bersaglio1

di Alexik

A questo link il capitolo precedente.

Quel giorno doveva masticare amaro mentre disfaceva i bagagli all’interno della sua nuova sede, dopo essere stato  retrocesso da capo della sezione omicidi della mobile a dirigente di un commissariato di quartiere.

“Non adatto a investigare”: con questo giudizio lapidario lo aveva marchiato uno dei suoi superiori, nel corso dell’inchiesta condotta da Achille Serra sulla questura della Uno Bianca1. Trasferito in via del Pratello2 con questo bel curriculum, il vice questore aggiunto Giovanni Preziosa, in un’uggiosa giornata del dicembre ’95, si accingeva a tappezzare le pareti dell’ufficio con i suoi numerosi attestati. per dimostrare fin da subito a colleghi e sottoposti che era stato declassato, si, ma non era mica un cretino!

Malgrado tutto di fronte a sè aveva una grande opportunità: uomini operativi direttamente sotto il suo comando per il controllo di un intero quartiere, su cui si andava espandendo sempre più la  fertile percezione del degrado.  La città era cambiata, così come il paese.  L’immigrazione forniva su un piatto d’argento il nuovo nemico interno,  molto più appetibile rispetto ai devianti autoctoni grazie alla sua completa alterità nei confronti della città bianca e borghese. Un corpo estraneo su cui poter convogliare ogni tensione. Il nuovo commissario già pregustava un tripudio di consensi e facili vittorie contro gli sbandati  e i marginali .

“Chiamo da via Marconi…posso dire che la presenza delle forze dell’ ordine ultimamente si avverte…”.  “In centro ho visto molti poliziotti che mandano via gli extracomunitari, i drogati… ringrazio il dottor Preziosa: spero che continui cosi”.  Sulle onde di Radio Nettuno Onda Libera (ma libera veramente !!!) il microfono aperto era tutto un susseguirsi di salamelecchi, ossequi e leziose riverenze nei confronti della polizia. Intervistato negli studi dell’emittente bolognese il commissario Preziosa – a tre anni dal suo insediamento al Pratello – ascoltava gongolando le sviolinate degli “onesti cittadini”, plaudenti e grati per l’opera di “pulizia” che sgomberava le strade del centro dai rifiuti della società.

Sotto la sua gestione il commissariato aveva decuplicato gli arresti dei balordi3 , supportato dalle nuove forme di associazionismo che da qualche tempo aggregavano volontari non più nel segno della solidarietà, ma attorno al ben più solido legame del rancore4.

Preziosa aveva retto bene anche alla prima crisi, quando uno dei suoi ispettori venne beccato a taglieggiare i nordafricani, a violentarli – pistola alla mano – e a costringere ragazze nigeriane a fare sesso con i propri amici. In quell’occasione il commissariato intero si era compattato come un sol uomo nel respingere gli attacchi infamanti di certa stampa, dimostrando coesione e spirito di corpo nell’attacco ai pochi giornalisti fuori linea5.

In seguito il commissario aveva superato indenne le (poche) proteste che fecero seguito alle cariche sanguinose lanciate contro gli anarchici, durante il presidio per la morte di Edoardo Massari. Quella sera si erano azzardati a manifestare proprio sotto le finestre del suo ufficio… quale migliore occasione per rinverdire i bei tempi in cui guidava la celere sulla piazza bolognese ? Il feroce pestaggio di Valdino Manna, colpevole di essere un compagno e di abitare di fronte al luogo del presidio, aveva suscitato flebili critiche e nessun risalto sulla stampa locale6.

Ma quali critiche, quali ombre, potevano reggere di fronte all’acclamazione da parte della “gente comune”, che le onde radio stavano diffondendo in tutta la città ?  Polleggiato su una poltrona di Radio Nettuno, Preziosa poteva finalmente godersi fino in fondo il successo mediatico del suo lavoro. Nella diretta telefonica la “vox populi” si scagliava contro il Comune ed i suoi vigili urbani (rei di perdere tempo a fare le multe invece che combattere il crimine),  invocava la custodia cautelare per la microcriminalità, e in generale chiedeva a gran voce: più repressione, più repressione, più repressione !!!

