di Alfio Neri

Argentina_fondos_buitresL’Argentina, paese disgraziato! Lo dicono tutti. La voce è sempre quella. Grandi risorse e cattivi governi, è sempre la stessa solfa. Poi i malevoli aggiungono che gli argentini hanno una specie di vivacità latina, un tipo di furbizia amorale che li rende davvero imprevedibili. Un paese ricco e malmesso che colleziona disastri. Cosa dire di più?
Già, cosa dire di più? Per esempio, il default è stato veramente strano. Il valore dei titoli argentini sul mercato secondario ha raggiunto il suo massimo nei giorni che hanno preceduto il default. Quando una nazione cessa di pagare, il valore dei suoi titoli sul mercato secondario, crolla a una frazione minima del valore nominale. Comunemente, di fronte a ripetuti eccessi di ribasso, i titoli in questione cessano anche di essere contrattati. Questa volta, invece, i titoli che dovevano crollare hanno acquistato valore. Si tratta di un default veramente molto strano.
L’Argentina non paga e i suoi titoli crescono. Strano, è davvero strano.

Una lunga storia

Facciamo un passo indietro. Nel 2001 l’Argentina aveva sofferto una gravissima crisi economica. Dopo qualche anno molto difficile, con il miglioramento della congiuntura, aveva ristrutturato il debito estero a condizioni molto favorevoli nel 2005 e nel 2010. Una parte dei debitori, circa il 7%, non aveva però aderito alla ristrutturazione del debito. Negli anni seguenti, una fetta di questi crediti era stata acquistata da fondi speculativi statunitensi forse nella speranza di forzare lo stato argentino a onorare il debito del 2001. Il termine metaforico di “fondi avvoltoio”1, rende bene il loro tipo di attività finanziaria. Da parte sua l’Argentina aveva dilazionato ogni accordo con i creditori che non avevano sottoscritto la ristrutturazione del 2005 e del 2010. Il paese però continuava a fare i pagamenti attraverso la piazza finanziaria di New York (i soldi diretti ai risparmiatori italiani passano per New York). Per forzare all’accordo, il giudice Griesa aveva bloccato tutti i versamenti diretti a terzi perché gli interessi statunitensi avevano la precedenza (quindi i fondi avvoltoio hanno la precedenza sulle cedole già versate dirette ai risparmiatori italiani). Alla fine l’Argentina non cedette, i risparmiatori non protestarono e i versamenti rimasero bloccati (direi che il risparmiatore italiano a New York non conta molto). In sostanza un giudice statunitense provocava il default dell’Argentina.
Nel descrivere le vicende argentine, il sistema informativo italiano è sempre stato, a essere benevoli, carente. Il Sole 24 0re del 31 di luglio, il giorno del default, scriveva di “Trattativa a oltranza sul debito argentino”2. Leggendo l’articolo sembrava proprio di essere in vista di un accordo perché l’alternativa era, appunto, il default. In realtà Il Sole 24 0re stava nascondendo parecchie cose al lettore italiano (tanto che l’estensore dell’articolo ebbe il buon gusto di mettere solo la sigla e non il suo nome). Il fallimento dei negoziati fra il governo e le banche venne reso pubblico il giorno seguente. Il venerdì 1 Agosto (questa volta l’articolo è firmato) appariva chiaro che la situazione era ormai esplosa e che si poteva fare bene poco3. Di fronte a questo disastro due giornalisti consigliavano ai lettori di cedere i titoli perché le quotazioni erano molto alte e potevano anche non rivedersi più4.
Nelle settimane precedenti al default il dibattito in Argentina era stato molto acceso. Clarín5, il più importante quotidiano argentino, aveva mantenuto una linea molto cauta. In genere pubblicava due tre articoli al giorno descrivendo gli eventi e evitando di prendere apertamente posizione. Al massimo si faceva presente che il paese non desiderava proprio un nuovo default (intendiamoci, è una posizione molto ragionevole, nessuno si augura di finire sotto un camion). Il punto di svolta fu l’articolo di Roberto Lavagna6 del 24 Luglio7. Quest’importante uomo politico, dopo un articolato ragionamento sosteneva che era meglio rifiutare l’accordo con i fogli avvoltoio. Per Lavagna era meglio fare il possibile per rimborsare i vecchi creditori (quindi anche i risparmiatori italiani) e rifiutare il rimborso chiesto dai fondi avvoltoio. Per la precisione sosteneva che il default avrebbe generato un tifone ma aggiungeva che accettare il rimborso dei fondi speculativi avrebbe provocato uno tsunami peggiore del tifone generato dal default. Nella sua opinione era giusto privilegiare il 93% dei risparmiatori, quelli che avevano accettato i precedenti concambi, piuttosto che ipotecare il futuro degli argentini per adempiere una sentenza quantomeno dubbia.
Argentina_buitres-y-griesaNei giorni seguenti le notizie, vere e false, iniziarono a dilagare. Le continue riunioni, sempre presentate di volta in volta come decisive, non portarono mai a nessun vero passo in avanti. Su Clarín apparvero una serie di articoli molto interessanti che riportavano di altri articoli apparsi sulla stampa estera. Il 28 luglio, l’Argentina era accusata da un editoriale del Wall Street Journal di non cercare un accordo con i propri creditori e di infangare il buon nome della giustizia statunitense. Per il Wall Street Journal i negoziatori argentini non cercavano un accordo mentre accusavano di parzialità sia il mediatore, sia il giudice (tale Thomas Griesa [a sinistra nella foto], un ottantenne non più brillante), sia il sistema giuridico statunitense8. Il 29 luglio un altro articolo lasciava trasparire una relazione fra l’arricchimento materiale e la parabola politica del vecchio Presidente Kirchner e dell’attuale Presidentessa vedova dell’ex Presidente9. Il Wall Street Journal era quasi giunto agli insulti personali. Nel pomeriggio del 31 luglio non era stato trovato l’accordo fra stato argentino e fondi avvoltoio mentre il Giudice Griesa non aveva sbloccato il pagamento della rata dei titoli Discount. In termini meno tecnici, l’Argentina aveva pagato ma un giudice, vicino ai fondi avvoltoio, ne aveva impedito il versamento. L’Argentina entrava in bancarotta.

