di Alfio Neri

Taleb_antifragilea proposito di: Nassim Nicholas Taleb, Antifragile. Prosperare nel disordine, il Saggiatore, Milano 2013, pp. 550, € 24,00

Diciamolo chiaramente, ci siamo tanto divertiti. Poi è stato tutto così inaspettato. Le cose sono state davvero così imprevedibili. Il dubbio che ci fosse la mano di qualcuno, c’è sempre stato. Però pure la sorpresa c’è stata. La sceneggiata dell’11 settembre 2001; la crisi mondiale del 2008 e anche le deliziose telefonate di Berlusconi alle amanti, tutte storie favolose ci hanno riempito le nostre tristi serate. L’intera sceneggiata del 2001 ci ha sorpreso. Come si poteva pensare che un gruppo di pazzi avesse potuto fare quello che hanno fatto? Erano poi quasi tutti sauditi. La conseguenza fu l’invasione dell’Iraq, un paese che nulla aveva a che fare con l’intricata vicenda. Venne anche invaso l’Afganistan. Adesso sono già passati dodici anni e gli Stati Uniti sono ancora lì, forse a chiedersi come uscirne salvandosi la faccia. La crisi del 2008 è stata anche meglio. Nessuno l’aveva prevista, nessuno poteva prevederla. Tutti i grandi gruppi finanziari mondiali avevano dei bilanci al di sotto di ogni sana gestione patrimoniale. Un vero miracolo. Si aveva l’impressione che, dopo la liberalizzazione finanziaria, avessero messo fuori legge la forza di gravità.

Siamo alla presenza di una crescente imprevedibilità sistemica mondiale. Gli eventi inaspettati si sono susseguiti in modo incessante. Nessuno aveva previsto l’11 settembre. Il bello è che anche nel caso in cui le due torri gli americani se le fossero buttati giù da soli, le conseguenza sono state lo stesso imprevedibili. Dall’11 settembre è venuto fuori l’ un intervento in Iraq che è andato malissimo. Le sue conseguenze hanno contribuito a innescare la crisi del 2008, le cui avvisaglie sono state tenute segrete per proteggere i grandi gruppi finanziari.
Come minimo la sociologia del rischio, quella su cui si basa la condotta razionale, è perlomeno inadeguata. In assenza di un minimo di stabilità sistemica non è possibile calcolare e valutare il rischio. Qual è il senso del calcolo del rischio di una bomba d’acqua se noi a causa della crisi perdiamo la casa e il lavoro e la casa? Com’è possibile pensare ai doppi vetri quando in Ucraina sta scoppiando una guerra civile che può mettere al freddo per due anni l’intera Europa? Che senso ha l’assicurazione sul rischio terremoto se stanno fallendo le più importanti banche mondiali?
Il libro di Taleb esplicita i meccanismi con cui il disordine produce i suoi imprevedibili effetti. I modelli di razionalità che si utilizzano per la comprensione del mondo economico e politico sono tendenzialmente rigidi. Le preferenze sono sempre fisse e non problematiche. Su questi presupposti l’attore razionale sfrutta al massimo il margine dei benefici possibili calcolabili razionalmente. Il soggetto sa quello che vuole, ha delle risorse, sa prevedere gli scenari futuri più probabili futuro e agisce di conseguenza. Se applicata alla realtà, la teoria dell’attore razionale può produrre situazioni agghiaccianti. L’esempio migliore è la triste figura dell’impiegato di banca impiccato a un mutuo acceso nella sua stessa banca. Ne viene fuori una situazione di estrema fragilità. L’impiegato in questione ottiene ciò che vuole a patto che nel suo futuro non succeda nulla. Per tutto il tempo del prestito (anni!) non può cambiare preferenze soggettive (non può cambiare casa, non può divorziare, non può cambiare lavoro) mentre chi gli ha dato il mutuo, oltre ad avere gratuitamente la sua assoluta fedeltà, può fare di questo poveretto tutto ciò che vuole. Il risultato finale è una figura tragica. Questo poveruomo deve ispirare fiducia. È un uomo silenzioso, talvolta ben vestito, il cui unico scopo della vita è quello di sopravvivere al meccanismo debitorio di cui è vittima ma anche consapevole carnefice.

