di Alessandra Daniele

Nella canzone napoletana si distinguono due principali stili di esecuzione: uno più classico e lineare, e uno barocco e pieno di virtuosismi detto “A Fronn’e Limone”. Anche nel genere Zombie si possono individuare due analoghi sottogeneri principali: il primo è un post-apocalittico quanto più possibile “realistico”, nel quale gli zombie sono essenzialmente un’incarnazione dell’entropia, e nessun altro elemento fantastico o fantascientifico è presente, mentre le comunità di sopravvissuti cercano di riorganizzarsi in forme tribali, e il focus narrativo è sulle relazioni fra i personaggi. Il rischio insito in questo sottogenere è quello di scadere nel family drama e restarci impantanati, come nella famigerata seconda stagione di The Walking Dead alla quale la sesta sta cominciando a somigliare troppo, e come nel prequel Fear of the Walking Dead, riscattato solo negli ultimi due episodi dai riferimenti alle guerre asimmetriche in America Latina e in Medio Oriente.
Il beffardo, citazionista, pirotecnico Z Nation si piazza invece all’estremo opposto della scala, vicino agli indici massimi dello stile a Fronn’e Limone, accanto alle visionarie stravaganze della saga zombie di David Wellington alla quale in parte s’ispira.
Altra chiara fonte d’ispirazione per Z Nation è il sanguigno cinema di genere anni ’70. Disaster, Road Movie, Rural Horror, Spaghetti Western, Blaxpoitation… ogni episodio ne cita in particolare un sottogenere diverso, col cast fisso alle prese sia con una diversa banda di sopravvissuti, che con una diversa specie di zombie: radioattivi, ibridi, mutanti. Cosplayer.
Il doppio episodio messicano, ironico omaggio al miglior Rodriguez, è stato fra gli highlight di questa seconda stagione, insieme al collezionista di zombie, ed al presepe morto-vivente.
Z Nation ha la capacità di alternare gag comiche visionarie a momenti di inatteso spietato realismo: nello stesso episodio nel quale usano una gigantesca forma di cacio rotolante per spianare una strada piena di zombie, i protagonisti derubano una comunità di generosi pacifisti di tutte le scorte di antibiotici durante un’epidemia, condannandoli a morte.
”It’s about the mission” si giustifica ogni volta la leader del gruppo, un’ex-soldatessa afroamericana, la missione di trascinare in California “The Murphy”, un istrionico farabutto che un vaccino sperimentale ha reso telepatico e resistente al virus Z, per consegnarlo ad un laboratorio dove sarà usato di nuovo come cavia, a meno che non riesca a usare i suoi bizzarri poteri per ribaltare la situazione.
Nel resto del cast fisso spicca Doc, un arzillo vecchietto hippie, specializzato in battute sarcastiche e droghe psichedeliche, le uniche in grado di restituire un barlume di consapevolezza agli zombie.
Agendo a vari livelli di lettura, Z Nation gioca con i trope del genere riuscendo contemporaneamente a decostruirli, e farli funzionare sia sul piano del divertimento puro, che su quello della satira metatestuale.
It’s the Apocalypse, let’s have some fun!

[Chi fosse interessato al mio parere su Jessica Jones, un’altra delle serie migliori del 2015, lo trova qui. Due post, molti spoiler.]

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