Ma di cosa stiamo parlando?

La semplice descrizione dei fatti evidenzia tre problemi. Il primo è la qualità dell’informazione italiana. Il secondo, più importante, è la questione giuridica. Il terzo, decisiva, è quale sia l’effettivo ammontare delle cifre in gioco e quindi quale sia il reale oggetto di dibattito.
La prima questione è l’informazione in Italia. Qui però non vorrei dire nulla di ovviamente polemico e tralascio per sfinimento. Il problema si ripropone sempre e che ogni volta è peggio. Pensare che il lettore sia un idiota sembra faccia vendere di più copie.
La seconda questione riguarda lo specifico giuridico. In modo particolare riguarda il ruolo del sistema giuridico statunitense all’interno di questa trama. Abbiamo un giudice degli Stati Uniti (fra l’altro un giudice della corte Federale di New York, cioè un giudice locale, uno dei tanti) che impedisce il versamento di uno stato sovrano diretto a terzi, per salvaguardare interessi privati statunitensi10. I soldi bloccati sono quelli delle cedole di chi aveva aderito ai vecchi concambi. In ogni caso questo denaro bloccato semplicemente non è più un fondo argentino. L’eventuale accettazione di questa prassi aprirebbe la via a ogni tipo di abusi in operazioni finanziarie di qualsiasi tipo. Si darebbe luogo a un precedente molto pericoloso, valido applicabile a ogni tipo di ristrutturazioni finanziarie. La posizione del governo argentino espressa dal Ministro dell’Economia Kicillof è che «negli Stati Uniti non c’è sicurezza giuridica»11. Detto in altro modo, nessuno potrebbe più essere sicuro di potere pagare (o di vedersi pagato) un debito perché i versamenti potrebbero essere bloccati in ogni momento da giudici compiacenti. Il precedente sarebbe gravissimo perché una larga parte dei pagamenti mondiali avviene nella piazza finanziaria di New York.
La terza questione è decisiva. Apparentemente, stiamo parlando di un paese in fase di regressione economica di lungo periodo (l’Argentina) che, in uno sprazzo di follia, rifiuta un’offerta molto ragionevole fatta da onesti banchieri (i fondi avvoltoio). Sembrerebbe quasi un’azione irrazionale fatta da una nazione di pazzi che non è in grado né di rispettare le leggi, né di fare i propri interessi. In realtà la faccenda è molto più complessa. Iniziamo dai soldi. La rata di pagamenti bloccata nella piazza di New York dal giudice Griesa è di 539 milioni di dollari. I fondi avvoltoio hanno rilevato 1,3 miliardi di vecchi titoli argentini. Le due cifre sono molte vicine. Il totale dei vecchi titoli in default è poco più del doppio di una rata semestrale che stava per essere pagata. Non c’è molta differenza tra le due cifre. Insomma, pare non ci fosse ragione per non pagare. Le riserve dichiarate della Repubblica Argentina sono di oltre 29 miliardi di dollari. La cifra richiesta dai fondi avvoltoio è quindi di 1/22 l’ammontare delle riserve valutarie argentine. Fra l’altro l’Argentina ha una bilancia commerciale in attivo e quindi potrebbe onorare il debito anche solo con l’export di quest’anno. In sintesi, l’Argentina avrebbe davvero potuto pagare.
Ma allora perché si è arrivati al default? L’attuale bancarotta non pare avere solamente un senso economico. L’unica spiegazione è che ci siano anche altre ragioni. Il debito poteva essere pagato ma avrebbe anche comportato la riformazione di legami di dipendenza finanziaria con gli Stati Uniti. La decisione su chi sia il proprio creditore è una scelta che riguarda i futuri legami di reciprocità. Il debito e il credito sono legami sociali e quindi la scelta su chi sia il proprio creditore è una scelta politica. L’Argentina non ha scelto di non avere debiti ma di non averli il sistema bancario statunitense. Tutto lascia intendere che questa decisione sia stata presa dall’intera classe dirigente argentina. Le decisioni formali sono del governo della Presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, ma dal dibattito è evidente anche un implicito appoggio della destra economica. Il default argentino è un atto politico, è una dichiarazione di sovranità nazionale.

