di Alexik

ilvapianocoperchi3[A questo link il capitolo precedente]

È orribile il sospetto che il potere possa mangiare l’anima di chi lo esercita”. (Nichi Vendola)

Parere favorevole. Nel luglio 2011 la Regione Puglia dava il suo beneplacito all’autorizzazione integrata ambientale (Aia) a favore dell’Ilva di Taranto. Il suo assenso non era vincolante, visto che l’Aia per i grandi impianti è di competenza ministeriale. Ma comunque un voto contrario avrebbe rappresentato un forte segnale politico, oltre che un sussulto di dignità. Perché non si poteva mantenere la dignità appoggiando una simile porcata.

Una porcata che autorizzava l’Ilva ad aumentare la produzione fino a 15 milioni di tonnellate di acciaio all’anno1, nonostante che i livelli produttivi in atto (9,5 milioni dichiarati nel 2005) comportassero già un impatto inquinante insostenibile.

L’Aia/2011 dispensava i Riva dall’obbligo – temutissimo – di copertura dei parchi minerali, liquidando le 743 tonnellate annue2 di polveri nocive disperse da quei depositi in poche frasi: “il parco minerali PUO’ dare luogo a un’emissione di polveri”, “in caso di particolari condizioni meteo-climatiche POTREBBERO verificarsi fenomeni di spolveramento3. Un manuale dell’uso dell’eufemismo.

ilvacoke3Il parere istruttorio, redatto  ai fini dell’Aia dagli “esperti”4 nominati dalla ministra dell’ambiente Prestigiacomo, diceva che nella cokeria si ritenevano già attuati tutti gli interventi di adeguamento alle migliori tecnologie disponibili5. Quali fossero le  “migliori tecnologie”  lo documentano queste foto, scattate clandestinamente dagli operai: colate incandescenti a cielo aperto, nuvole nere senza nessun sistema di captazione, lavoratori circondati da un inferno di fuoco e di fumo (guarda anche i video qui, qui e qui).

Si ammetteva candidamente la presenza di innumerevoli emissioni non convogliate (vale a dire nubi incontrollate contenenti diossina, furani, pcb, IPA, metalli pesanti, ecc.) ma a nessuno degli “esperti” venne in mente che forse era il caso di eliminarle alla fonte, o almeno di farle confluire in ciminiera, sottoponendole a sistemi filtraggio e abbattimento degli inquinanti. Bastava, a loro dire, tenerle sott’occhio con sistemi di videosorveglianza. Che so, casomai rubassero.  Del resto per le emissioni convogliate non andava molto meglio: l‘assenza delle misurazioni in continuo sulle ciminiere, obbligatorie per legge dal 1999, non veniva nemmeno rilevata6.

ilvacoke5L’Aia/2011 permetteva all’azienda  l’uso di pet coke7, quello ottenuto dalla distillazione del petrolio, molto più inquinante del coke derivato dal carbon fossile . E dire che nel 2008  i carabinieri del NOE avevano impedito  all’Ilva l’uso del pet coke, sequestrandone 16.000 tonnellate e denunciando il legale rappresentante dello stabilimento per reati ambientali. Quanto agli scarichi diretti in mare, si prevedeva che gli inquinanti fossero controllati non alla fonte, ma solo dopo avvenuta diluizione, fatta ad hoc per far rientrare i parametri nei valori limite.

Insomma, un’Aia costruita attorno ai Riva, che non solo non gli impediva di inquinare, ma li autorizzava – se possibile – a far di peggio.  Il tutto con l’assenso degli enti locali, che lungi dal sentirsi sprofondare nell’onta ne andavano pure fieri. Così commentava soddisfatto l’assessore regionale all’ambiente Lorenzo Nicastro:

Abbiamo una linea guida, Ilva Regione e altri enti territoriali,  e questo serve a migliorare tutti gli aspetti del problema. Serve a migliorare l’aspetto ilvapianocoperchiambientale, serve a migliorare anche l’aspetto produttivo, serve a tenere insieme ecologia, economia, diritto alla salute e diritto al lavoro8.  Chissà se a tenerli insieme ci riusciva anche il tipo qui a fianco.

Ma come si era arrivati a questa ennesima genuflessione ai piedi dei Riva ?

La concessione dell’ Autorizzazione integrata ambientale era un passaggio cruciale, l’occasione per affrontare l’inquinamento del siderurgico sia nel suo insieme che nei suoi aspetti specifici. Era l’ambito decisionale dove normare  tutto – dalle emissioni venefiche, alle discariche interne di rifiuti tossici, alla melma chimica riversata in mare – dettando all’Ilva le condizioni per continuare a lavorare.