Musica per le orecchie del vicequestore ! Cantata però da un coro un po’ troppo familiare: quello degli agenti del suo commissariato mascherati da comuni cittadini. Voci che in radio avevano dichiarato altre generalità, omesso il proprio vero mestiere, ma non si erano camuffate abbastanza da rendersi irriconoscibili alle infide orecchie dei colleghi del Siulp. Quando i giuda del sindacato avverso denunciarono la truffa – trasformando quella che doveva essere una brillante operazione d’immagine in una sontuosissima figura di merda – scoppiò il putiferio7.  L’accusa di voler manipolare la pubblica opinione e le critiche rivolte al Comune suscitarono molto più scandalo degli stupri delle nigeriane e del sangue sul selciato del Pratello.

Mentre rifaceva le valigie, trasferito – questa volta – in un paesino della bassa bolognese,  Preziosa però già sapeva che non si sarebbe rassegnato a scomparire fra le nebbie di pianura, a spegnersi in un avvenire privo di gloria. Sapeva che quelle finte telefonate, in realtà, rappresentavano davvero il pensiero di una parte sempre più consistente dei bolognesi. Un pensiero becero che non ama le elaborazioni complesse, nutrito di frustrazione, di odio razziale e di paura. Di quel pensiero voleva farsi interprete, ora che dalle macerie della prima repubblica erano sorte nuove forze che ergevano l’estremismo securitario come una nuova bandiera.

Nella primavera del ’99 decise di scendere in campo, candidato ad uno scranno di Bruxelles nella squadra di Alleanza Nazionale. L’esordio non fu dei più fortunati: l’esiguo risultato elettorale avrebbe reciso sul nascere lo sboccio della sua promettente carriera politica se alle elezioni europee non fossero state abbinate le amministrative di Bologna.

Con la vittoria di Guazzaloca, la prima amministrazione di centrodestra della città felsinea dai tempi dei podestà gli dischiuse inaspettate prospettive, scegliendo lui alla guida del primo assessorato alla sicurezza di un comune italiano. Non proprio una stanza dei bottoni, ma almeno un stanzetta dei bottoncini, da dove poter sperimentare vecchie pratiche repressive di stampo fascista travestite da nuove teorie criminologiche d’ultima moda.

Già da alcuni anni impazzavano oltreoceano le politiche della “Tolleranza zero”, applicate da Rudolph Giuliani, sindaco di New York, con inflessibile fermezza. Teorie di  dubbio fondamento8 permettevano di includere nella categoria dei criminali soggetti che fino a poco prima non lo erano – mendicanti, alcolisti, clochard, ambulanti abusivi, graffitari – e di scatenare su di loro l’intero armamentario repressivo. Era la dottrina ideale per istituzioni in crisi di legittimazione, alla ricerca affannosa di nuove fonti di senso. Esse non avevano più niente da dare, in termini di welfare, alle fasce sempre più estese degli esclusi dalle economie neoliberiste, né potevano (o volevano) più declinare il concetto di sicurezza con quelli di lavoro e diritti sociali. L’unico ruolo rimastogli era la creazione di nuovi mostri – utili per deviare l’aggressività popolare lontano dai criminali al potere – e la “difesa” di un generico cittadino da quegli stessi mostri da loro stesse inventati e ingigantiti.

La tolleranza zero era la dottrina ideale anche per il neoassessore alla paura della giunta bolognese. L’inclusione fra i “public enemies” di tutta una serie di soggetti deboli forniva al suo “coraggio” e al suo “valore” avversari poco più che inermi, mentre il carattere endemico della marginalità non l’avrebbe mai lasciato privo di nemici da cui difendere il cittadino onesto.

Concentrato sulla sua nuova missione, Preziosa si mise subito al lavoro.  Per prima cosa gli servivano le truppe: doveva assolutamente trasformare quegli imbelli dei vigili urbani in un manipolo di intrepidi da scatenare contro il crimine. La proposta non riscosse un particolare successo fra i diretti interessati: il 3 Marzo 2000 un referendum consultivo interno alla Polizia Municipale bocciava il piano di Preziosa a larga maggioranza9. Per dimostrare l’alta considerazione che assegnava al parere dei suoi uomini, Preziosa del referendum se ne stracatafotté altamente. Costituì un nucleo separato, affidato alla direzione del comandante Ercolino che gli rispondeva direttamente, saltando la catena gerarchica, e lo sguinzagliò a pattugliare le vie del centro.