Il quarto livello

Il default ha aperto la questione delle assicurazioni sui contratti del debito argentino (in gergo i Credit Default Swap o CDS). L’Argentina non paga o, se volete, i versamenti sono bloccati a New York. A questo punto entrano in gioco i derivati creati per assicurare i mancati pagamenti. Le pressioni sul governo argentino sono state enormi. Chi era certo dell’accordo, avrebbe anche potuto assicurare terzi sul mancato default. Si può ipotizzare che qualcuno, forse vicino ai fondi avvoltoio, nella certezza di un accordo, si sia esposto per cifre notevoli. Quindi, visto che il concordato non c’è stato, questo qualcuno può anche avere avuto perdite molto forti. I CDS sul debito argentino in circolazione ammonterebbero a 20 miliardi di dollari. La fonte di questa cifra è Il Sole 24 0re12. Il giornale ipotizza anche, con tutte le cautele e i si dice del caso, che i versamenti netti per la copertura del default siano molto maggiori dell’intero ammontare del debito argentino in trattativa.
Riguardo all’andamento del mercato secondario dei titoli argentini del 2005 e del 2010 andrebbe fatto un discorso a parte. Le quotazioni di questi titoli alla Borsa di Francoforte sono molto particolari. Si tratta di una fascia di bond le cui transazioni sono dominate da banche. I titoli trattati hanno una forte volatilità. Parrebbe quasi uno stagno abitato da pescecani che si nutrono di carne umana. In questo mercato sono presenti le banche che in passato avevano venduto titoli argentini ai propri correntisti. Si può ipotizzare una certa attività di banche italiane che, per ragioni storiche, hanno ancora in pancia enormi quantità di titoli argentini. Si può anche ipotizzare che molte di queste banche si siano assicurate contro il default argentino. La banca si assicura se non arrivano le cedole per i correntisti. Quindi in caso di default i correntisti perdono la cedola e la banca ci guadagna comunque. Di fatto queste banche hanno una specie di naturale egemonia su questo mercato perché sono loro che muovono la stragrande maggioranza degli scambi.
L’analisi dei dati del mercato secondario dei titoli argentini mostra che, in determinati momenti della trattativa, vi sono state massicce vendite concentrate in breve tempo. Queste vendite hanno provocato forti fluttuazioni giornaliere (anche oltre 10%) ma in uno/due giorni hanno sempre dato luogo a valori di mercato superiori a quelli del giorno della vendita13. Tutto lascia pensare che qualcuno abbia cercato di provocare dei ribassi catastrofici. Tuttavia l’andamento delle quotazioni, indica anche la presenza di un’altra cordata che ha impedito questa manovra, facendo perdere grosse cifre alla cordata ribassista. Detto in modo più esplicito l’andamento del mercato secondario è stato molto diverso da quello più utile per i fondi avvoltoio. Malgrado forti oscillazioni, le quotazioni dei titoli argentini si sono sempre mantenute ai massimi livelli.