Era una partita su cui più volte gli enti locali avevano promesso intransigenza. E proprio nella loro fermezza il movimento ambientalista tarantino aveva riposto speranze e fiducia, aspettandosi una dimostrazione di coerenza da quegli stessi personaggi che ad ogni tornata elettorale sbandieravano il vessillo della difesa del territorio e della salute.

Sapevano, i tarantini, che la battaglia sarebbe stata dura, con la Prestigiacomo e i suoi funzionari (fra i quali Luigi Pelaggi, arrestato proprio ieri per truffa aggravata, corruzione e traffico illecito di rifiuti) sfacciatamente schierati al fianco dei Riva9.

ilvacoke6Forse non sospettavano, però, che anche il tecnico chiamato a rappresentare la Regione Puglia nel processo autorizzativo fosse uno “yes man” dell’Ilva: quel  Pierfrancesco Palmisano che passava all’azienda le bozze dell’autorizzazione da emendare, che concordava con Archinà (l’onnipresente responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva) i comportamenti da tenere in commissione,  che prometteva controlli in azienda all’acqua di rose.  Fu proprio Palmisano ad  impedire che fosse inserita fra le prescrizioni la copertura dei parchi minerali10.

Sarebbe però piuttosto ingenuo credere che la strategia della Regione Puglia fosse totalmente nelle mani di un tecnico infedele, di una “serpe in seno” allo staff di Vendola (su cui, comunque, non era stato esercitato il necessario controllo). Prima  della ratifica definitiva dell’Aia, infatti, il coordinamento di associazioni tarantine “Altamarea” aveva provveduto ad informare personalmente il governatore sullo stato dei lavori, palesandogli  “il proprio assoluto dissenso su un parere istruttorio erroneo, ingannevole, inidoneo e del tutto inadeguato al rilascio dell’autorizzazione11.

Le associazioni  chiesero a Vendola di battersi per inserire nell’Aia dieci punti considerati irrinunciabili12 –  come la copertura dei parchi primari, limiti alla capacità produttiva, bonifica dei siti inquinati – ricevendo rassicurazioni sul fatto che la Regione si sarebbe adoprata  “per ridurre il carico inquinante complessivo attraverso prescrizioni dettagliate e per introdurre controlli severi e sanzioni esemplari e pesanti in caso di trasgressioni13.

A pochi giorni dall’incontro con “Altamarea”, con Delibera di Giunta n. 1504/2011 la Regione Puglia stabiliva le condizioni per dare il suo assenso al rilascio dell’Aia. Fra queste veniva reiterata la solita promessa del campionamento in continuo delle diossine sul camino E 312 (da attuarsi in un vago futuro),  e la possibilità di ridiscutere l’autorizzazione  in caso di superamento dei limiti  del benzo(a)pirene.  Una presa per il culo, visto che il benzo(a)pirene era oltre i limiti da anni, e la diossina dell’ E312 aveva raggiunto, nel maggio 2011,  valori doppi rispetto ai 0,40 ng ITE/Nmc fissati dalla normativa regionale14.

parcoPerchè dunque assentire all’Aia, se l’impianto era già in partenza ampiamente fuori norma ? Con un inversione dell’ordine del discorso la logica che si applicava non era “tu azienda rientri nei limiti, poi io ti autorizzo a funzionare”, ma “io ti autorizzo a funzionare se tu mi prometti che forse un giorno rientrerai nei limiti”.  In ogni caso, fra le condizioni poste dalla Regione per dare il via libera, non aveva trovato spazio NESSUNO dei “dieci punti” richiesti dal movimento ambientalista tarantino. I parchi primari restavano scoperti, non solo per il dolo di un funzionario corrotto, ma per decisione politica.

Alla fine le blande prescrizioni della Giunta Vendola  non trovarono difficoltà ad essere recepite all’interno dell’Aia, mentre “AltaMarea”, si ritenne  “tradita e ingannata come l’intera città”, e da quel momento “considerò avversari la Regione e gli Enti Locali protagonisti del clamoroso voltafaccia15. Una frattura insanabile resa ancora più profonda dal perpetrarsi di ulteriori insulti all’intelligenza  da parte della propaganda vendoliana.