Già pregustava l’arrivo a Bologna del vertice OCSE, una ghiotta occasione per mettere in mostra i muscoli, ma dovette subire una cocente delusione. Guazzaloca, che non ci teneva certo a far lievitare la tensione in città, lo tenne fuori dai processi decisionali,  evitando di affidare ruoli delicati ad un essere completamente privo di capacità di mediazione. La gestione degli scontri di quel giorno venne poi affidata a sbirri di maggior calibro, ma nonostante l’esclusione, l’assessore alla paura riuscì ugualmente a dare il suo umile contributo, proponendo con successo la chiusura di una parte del centro attorno all’area del vertice10. Fu la prima zona rossa.

Preziosa non si fece prendere dallo sconforto, del resto aveva molto da fare.

Il 1° giugno concluse un accordo per l’apertura di una filiale di San Patrignano (nota enclave elettorale del centrodestra) nei dintorni di Bologna, scavalcando completamente il sindaco del comune interessato11.

Il 20 giugno, in anticipo di anni rispetto a Cofferati e Dominici,  si scagliò contro i lavavetri, proponendo di buttarli fuori dai campi di accoglienza del Comune12.

Il 28 giugno rese note le misure per combattere lo spaccio e la prostituzione minorile nei parchi pubblici: radere al suolo gli alberi, colpevoli di nascondere pedofili e spacciatori13.

Il 6 luglio espose il suo piano antiprostituzione: multe ai clienti ed espulsioni di massa delle sfruttate col permesso di soggiorno non in regola14.

Il 9 luglio si occupò della privatizzazione, a favore di un albergo del centro, di aree di verde pubblico “degradate”15.

Il 14 luglio auspicò la dotazione di spray paralizzante per i vigili16.

Il 17 luglio apprezzò la proposta del consigliere di AN Massimiliano Mazzanti17, di rendere piazza Verdi “zona di diritto privato”, concedendo a costo zero piazza e portici ai commercianti18.

Il 19 luglio difese in giunta la sua idea di militarizzare i centri di accoglienza dei senza fissa dimora19.

Il 28 luglio, al termine di una gara farlocca, tolse la convenzione alla Casa delle Donne per non subire violenza per passarla ad Erendira, un’associazione attigua a quella dei Padri Separati20.

Il 17 agosto procedette allo sgombero di un campo nomadi, ma con qualche difficoltà di ordine giuridico, dato che l’area era di proprietà dei nomadi in questione21.

Da marzo a settembre del 2000, la sua guardia pretoriana enumerava ben 1800 interventi contro i senza fissa dimora22. Tali risultati stratosferici nascondevano, nella realtà, la persecuzione costante di una cinquantina di persone in difficoltà, che ogni notte venivano fatte alzare dai cartoni e sottoposte a controllo. I Preziosa boys potevano vantare fra le eroiche imprese anche la cattura di una giovane di 23 anni di età e 45 chili di peso, sorpresa a chiedere soldi suonando il flauto. L’orrendo crimine venne punito con varie lesioni  dietro l’orecchio e la frattura del setto nasale23.

Ai primi di settembre un eccesso di efficientismo indusse il vicequestore prestato alla politica a pestare la prima grossa merda: l’irruzione dei rambovigili in un albergo del centro, con l’arresto di un piccolo spacciatore ed il sequestro di “ingenti quantitativi” di stupefacenti (un etto di roba), mandò all’aria mesi di lavoro di intelligence dei Carabinieri, che controllavano “l’attività commerciale” sulle tracce di pesci più grossi24. Non la presero bene.

E non la prese bene nemmeno Guazzaloca, già infastidito dall’apertura di un’indagine per abuso d’ufficio a carico del direttore dell’assessorato alla sicurezza, Aurelio Massafra, per la gara d’appalto del Centro antiviolenza25.

Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu l’International Security Consultant srl, la società specializzata in “Scienza della sicurezza” fondata da Preziosa assieme ad alleati politici, amici di vecchia data, quasi tutti presenti sui libri paga dell’assessorato per esose consulenze. La vicenda, che non ebbe – infine – risvolti penali, sollevò il velo su un utilizzo quantomeno bislacco dei fondi pubblici, spesi, per esempio, in sondaggi di opinione rivolti a testare il gradimento popolare dei rambovigili e a misurare il livello di paura fra i bolognesi26.

Il sodalizio economico fra Preziosa e i consulenti dell’assessorato non fu considerato  “politically correct” dal sindaco  Guazzaloca, che gli ritirò la delega . Fini così tristemente la carriera politica di questo pioniere della Zero Tolerance, che anticipò, lungimirante, tutti i temi che sarebbero presto diventati – a livello bipartisan – gli elementi dominanti nel discorso politico istituzionale. La sua eredità, comunque non si perse: qualche anno dopo la giunta Cofferati ne avrebbe raccolto il testimone, scatenando una tale ferocia contro lavavetri, baraccati e graffitari da far sembrare una mammoletta perfino il nostro vicequestore27.

Dopo la sua defenestrazione dalla giunta, Preziosa tornò in polizia mantenendo un basso profilo.  Ormai partecipava solo sporadicamente a iniziative pubbliche ed occasioni mondane … al presidio di protesta contro l’arresto dei colleghi di Napoli, accusati delle sevizie sui manifestanti al “Global Forum” del 2001…. al banchetto per la raccolta di firme e fondi a favore di Mario Placanica28 con l’amico Mazzanti… alla manifestazione dei AN contro la grazia a Sofri29…. a un ultimo sgombero di poveracci dalle loro baracche30.

Ma il presenzialismo dei bei tempi sarebbe tramontato per sempre se il “Rudolph Giuliani de noartri” non si fosse fatto beccare con le mani sprofondate nella marmellata fino ai gomiti. La mattina del 3 settembre 2013 le agenzie di stampa lo riportarono improvvisamente agli “onori” della cronaca:

Il vicequestore aggiunto Giovanni Preziosa è stato arrestato questa mattina nella sua abitazione di Bologna dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia, nell’ambito dell’inchiesta che lo scorso marzo ha portato in carcere i vertici della Mantovani, il colosso di costruzioni impegnato per la realizzazione del Mose, per una maxi evasione fiscale, presunte tangenti e fondi neri. Preziosa è accusato di corruzione, accesso abusivo al sistema informatico, rivelazione di segreti d’ufficio e peculato. Dietro compenso di denaro avrebbe fornito agli indagati informazioni riservate sullo stato delle indagini e sulle mosse degli inquirenti. Per agevolare imprenditori amici, avrebbe cercato e comunicato informazioni riservate e delicate. Il tutto in cambio di soldi, omaggi e promesse di contratti di consulenza. Oltre a 162mila euro, per i “servizi” resi da maggio a ottobre 2012, Preziosa avrebbe ricevuto anche un motore fuoribordo, nuovissimo, per il suo gommone. E non si sarebbe limitato a passare notizie coperte, estrapolate dalla banca dati del Viminale e da altre fonti: prestò una paletta e un lampeggiante di servizio per rendere più credibile la missione di un manager che doveva fare pressioni per una pratica, poi sbloccata”31.

Evidentemente, la consulenza nelle “scienze della sicurezza” era proprio la sua vera passione, intesa come “intelligence” (anche se non molto intelligent !)  al servizio delle attività delinquenziali dei padroni.  Dopo anni passati a schiacciare come delittuosa ogni forma di sopravvivenza messa in atto dagli esclusi della società, il poliziotto dal pugno di ferro  avrebbe offerto le proprie capacità investigative al soldo dei reati del capitale, confermando la sensazione che per i supporters della tolleranza zero, la criminosità o meno di un atto dipenda solo dalla condizione di classe di chi lo compie.  Questo è il significato  della sua storia, che mi auguro declini definitivamente nell’oblio.

Note:

(1) Luigi Spezia, Preziosa tra incidenti e polemiche: scontri coi giudici, telefonate, rambovigili, in “La Repubblica”,  5 ottobre 2000.

