di Rinaldo Capra

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Il grembo che partorì la cosa immonda è ancora fecondo” (B. Brecht)

Lo scorso anno la Galleria Wave Photogallery ha organizzato una mostra dal significativo titolo: Nessun Dorma.
Il tema era la memoria della strage di Piazza Loggia, attraverso il lavoro di artisti e fotografi. Ho partecipato con il ritratto del gruppo dei fotografi che erano in Piazza al momento dello scoppio. La preparazione del ritratto e i dialoghi con i protagonisti mi hanno suscitato una riflessione, che ora con l’anniversario dei i quarant’anni dalla strage, voglio condividere.

I filosofi marxisti di inizio novecento credevano che con l’invenzione e la diffusione della fotografia le classi subalterne avrebbero preso coscienza della loro condizione di sfruttati.
Credevano che la diffusione delle immagini fotografiche, oggettive ed inconfutabili, avrebbe causato la presa di coscienza collettiva e creato i presupposti per una rapida e ineluttabile rivoluzione di tipo socialista, contro il regime capitalista che deteneva il potere in tutto il mondo occidentale. La previsione rimase tale, le fotografie cambiarono il mondo,ma non nella direzione sperata dai marxisti, anzi.
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La classe borghese detenendo il monopolio della comunicazione di massa, usò la fotografia per una funzione normalizzatrice e per creare il consenso. Tuttavia alcune fotografie cambiarono il mondo, anche se non sono molte, e alcune di esse le ricordiamo tutti, ad esempio quella della bambina vietnamita che scappa ustionata dal Napalm, scattata da Kim Phuc, la cui pubblicazione condizionò l’atteggiamento politico del Congresso Americano sulla guerra del Vietnam. Molti ragazzi del cosiddetto ’68 abbracciarono la pratica della fotografia come espressione militante del loro impegno, per documentare lo scontro politico in atto, il’68 appunto, e le contraddizioni del confronto dei valori.

Con questo spirito molti giovani fotografi parteciparono alle manifestazioni con l’impeto e la decisione di chi sa che sta compiendo un gesto importante, perché fotografare è comunque e sempre un gesto politico, che consegna alla storia la fotografia, appunto, della società in cui si è vissuto. bomba003
Anche il 28 Maggio ’74 i fotografi che erano in piazza, per una Manifestazione Antifascista, è importante sottolinearlo, indetta per i gravi episodi di violenza fascista accaduti in quel periodo.

Erano lì per una documentazione razionale e lucida, per rappresentare la storia, ma allo scoppio della bomba tutto crollò e le sicurezze ideologiche svanirono . Tutti si riscoprirono fragili esseri umani travolti dalle emozioni e incapaci di registrare freddamente la cronaca. Alcuni di loro non riuscirono nemmeno a scattare, uno paralizzato e distrutto dall’orrore passò la fotocamera ad un amico perché continuasse. Saltarono tutti i parametri che la fotografia di reportage sociale o di guerra aveva insegnato, e strazio e dolore dilagarono negli animi di tutti. I miti non c’erano più. bomba004

Le fotografie dei momenti immediatamente successivi all’esplosione che furono pubblicate nei vari libri dedicati alla strage, sono totalmente prive dell’aggressività del fotoreporter consumato, sono lo specchio dello strazio partecipe e implacabile di chi scatta, delle sue paure, del suo essere uomo debole e indifeso, esposto alla barbarie di altri uomini. Il silenzioso pianto che si avverte in ogni immagine, così profondo e senza clamore, lo sgomento disperato, gli sguardi dolenti, tutto insomma, è intimamente proprio di chi scattava, condiviso poi con tutti, con i presenti alla strage e con chi guarda quei terribili scatti ancora oggi.

Sono fotografie così prive di retorica, così scevre da ogni forma di estetismo e convenzionalità,piene di compassione, sguardo disarmato e confuso, che ci danno raccapriccio, rabbia, terrore, dolore per sempre. Quelle fotografie svolgono la loro funzione nella maniera più nobile ed alta: hanno custodito la memoria, hanno costruito la storia.
bomba005 Anche se nei quarant’anni successivi alla strage le aspettative di giustizia sono state frustrate e i tentativi di “normalizzare” e tradire la memoria sono stati molteplici ed ancora una volta dolorosi, tuttavia quelle immagini esistono e rimangono, e sempre ci saranno e continueranno a metterci di fronte alle nostre responsabilità come società. La verità storica ci ha dato tutte le risposte che ci aspettavamo, anche se quella giuridica ci è stata negata e nessuno ha pagato, ma queste fotografie ci ributtano in quel terribile giorno per l’eternità, ogni volta che le avremo sotto gli occhi o che ci verranno alla mente il fragore della bomba sarà li, presente, assordante e cupo, e l’emozione e il dolore ancora una volta ci invaderanno.

N.B. Un ascolto: Luigi NonoIl Canto Sospeso – Claudio Abbado e Berliner Philharmoniker (Sony Classical)
Nel libretto di presentazione del disco la Philharmoniker e Abbado pubblicano un testo di cui cito i passaggi più significativi:
Con il Canto Sospeso Nono rievoca gli avvenimenti allucinanti che ebbero origine in Germania. L’opera vuole ricordare gli uomini che si opposero al tirannico regime nazionalsocialista e finirono imprigionati, torturati, trucidati. ……. è per questo che ci appelliamo oggi ad una vigilanza critica di tutti, per impedire la rinascita di un’ideologia malefica e funesta“.

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Nota sulle fotografie
Le prime due, in ordine di successione nell’articolo, sono di Eugenio Ferrari; la terza fu scattata da Silvano Cinelli, la quarta da Enrico Zampini e, infine, la quinta ancora da Eugenio Ferrari. L’ultima è dell’autore e ritrae, oggi, i fotografi in Piazza il 28 Maggio 1974. Da sinistra: Renato Corsini, Eugenio Ferrari, Carla Cinelli (figlia di Silvano), KenDamy, Oreste Alabiso. Purtroppo non è stato possibile rintracciare nessuno in rappresentanza di Enrico Zampini, amico non più tra noi.