A fine novembre, un videomessaggio16 del governatore rinverdiva la vecchia retorica trionfalista,  inneggiando ai risultati  dell’ultimo rilevamento della diossina sull’ E312: “Gli ultimi dati dicono 0,2 nano-grammi per metro cubo. E’ un dato straordinario ! Una delle migliori buone pratiche che ci siano state a livello europeo !  Abbiamo non chiacchierato, non innalzato polveroni polemici. Abbiamo operato per amore di Taranto”.

In piena verve autocelebrativa, Vendola ometteva distrattamente di dire che nelle misurazioni precedenti  la diossina dell’ E312 aveva spallato di brutto, ed anche che quel monitoraggio durava appena 9 giorni all’anno ignorando i restanti 356.  Ma soprattutto, dimenticava  che le emissioni dell’E312 erano solo la punta dell’iceberg.

Big bags 1La Relazione sui dati ambientali 2009 dell’Arpa Puglia precisava infatti che  “la presenza di diossine nelle deposizioni del quartiere Taranto Tamburi non è dovuta alla emissioni convogliate del camino E312, ma piuttosto a quelle diffuse/fuggitive” , cioè non captate dagli aspiratori.  Fra le fonti di emissioni diffuse c’erano pure quelle grosse borse (big bags) dove venivano insaccate le polveri abbattute dagli elettrofiltri delle ciminiere, che perdevano inquinanti da tutte le parti17. In pratica, le diossine dell’E312 venivano prima filtrate, poi insaccate e poi  sparse di nuovo nell’ambiente.

Ancora una volta la realtà dello stabilimento si dimostrava lontana anni luce dalla vetrina allestita per rappresentarla.  Una farsa che avrebbe potuto continuare all’infinito se, nel gennaio 2012, le perizie disposte dal gip di Taranto non fossero calate su quella vetrina per infrangerla irrimediabilmente.

Le perizie – chimica ed epidemiologica18 – inchiodavano in una sorta  di J’accuse i Riva alle loro responsabilità, e i governanti nazionali e locali alle loro ipocrisie. “La risposta è affermativa”, scandivano, per la diffusione di sostanze pericolose, per l’avvelenamento della terra, del cibo e del bestiame,  per l’omissione di misure antinfortunistiche e di salvaguardia ambientale. “La risposta è affermativa”, per 75 morti operaie e 1.696 malattie professionali. “La risposta è affermativa” per 386 decessi fra la popolazione, per 237 casi di tumore, oltre a migliaia di ricoveri per malattie respiratorie (soprattutto in età pediatrica), cardiache, neurologiche e renali.

Contemporaneamente l’incriminazione dei Riva – Emilio e Nicola – con altri tre dirigenti del siderurgico suggeriva al governatore che forse  l’enfasi sulla “nuova era nei rapporti tra industria e comunità di Taranto” andava prudentemente messa da parte.

Per non restare travolto dal crollo di quell’enorme castello di cazzate pazientemente costruito in tanti anni di esercizi retorici, in marzo il Presidente della Regione Puglia chiedeva al neoministro Corrado Clini la revisione dell’Aia, la stessa che appena otto mesi prima aveva ricevuto il suo parere favorevole. Forse già prevedeva che da lì a poco il precipitare della situazione lo avrebbe costretto a nuovi e più complicati equilibrismi. (Continua)

 


  1. Ministero dell’ambiente, Autorizzazione integrata ambientale per l’esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto, 14 agosto 2011, p. 822. Dall’entrata in vigore del D.Lgs. 59/05, gli impianti industriali sono soggetti, per poter funzionare, ad autorizzazione integrata ambientale, che comprende le autorizzazioni relative a emissioni in atmosfera, scarichi idrici, rifiuti. Ai fini dell’AIA il gestore dell’impianto si impegna ad attuare le “migliori tecniche disponibili” tra quelle tecnicamente realizzabili ed economicamente sostenibili, al fine di garantire le migliori prestazioni ambientali. Giocando sulla ampia interpretabilità dei concetti di “tecnicamente realizzabile” ed “economicamente sostenibile”, gli industriali spingono per fare il minimo indispensabile e a poco prezzo. In genere gli enti autorizzatori (Ministeri, Regioni) felicemente accondiscendono. 