entropiaFra tutti gli scenari esiste sempre uno scenario peggiore. La possibilità di pensare questo scenario limite implica che vi possano altri essere scenari peggiori a cui non abbiamo pensato. Quindi ad un’attenta analisi, lo stesso concetto di scenario peggiore risulta molto problematico. Per esempio la BCE ha lanciato uno scenario estremo di stress test per il sistema bancario europeo che fa riferimento a un calo dei prezzi delle case di un 20%. Questo significa ovviamente che in futuro i prezzi delle case potrebbero calare del 30%. Tuttavia, come reagirebbe il sistema bancario nel caso di un vero imprevisto? Cosa succederebbe se vi fosse una guerra civile in Ucraina? Nel caso di un blocco dei rifornimenti di gas russo in Europa come fluttuerebbero i prezzi delle case? Se livello mondiale il blocco del gas russo creasse un’improvvisa penuria, i prezzi del metano potrebbero decuplicare come quelli del petrolio nel 1973? Aumenterebbe anche il prezzo del petrolio? Quante case rimarrebbero senza riscaldamento? Che fine farebbero tutte le decisioni razionali che permeano la vita quotidiana della gente? Siamo certi che saremmo in grado di sopravvivere?
Lo scenario peggiore è sempre molto peggio dello scenario che può essere pensato come il peggiore. Ogni calcolo dei costi benefici è fragile perché l’insostenibile leggerezza dell’essere non può essere espressa dai modelli euristici deduttivi. Come fare valutazioni numeriche quando gli eventi non sono possono rientrare nei parametri? Se la nonna si beve una cioccolata racconta una storia migliore? Che impatto può avere sull’Euro l’evidente tentativo statunitense di favorire una guerra civile in Ucraina? Ha senso porsi la questione di uno scenario ucraino peggiore quando in Libia c’è un mezzo milione di disperati?

La questione è molto seria. Noi viviamo in mondo di meccanismi in apparenza razionali ma intrinsecamente fragili. Il nostro quotidiano si fonda su determinate routine che noi percepiamo come stabili. Il problema è appunto questo: come possiamo pensare di fare calcoli razionali quando il mondo è incerto? Voglio essere più esplicito. Da una dozzina gli Stati Uniti, l’attore statale regolativo a livello mondiale, hanno implementato una strategia di intervento globale. Contrariamente a altre formazioni imperiali del passato, gli Stati Uniti si sono posti esclusivamente l’obiettivo di vincere un nemico, non di conquistare un territorio. Infatti, dal 2001 in avanti non c’è mai stato alcun vero tentativo di assumere la diretta responsabilità delle conquiste territoriali. L’Iraq è stato conquistato ma non è stato costruito alcun vero stato. Gheddafi è stato eliminato, la Libia non è stata occupata diventando uno stato fallito. L’Afganistan è stato occupato e qualsiasi cosa sia stata costruita non durerà un anno dalla partenza degli occupanti. La svolta strategica degli americani è una vera novità. Un tempo, le potenze imperiali si ponevano l’obiettivo di costruire un ordine internazionale fatto a loro misura, in un certo senso il loro scopo era quindi quello di ridurre l’eterogeneità del sistema mondo. Oggi il comportamento statunitense è molto diverso. La loro azione mira a eliminare i propri nemici ma anche a aumentare il disordine. Il loro scopo è quello di aumentare l’entropia nelle aree che ritengono più interessanti. In questo senso gli Stati Uniti sono diventati una specie di diffusore di disordine. Dal 2001 hanno iniziato una lunga serie di interventi militari alcuni dei quali non erano proprio ovvii. Di fatto hanno immesso un’enorme quantità di entropia in punti determinati come, ad esempio, nelle aree petrolifere. L’azione di destabilizzazione degli equilibri strategici ha scopi razionali costi alti ma limitati (la meta delle spese militari mondiali sono statunitensi), resi sopportabili dalla presenza di contingenti alleati compiacenti1. Su dove sia il nostro paese faccio solo notare che mentre l’Italia era in Afganistan, le banche statunitensi scommettevano sul default italiano.
La storia mondiale degli ultimi quindi anni è dominata da un crescente disordine e da una crescente imprevedibilità sistemica perché il suo centro continua a immettere entropia. Per quanti dubbi vi potevano essere, oggi la situazione è ormai diventata chiara. L’instabilità globale ha una componente legata all’azione strategica dei suoi regolatori. Di fronte alle difficoltà di gestire i loro deficit di bilancio e commerciale, gli Stati Uniti hanno deciso di usare la forza per aumentarne l’entropia. Questa azione militare ha precise finalità geopolitiche. Alcune sono esplicite come nel caso di aree geografiche prossime ai giacimenti petroliferi del Golfo Persico. Altre, molto più interessanti, sono implicite perché l’imprevedibilità costitutiva del mondo globalizzato spinge il mercato dei capitali al mantenimento della liquidità. Di fatto questo modello di gestione della crisi fondato sull’inganno e la paura ha funzionato anche grazie a una gigantesca manipolazione dell’informazione su scala globale2. Gli Stati Uniti agiscono sia da minaccia sia da salvatore, giocando un ruolo che ricorda molto quello dei boss mafiosi. Quando Giappone e Corea del Sud manifestano un’eccessiva indipendenza, basta agli Stati Uniti provocare la Corea del Nord per generare una situazione di tensione che rafforza il loro ruolo di protettore. Quando il prezzo del petrolio è insoddisfacente riemerge la minaccia iraniana. Quando la liquidità mondiale prende vie indesiderate, all’improvviso, la scoperta di un nuovo attore canaglia spinge il mercato alla liquidità.