(2) Sede del commissariato “Due Torri/San Francesco”

(3) Grazie alla “sperimentazione”  voluta dal questore Aldo Gianni, il commissariato “Due Torri/San Francesco”  riuscì a scaricare tutto il lavoro amministrativo sulla Divisione anticrimine, col risultato di intasare di scartoffie la centrale investigativa e liberare uomini della struttura territoriale per la guerra al degrado.

(4) La seconda metà degli anni ’90 vide in città la nascita e il proliferare di comitati contro il degrado, con funzioni prevalenti di gruppo di pressione sulle politiche cittadine. Parallelamente, altre aggregazioni si diedero compiti più “operativi” , come ad esempio quella del “Corpo Pattuglie Cittadine”, con sede – guarda caso – di fronte al commissariato Due Torri/San Francesco.  Ai tempi in cui la proposta delle ronde veniva accolta, in altre città, come una provocazione, a Bologna esse erano già una realtà riconosciuta dalla giunta Vitali. Il Corpo Pattuglie Cittadine si ingrassò con i soldi pubblici delle giunte Guazzolaca e (per un anno e mezzo) Cofferati , che finanziarono tramite convenzione i servizi di ronda. Vennero usati anche per menare le mani durante i cortei, finché qualcuno non si accorse che non erano poliziotti veri. Fra i pattuglianti anche un condannato per ricostituzione del partito fascista.

Blitz della digos in casa di alcuni membri di associazioni cittadine che aiutano a mantenere l’ordine pubblico. Nelle abitazioni trovate attrezzature da ‘picchiatori, da “Il Resto del Carlino”, 30 gennaio 2007.

Bologna: indagine procura su pattuglianti cittadini ipotizza usurpazione titoli, Adn Kronos, 30 gennaio 2007.

(5) Livio Quagliata, A Bologna un ispettore di polizia accusato di violenza carnale, concussione e rapina. Sullo sfondo il processo della “Uno Bianca, da “Il Manifesto”, 8 ottobre 1996.

(6) Vedo gente che scappa e d’istinto allungo il passo. Un poliziotto mi raggiunge e mi manganella. Con altri mi trascina verso il portico e lì ricevo altre botte. Mi ammanettano dietro la schiena. Protesto e urlo a un tipo in finestra di avvisare mia moglie”. Perde molto sangue Manna, ma è tenuto in terra con un piede. “Quel poliziotto mi ripeteva: bastardo, ti ho visto tirarmi un sampietrino”. Lo portano verso il Pratello. “Chiedo che mi allentino le manette perché ho una mano gonfia. Alla fine acconsentono”. Starà fino alle 3 al pronto soccorso: “Sei in stato di fermo, mi urlavano, ma poi mi hanno lasciato. Con una prognosi che giudico politica, cioé pochi giorni per trauma cranico, punti, anestesia“. Tratto da: Daniele Barbieri, Manganello in testa all’ingegnere scomodo, da “Il Manifesto”, 4 aprile 1998.

(7) Biondani Paolo, Bologna, bufera sulla questura: agenti e funzionari avrebbero telefonato a un’ emittente spacciandosi per comuni cittadini e lodando la polizia, dal “Corriere della Sera”, 5 dicembre 1998.

(8)  Le politiche delle tolleranza zero affondano le loro radici dottrinali nella teoria della “finestra rotta”  di James Q. Wilson e George L. Kelling.  “Secondo questa teoria «se una finestra di un edificio dismesso viene rotta da qualcuno, e non si provvede a ripararla urgentemente, presto anche tutte le finestre saranno rotte, a un certo punto qualcuno entrerà abusivamente nell’edificio, qualche tempo dopo l’intero palazzo diventerà teatro di comportamenti vandalici». Cosa c’entrano vetri e finestre con i fenomeni criminali? Secondo Wilson e Kelling, «il degrado urbano indurrebbe nella comunità un senso di abbandono, di mancata attenzione da parte dell’autorità, destinato a facilitare comportamenti devianti. Il degrado eleva la soglia di indifferenza della comunità urbana verso varie forme di devianza, con la conseguenza di produrre il consolidamento di culture criminali»…. Detto in altri termini: per combattere efficacemente la criminalità, occorre contrastare fermamente e in modo capillare i piccoli disordini quotidiani, il degrado, i comportamenti immorali e devianti di lieve entità, o addirittura irrilevanti dal punto di vista penale”.  Sergio Bontempelli, Tolleranza zero, il modello americano e i suoi fallimenti, 12 maggio 2008Interessante anche il saggio di Francesco Centonze e Donatella Porrini, Il mito della “tolleranza zero” e la politicizzazione del controllo del crimine.