  2. Tribunale di Taranto, Riesame avverso ordinanza emessa dal GIP in data 25 luglio 20127 agosto 2012,   p.14. 

  3. Ministero dell’ambiente, Autorizzazione integrata ambientale per l’esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto, 14 agosto 2011, p. 163 e p.172 

  4. Stefania Prestigiacomo, al suo arrivo al Ministero dell’Ambiente, si premurò subito di cambiare i componenti della Commissione Ippc, quella che redige i pareri istruttori per le autorizzazioni integrate ambientali. Gli “esperti” da lei scelti, sostituiti a studiosi di chiara fama, mostravano curricula di tutto rispetto in termini di incompetenza, precedenti penali, conflitti di interesse. Nel dettaglio: Sandra Amurri, Giochi di Pestigiacomo, L’Espresso, 7 novembre 2008. 

  5. Ministero dell’ambiente, Autorizzazione integrata ambientale per l’esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto, 14 agosto 2011, p. 110 

  6. Ibidem, p.236 

  7. Ibidem, p.968.  Sulla nocività del pet coke: Bosco ML, Varrica D, Dongarrà G., Case study: inorganic pollutants associated with particulate matter from an area near a petrochemical plant, in Environ Res. 2005 Sep;99(1), pp.18-30; Pet-coke sinonimo di inquinamento secondo l’Università di Palermo, adnkronos, 13 gennaio 2005. 

  8. Dichiarazione a Telerama, agosto 2011. 

  9. Corrado Clini, Direttore generale del ministero dell’ambiente e futuro ministro, definito nelle intercettazioni come “un uomo nostro” dal responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva Girolamo Archinà;  Luigi Pelaggi, Capo dipartimento del ministero dell’Ambiente, beccato a rassicurare l’avvocato dei Riva sul fatto che la Commissione Ippc aveva accettato il 90 % delle osservazioni dell’azienda. Pelaggi dava precise istruzioni al Presidente della Commissione Ippc Dario Ticali su come procedere a favore dell’Ilva. Vedi: La nota della Gazzetta, La Gazzetta del Mezzogiorno, 4 agosto 2012. Aria pulita e un po’ di chiarezza su Taranto, La Repubblica, 08 agosto 2012 – sez. BARI. 

  10. Mario Diliberto, Giuliano Foschini,  Così i vertici eludevano i controlli“, La Repubblica, 17 agosto 2012.  Mario Diliberto, Ma il funzionario regionale in commissione fece passare la norma gradita al siderurgico, La Repubblica, 19 novembre 2013  

  11. Clara Gibellini,  Ilva di Taranto, al via la settimana decisiva su sforamento emissioni e autorizzazioni, Il Fatto Quotidiano, 02 luglio 2011. 

  12. I dieci punti: 1° Massima capacità produttiva di 10,5 milioni di tonnellate/anno anziché 15; 2° Durata dell’AIA di 5 anni anziché 6 3° Mancanza di certificato prevenzione incendi e nulla osta dell’analisi di rischio di incidente rilevante; 4° Controllo della diossina anche attorno ai filtri, raffreddatori, ecc. e numero massimo di sforamenti della concentrazione fissata, superato il quale scatterebbe l’arresto dell’impianto; 5° Limite quantitativo annuo delle emissioni complessive degli inquinanti con progressiva ma drastica riduzione nel tempo: 6° Controllo del B(a)P anche all’interno dello stabilimento con limite emissivo di 150 ng/mc sul piano coperchi della cokeria (limite adottato in Francia); 7° Controllo e monitoraggio degli inquinanti nelle acque di processo degli impianti non diluite da acque di raffreddamento, piovane, ecc. e quantitativi massimi di inquinanti scaricati in mare; 8° Copertura dei parchi primari come quella in corso sui carbonili di ENEL Brindisi; 9° Bonifica dei siti inquinati; 10° Forti sanzioni fino al fermo dell’impianto in cui venissero violate le prescrizioni dell’AIA 

  13. Lettera aperta di Biagio de Marzo (Altamarea) al presidente Vendola, 6 dicembre 2011 

  14. Arpa Puglia,  Monitoraggio di diossine all’ILVA di Taranto: risultati del campionamento di maggio 2011, 27 giugno 2011 

  15. Lettera aperta di Biagio de Marzo (Altamarea) al presidente Vendola, 6 dicembre 2011 

  16. Videomessaggio del 30 novembre 2011. 

  17. Rai TV7, I “figli dell’Ilva” di Taranto, 9 marzo 2012, min. 00,40. 

  18. M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull’Ilva di Taranto, 2012, Annibale Biggeri, Maria Triassi, Francesco Forastiere, Conclusioni perizia epidemiologica sull’ILVA di Taranto, 2012.