La continua reintroduzione dell’entropia può avere conseguenze imprevedibili perché mina alla base i modelli di razionalità utilizzati correntemente. Questi modelli hanno grossi difetti costitutivi ma, in un qualche modo, sono riusciti a domare una parte della pericolosità degli eventi naturali. Quando però si tratta dell’incertezza insita nelle relazioni sociali le cose prendono un’altra piega. Posto che le preferenze soggettive siano stabili, il calcolo costi/benefici presuppone anche una forma di stabilità parametrica del mondo esterno. I modelli di razionalità lineare non possono funzionare se avvenimenti esterni modificano i parametri di riferimento. Del resto se per misurare il calore di una giornata di primavera passassimo dai gradi ai chilometri avremmo qualche problema. Il punto chiave è che quando i regolatori agiscono in modo imprevedibile modificando i fattori istituzionali (il Libor, il tipo di moneta moneta, lo stato della sicurezza collettiva di intere aree geografiche) è impossibile una valutazione razionale un’eventuale azione. Quando mutano i parametri troppo velocemente l’unica strategia che rimane è quella di mettersi al riparo (evitare investimenti fissi e mantenere i capitali nel sistema bancario più solvibile – quindi in dollari) e attendere gli eventi. In vero gioco del boss mafioso di turno non è quello di creare lo scenario peggiore, quanto piuttosto quello di favorire lo scenario che gli permette i maggiori guadagni differenziali. In questo caso il valore della posta è relativo. Il gioco è quello di favorire un possibile futuro contingente e quindi di guadagnarci scommettendo su eventi giudicati da altri improbabili. Il miglior esempio è la crisi asiatica del 1997. L’Asia era considerata un’area assolutamente sicura per gli investimenti; per questo da tutto il mondo arrivarono molti investimenti a breve. Grazie a pressioni politiche, gli Stati Uniti convinsero i governi asiatici a liberalizzare il sistema finanziario. Poi, dopo l’abolizione dei blocchi sulla circolazione dei capitali, le banche internazionali ritirarono istantaneamente tutti i loro investimenti finanziari a breve. Le banche internazionali crearono una gigantesca mancanza di liquidità spingendo molti paesi al default. Nazioni considerate sicure crollarono e dovettero chiedere prestiti all’FMI che, a sua volta, pose condizioni capestro. Come risultato, le banche internazionali, che avevano scommesso sul fallimento di nazioni solvibili, prima guadagnarono dal loro fallimento e poi guadagnarono ulteriormente dal saccheggio dei paesi che loro avevano fatto fallire3.
Taleb_antifragile1A questo punto però il problema non è più la menzogna globale. Oggi il vero nodo della questione è l’insostenibilità teorica delle strategie fragiliste che puntano a ottenere risibili vantaggi, piccoli e visibili. Queste strategie ragionieristiche possono focalizzare benefici locali ma espongono l’attore a rischi estremi nel caso di eventi imprevedibili. Il punto dolente sta nell’improvvisa modifica dei parametri regolativi. La previsione di un piccolo guadagno può immobilizzare risorse per un lungo periodo e esporre a improvvise difficoltà prima invisibili. Eventi anomali e imprevedibili sono sempre esistiti. La questione è che oggi questi eventi possono essere prodotti intenzionalmente dai regolatori istituzionali. Il futuro è comunque imprevedibile. Con tutti i loro limiti, le società tradizionali erano culturalmente preparate alle difficoltà; la vita era sofferenza e il modesto surplus di cui erano capaci permetteva una notevole resilienza. Erano capaci di sopportare enormi stress mantenendo la propria identità. Non credo che la stessa cosa si possa dire per la nostra società.
Gli animali sopravvivono ai tempi difficili mettendo su il grasso. Mi è difficile dire quanto grasso in più possa permettere a un popolo di obesi di affrontare meglio il disordine globale. Resta il fatto che non ci possiamo fidare dei nostri piccoli calcoli razionali anche perché, per definizione, l’imprevisto è imprevedibile. La sorpresa sorprende perché, se la potessimo prevedere, non sarebbe più una sorpresa. Non esistono strategie per evitare le sorprese. Se qualcuno, per motivi suoi, ci vuole sorprendere, deve solo aspettare di conoscere le nostre strategie difensive e fregarci.
La sorpresa, ciò che ci sorprende, è per definizione imprevedibile.