Per concludere

Argentina_buitres_vultureTrovo difficile pensare che uno stato nazionale alla fine del mondo abbia potuto vincere contro i padroni del denaro senza aiuti. Forse ci sono state iniezioni di liquidità (dollari) fatte per calmare i risparmiatori argentini che da sempre preferiscono la cartamoneta. Per fare una manovra del genere è necessaria la vicinanza di un grande attore globale con un’enorme disponibilità di dollari come ad esempio la Cina. Inoltre, le banche che gestivano i vecchi concambi (i cui correntisti hanno visto le cedole bloccate) non potevano non essere ostili ai fondi avvoltoio. Quindi si può pensare che questa attori finanziari (fra cui troviamo anche i nomi dei soliti noti della finanza italiana) abbiano difeso il mercato secondario dalle vendite speculative per poi si schierarsi a favore del default argentino. La manovra di difesa delle quotazioni dei titoli era azzardata e il silenzio ufficiale può essere interpretato come una manovra mirante a far scattare il trappolone.
I fondi avvoltoio potrebbero non essere i soli perdenti. Qualcuno ha fatto forti vendite sul mercato secondario (e ha perso parecchio). Qualcun altro ha assicurato per cifre molto alte i titoli argentini (e ha pagato in contanti). Fra tre mesi nella lettura dei bilanci trimestrali di grandi gruppi finanziari probabilmente vedremo perdite e guadagni ingiustificabili con l’amministrazione oculata del buon padre di famiglia. Non si tratta di perdite decisive per la sopravvivenza di grandi gruppi finanziari ma, poiché si parla di miliardi di dollari, si tratta comunque di cifre considerevoli. Alla lunga il perdente potrebbe essere la stessa Wall Street. Stiglitz, Premio Nobel dell’Economia del 2001, in un articolo su dell’8 Agosto pubblicato su Clarín, sostiene che l’abuso giuridico (il termine usato è “farsa”) può minare la fiducia nell’imparzialità della giustizia statunitense e quindi spingere gli stati che emettono bond internazionali verso altre piazze finanziarie14.
Un’ultima cosa va detta sull’attuale dirigenza politica argentina. Chi ha trattato con i fondi avvoltoio ha superato una grande prova. Non è chiaro quali siano state le offerte della controparte: pagamento in contanti in cambio di una buona valutazione da parte di agenzie di rating colluse; pagamento in titoli trentennali con costruzione di una nuova bolla speculativa gestita dalle banche americane; carriere favolose nelle banche d’affari statunitensi per i negoziatori, per i loro parenti e per i loro amici; tangenti colossali sufficienti per arricchire per sempre qualsiasi uomo politico disposto a svendere il paese. La “diplomazia moderna” degli Stati Uniti può essere molto convincente anche per la sua mancanza di scrupoli15. In tutta questa vicenda l’Argentina ha dato un’enorme prova di solidità. Per quanto un giudice statunitense abbia dichiarato il default del paese, l’impressione è che non ci sia stato proprio niente, neanche una seria fuoriuscita di capitali dal paese generata da momenti di panico.
Chi ha vinto non è uno stinco di santo ma chi ha perso è sicuramente peggiore. Basta questo per dire: GRAZIE ARGENTINA.


  1. Cfr. su Wikipedia-Español la voce Fondo buitre , ma anche, su Wikipedia-English, Vulture fund

  2. G.D.D., “Trattativa ad oltranza sul debito dell’Argentina”, in Il Sole24Ore, 31 Luglio 2014, p.5. 

  3. Marco Valsania, “Argentina in ‘default selettivo’”, in Il Sole24Ore, 1 Agosto 2014, p.3. 

  4. Cfr. Mauro Del Corno e Marco Lo Conte, “Risparmiatori e Tango bond: tutto quello che bisogna sapere”, in Il Sole24Ore, 1 Agosto 2014, pp. 2-3. 

  5. Clarín non è un quotidiano fra i tanti. Si tratta del giornale in lingua spagnola più venduto in America Latina. Nato nel1945 su posizioni antiperoniste, appoggiò il colpo di stato del 1976. Da sempre vicino alla destra economica, forse è il miglior quotidiano argentino. 

  6. Roberto Lavagna è l’ex ministro dell’Economia del precedente Presidente Kirchner. Candidato alle precedenti elezioni presidenziali contro l’attuale Presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, vedova del defunto Presidente Kirchner, è arrivato terzo. Politicamente è un centrista favorevole all’apertura al mercato internazionale e mantenimento di un sostanziale equilibrio macroeconomico. Le sue posizioni potrebbero ricordare vagamente quelle di Mario Monti. 

  7. Roberto Lavagna, “Con la deuda, mejor el tifón que el tsunami”

  8. “Durísimo editorial de The Wall Street Journal contra el Gobierno”

  9. “La fortuna de los Kirchner llegó a The Wall Street Journal”

  10. “Para Zaffaroni, Griesa es un juez ‘casi municipal, de trocha muy angosta’”.
     

  11. “Kicillof: ‘En Estados Unidos no hay seguridad jurídica’”

  12. Marco Valsania, “Argentina, scattano i pagamenti sui CDS2″, in Il Sole24Ore, 2 Agosto 2014, p.3. 

  13. In caso di vendita allo scoperto si vende a un prezzo corrente firmando un contratto, per ricomprare al prezzo di mercato corrente di tre giorni dopo. Chi ha fatto queste vendite può avere perso anche 15% a ogni tentativo. 

  14. “El ‘Griesafault’ de la Argentina”

  15. Cfr. John Perkins, La storia segreta dell’impero americano. Corruttori, sciacalli e sicari dell’economia, Beat, 2007, (2013), pp.189-193.