D, con tanto di effetti sonori. Inutile dire che l’esito è che gli ignari uomini d’affari si divertono tantissimo e ne vogliono ancora… Altra serie: più conosciuta, recente e ancor più cult è Stranger Thigs, che dell’estetica anni Ottanta ha fatto una vera e propria poetica. Come passano le loro giornate i quattro impavidi ragazzini che salveranno la città da un mostro terribile? Ma è ovvio, giocando a D&D nel “tinello” della casa dei genitori. Un posto talmente pieno di cose che servirà anche come rifugio per la strana ragazzina dal nome numerico, proprio come lo scantinato del nostro romanzo…
Situazioni simili, tematiche affini, ragazzi che con atteggiamento carbonaro si incontrano per inscenare duelli immaginari e lanciare incantesimi: Santoni sta descrivendo una scena che merita la sua ribalta e lo fa con maestria, senza la spocchia di dire “ve l’avevo detto”, piuttosto con un “che vi siete persi” complice nei confronti di tutti quelli che, almeno una volta, hanno compilato una scheda personaggio.
Personalmente non avevo capito proprio niente. Nerd? A me sembrava una cosa da veri fichi inventare mondi, personaggi e andarsene a zonzo per tunnel sotterranei a caccia di mostri, tesori e significati… Sarà perché i ragazzi con cui giocavo erano “più grandi”, ma trovavo la cosa davvero affascinante. Dopo un paio di campagne tra D&D e Il Richiamo di Cthulhu cambiai città e con mia somma soddisfazione trovai giocatori e un ottimo master proprio nel mio collettivo! Non mi sembrò strano, anzi. Giocammo qualche volta a Vampire: The Masquerade, non a caso il gioco più “politico” tra quelli di ruolo, complesso e affascinante con le sue famiglie immortali che studiano strategie per portare dalla loro i rapporti di forza di una società parallela e segreta. Poi l’attività politica diciamo “su strada” ebbe la meglio e addio Vampire… Arriviamo fino ai giorni nostri o quasi. Ormai sono davvero “grande”. Nel 2014 il mio partner viene spedito negli States per lavoro, ce ne avrà quasi per un anno. Benché putativamente il nerd sia lui, una delle prime cose che faccio è cercare tramite Facebook e fumetterie un gruppo che giochi a Vampire: the Masquerade, ma senza successo.
Quindi mi sono rispecchiata nel ragazzino che cerca un gruppo per giocare all’inizio del romanzo: i giochi di ruolo sono una cosa geniale, esaltante e tra le più divertenti che abbia mai fatto, il problema è “la realtà” e tutto quello che contiene, non quel mondo.
La stanza profonda e Muro di casse sono libri in un certo qual modo necessari: Santoni ha il coraggio della letteratura che non si crogioli nella pesantezza dell’essere. Per fortuna la vita è composta anche da cose esaltanti, come i free party o i GdR e questi romanzi — che d’altro canto non sono piatti, ma profondi e tematizzano anche le parole “emarginazione” e “repressione”— aiutano a ricordare per cosa stiamo lottando quotidianamente: un mondo in cui, senza stigmi e senza limiti di alcun genere, sia possibile fare le cose che amiamo, come andare a ballare o allestire campagne in un mondo di fantasia. Penso che la mia “letizia” per dirla con Spinoza (la passione per cagion della quale la Mente passa ad una perfezione maggiore) e quella dell’autore non siano che parte di una “letizia collettiva”, che abbiamo esperito e possiamo ancora esperire. In definitiva questo libro può servire a ricordarci di salvare le cose belle della nostra esistenza.

P.S se qualcuno in quel di Bologna sta giocando a Vampire: The Masquerade “alla vecchia maniera” può contattarmi su twitter: @MarteVenere