(9)  Su 518 aventi diritto al voto si espressero in 421 (83 %). Di questi il 65,3% si oppose al piano sicurezza, mentre il 34,7 % (134) lo approvò. Fonte: Donatella Della Porta, Comitati di cittadini e democrazia urbana, Rubbettino Editore, 2004, p. 248.

(10) Andrea Chiarini, Vertice Ocse Guazzaloca s’incarica del dialogo, da “La Repubblica”, 24 maggio 2000.

(11) Andrea Chiarini, Ma l’iniziativa non convince il sindaco Ercolini, da “La Repubblica”, 2 giugno 2000.

(12) Andrea Chiarini, Lavavetri nel mirino, la giunta vuol punirli, da “La Repubblica”, 21 giugno 2000.

(13) Andrea Chiarini, Contro i pedofili tagliamo gli alberi‘, da “La Repubblica”, 29 giugno 2000.

(14) Raffaella Calandra e Carlo Gulotta, La retata delle lucciole, da “La Repubblica”, 07 luglio 2000.

(15) Ne beneficiò l’Hotel Europa, che potè recintare anche una parte di via Cairoli per farne il proprio parcheggio. L’Hotel Europa, in seguito  divenne noto per ospitare riunioni di organizzazioni e partiti di estrema destra, quali “Alternativa sociale”  (Roberto Fiore, Alessandra Mussolini, Adriano Tilgher) e Casa Pound.

(16) Preziosa: spray paralizzante ai vigili? Ci sto pensando, da “La Repubblica”, 15 luglio 2000.

(17) Massimiliano Mazzanti, consigliere  comunale di AN ai tempi dell’assessorato di Preziosa, ne fu uno strenuo sostenitore. Lasciata AN, nel 2009 si candidò a sindaco di Bologna per Casa Pound.

(18) Andrea Chiarini, Summit per Piazza Verdi, da “La Repubblica”, 18 luglio 2000.

(19) Andrea Chiarini, Dietrofront su via Pasubio, da “La Repubblica”, 20 luglio 2000.

(20) Marina Amaduzzi, Erendira in Dinacci, da “La Repubblica”, 07 agosto 2000.

(21) Sgombero del campo nomadi, da “La Repubblica”, 17 agosto 2000.

(22) Andrea Chiarini, Guazzaloca, pensa ai vigili, da “La Repubblica”, 30 settembre 2000.

(23) Il vigile: Non diedi un pugno a quella punk, da “La Repubblica”, 13 ottobre 2000.

(24) Andrea Chiarini, Carlo Gulotta, Indagine sulla gaffe dei vigili, da “La Repubblica”, 11 settembre 2000.

(25) Luigi Spezia, Massafra in Procura, da “La Repubblica”, 26 agosto  2000.

(26) Luigi Spezia, Tra Comune e business, da “La Repubblica”, 4 ottobre  2000. 

(27) Claudia B. Solimei, Il piano anti graffitari di Cofferati: multe salate e un anno di carcere, da “Il Giornale” , 5/09/07.

Valerio Varesi, Cofferati contro i lavavetri “Irregolari, spesso aggressivi,  da “La Repubblica”, 11 ottobre  2005.

Sugli sgomberi del Lungo Reno fino al 2007: Craiova – Bologna … andata … ritorno … andata.

(28) Adriana Comaschi,  I poliziotti protestano in tuta bianca.  La destra s’impadronisce della piazza 80 agenti solidarizzano con i colleghi napoletani, i no-global raccontano le violenze, da “L’Unità”, 4 maggio 2002.

(29) Andrea Chiarini, Due agosto, maggioranza divisa, da “La Repubblica”, 22 luglio  2003.

(30) Maxisgombero sul Reno, come Carroccio desidera, da “ZIC” , 21 febbraio 2013.

(31) Checchino Antonini, Bologna, arrestato il rambo di Guazzaloca, da “Popof Globalist”, 4 settembre 2013.

 

 

 

 

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