APPENDICE

Esistono degli indicatori moderatamente affidabili sull’andamento della contingenza. Questi funzionano come il pungolo di Frodo che si illumina quando si avvicinano gli orchi.
L’indicatore più interessante è il titolo argentino quotato alla Borsa di Francoforte denominato:

Argentina 05/38 PAR ARIVA.DE
ISIN:XS020553781 WKN:AODUDC

Si tratta di un titolo di 33 anni, emesso nel 2005 dopo l’ultimo default del paese, quando l’Argentina cercavo di rientrare nel mercato mondiale dei capitali. La valuta del titolo è l’euro e quindi reagisce sia al tasso di cambio dollaro/euro, sia alla redditività media degli investimenti finanziari equivalenti. La sua cedola è all’emissione molto bassa, poi crescente a scadenze regolari fino al rimborso alla scadenza.
Il rischio dell’emittente (lo stato argentino) è certificato come altissimo. Il rating dei suoi titoli è quindi bassissimo, inferiore a quello italiano che è addirittura inferiore di quello del Kazakistan. Il titolo ha addirittura ha dato interessi quando la sua certificazione asseriva che non avrebbe potuto dare interessi: una specie di miracolo. Ricordo solo che quando l’ultima volta l’Argentina è fallita, le stesse agenzie certificavano la sua solvibilità e affidabilità.
Lo stato argentino ha implementato negli ultimi anni delle politiche definite come “neo-populiste”. La stampa finanziaria mondiale ha sempre manifestato la sua più netta disapprovazione. Il paese è stato descritto più volte come sull’orlo del fallimento e l’acquisto dei suoi titoli è vivamente sconsigliato da tutte le banche italiane.
Il titolo preso in esame ha un andamento molto erratico, con un’ampia forbice fra prezzo d’acquisto e prezzo di vendita. Il dato interessante di questo titolo è che da qualche anno il titolo acquista valore quando il dollaro è in difficoltà. Le quotazioni di questo titolo non sono mai state così alte. Quindi visto che l’Argentina è in serie difficoltà economiche ed è in rotta di collisione con gli Stati Uniti, ritengo che il suo incremento di valore sia da correlare, almeno negli ultimi tre anni, alla perdita di credibilità del dollaro. Se gli USA vanno male allora, per simmetria, i titoli che stanno agli antipodi della sua area dovrebbero andare bene.
Oggi tutti pensano al metano ma il vero problema potrebbe essere il dollaro. Come dicevo prima, il futuro è imprevedibile. Le sorprese più grosse potrebbero essere ancora in viaggio


  1. Cfr. Alain Joxe, L’impero del caos. Guerra e pace nel nuovo disordine mondiale, a cura di Alessandro Dal Lago e Salvatore Palidda, Sansoni, 2003, p. 28. Joxe è il maggiore esperto non militare francese di studi strategici. 

  2. Cfr. Pino Arlacchi, L’inganno e la paura. Il mito del caos globale, il Saggiatore, 2009, pp. 75-77. Arlacchi è stato vicesegretario generale dell’ONU dal 1997 al 2002. 

  3. Cfr. Domenica Tropeano, Liberalizzazioni e crisi finanziarie. Lezioni dalle crisi degli anni Novanta in Asia orientale, prefazione di Marcello De Cecco, Carocci, 2001.