di Marco Galeotti
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BARCELONA ARIZONA
La città era come sempre: larghe vie che scendono verso il mare, traffico ordinato e il repertorio dei Mano Negra come colonna sonora.
“Rambla pa’quí, rambla pa’llá, esa es la Rumba dd Barcelona” e si dirigono verso la Ronda Litoral.
“Le merce Madmuasel até ponte de Avignon. Le merce o bixo bahia, le merce Escudellers” e arrivano a Drassanes, pronti per salire la Rambla verso Plaza Catalunya.
“Le merce Bibi malena, le Merce Perro Chaval. Le merce la policia, le merce Abdu Lila” e prendono Gran Via Dels Corts Catalans in direzione Plaza Espanya, poi Entenca fino alla Diagonal dove, come sempre, parcheggiano nel posto dove lavorava l’Inglese.
“Bene, andiamo a trovare qualche amico?”. Chiese l’Altro.
“Siiiii!”. Urló di giubilo Jimmy.
Taxi e un’altra volta in centro.
Decisero cammin facendo di telefonare a Bum.
Lo fecero e lui, chiaramente, rispose.
Bum era affidabile. Qualità assolutamente importante, specie in quel momento. Viveva a Barcellona da anni e da anni era in tesi. Iscritto all’Univeristá dal 1996, aveva cambiato sette atenei e sei rettori, provando due riforme dello studio in due diversi paesi. Nel frattempo, lavorava e filosofeggiava.
“Dove ci vediamo, amico?”.
“Al solito posto va bene?”.
Per arrivare al solito posto dovettero passare per quelle strade dove, emitiendo desde radio Tiniebla para toda la Galaxia [1], chiunque si perde.
Tra i vicoli, come tra i fantasmi.
Il primo che videro fu quello del Gonfio. Era insieme a Gianni
Gianni e il Gonfio.
I tombini, il piscio, la musica, le piazzette, le scritte sui muri, la città vecchia tutta raccontava sommessamente mille e una storia su di loro.
Gianni una volta disse a ito che probabilmente non si sarebbero più rivisti, perché aveva preso una decisione. La decisione era: andare in Africa, comprare una piccola barca a vela, salpare e morire in mare. In molti avevano pensato che non era male come idea per uno come Gianni e che, comunque, se non lo avesse fatto, se lo avessero rivisto, non era detto che si sarebbe ricordato della sua decisione e nemmeno che li avrebbe riconosciuti, questi molti.
Gianni era un poco di buono. Un uomo di strada nel senso che era proprio fatto di strada.
L’aveva prima percorsa, poi vissuta, quindi interiorizzata ed infine se l’era tatuata addosso.
Era stato per un periodo el rey de la calle.
Quando arrivava il Grande Puffo, in Plaza del Trippi [2], si guardavano con rispetto. Quasi si piacevano, quei due. Il poco di buono e il capo sbirro di quartiere. Ito si ricordava bene di quella volta che tutto il Bahia lo festeggiò, perché era un anno che gestiva traffici lí ed era ancora libero. Ed era l’unico ad essere durato un anno, ostentando il suo essere fatto di strada e le sue rigogliose piante di marijuana che, dall’alto di un quinto piano, irradiavano di luce verde la via degli scudieri [3]. Dopo un anno e un mese, se ne andò.
Ito si ricordava anche di quella notte, quando lo prese da parte e gli disse:
“Senti bello… ma tu sei un criminale, un gangster, un poco di buono o un uomo onesto?”.
E lui ci pensò e ripensò su, perché per Gianni era una cosa seria e si stavano simpatici quei due, così diversi così complici a volte.
Era una sorta di koan di strada, un interrogativo senza risposta?
No, assolutamente no: Gianni gli spiegò tutto, pure ció che pensava e non si diceva.
“Vedi, tu sei un poco di buono. Le persone oneste sono dei fessi, i criminali ci hanno i soldi e il potere e i gangsters sono gente organizzata”.
“E tu cosa sei, Gianni?”.
A volte era annebbiato dall’alcool e dalle droghe, altre volte era lucidissimo per lo stesso motivo.
Quante cose gli aveva insegnato! Chi sono gli infami, come riconoscerli e come comportarsi con loro.
Mai tradiva, mai tirava un pacco.
Ora era riapparso, l’ennesima riapparizione.
Il suo corpo raccontava che il tempo si può fermare: capelli lunghi e sporchi, cinquant’anni suonati, ma tanta tanta energia.
A Ito, quando lo vide, istintivamente, venne da piangere.
“Che cazzo fai, maricón? Ti sei rimbecillito?
A Ito, istintivamente, gli venne da smettere di piangere.
Abbracciò allora il Gonfio, compagno di avventure, per l’ennesima volta ritornato anche lui a Barcellona.
Erano i tipi giusti, Gianni specialmente, a cui chiedere ancora una volta dov’erano gli infami, come fare a riconoscerli e come comportarsi con loro.
L’Altro lo sapeva, conosceva quei due, anche se meno del compagno. Li salutò con un grande e lungo abbraccio e prese a raccontare.
“…E per questo siamo qui. Che dici?”.
“Minchia, ragazzi! Ma voi vi mettete coi gangsters? E lui chi cazzo é?”.
Fece, indicando con la mano vissuta e aperta Jimmy Hollywood, che aveva ascoltato in silenzio.
“Dicono che in estate sia Jimmy, piacere signor Gianni” – ribatté Hollywood, come sempre attento alla forma.
“Ciao. Sentite, ora io vado a fare delle cose e lui viene con me – indicando il Gonfio – se non mi rompete i coglioni e se mi ricordo ci becchiamo diciamo verso le undici, vabbene?”.
“Dove?”.
“Ma che cazzo di domande mi fai compare? Ti sei rimbecillito davvero!”.
Erano quasi le sette e dovevano andare da Bum, poi avrebbero avuto tutto il tempo di cenare e raggiungere Gianni al Bahia.
Erano praticamente le sette e forse era anche giunto il momento di dire basta a quella coerenza astemia che aveva fino ad allora caratterizzato la spedizione. Ciò, perlomeno, si intuiva dallo sguardo languido di Jimmy Hollywood che sapeva indubbiamente di assenzio. Bum era piantato sulla porta del bar, con una birretta in mano ed il suo sorriso beffardo, il sorriso di sempre, ad accoglierli.
“Ciao ragazzi! Lo sapete che mi sono fidanzato?” – fece il sosia di Frank Zappa agli amici. Era una notizia, questa. Senza dubbio.
“É da sei mesi. Sto con una basca”.
E avrebbero avuto voglia di conoscerla e di indagare su quell’amore, ma non c’era tempo, o meglio in quel tempo vigeva la regola del silenzio-assenzio, tanto nota anni prima alla fine delle Ramblas. Tale regola fu rotta solo da un laconico “ma dai” e ripresa subito, visto che lo stesso Bum aveva colto l’esigenza del gruppo. S’incamminarono così verso il Pastis e lá incontrarono Edith Piaf stampata sui muri. Ordinarono la bevanda senza ghiaccio, per la gioia di Hollywood, e bruciarono lo zucchero sul cucchiaino appoggiato sul collo del bicchiere. Mentre lo zucchero si scioglieva, anche le lingue, che gradualmente s’impastavano, incominciarono a muoversi, raccontando per l’ennesima volta i fatti.
“Minchia che storia!”. Esclamò Bum stupefatto.
“Beh, io faccio il possibile, chiedo al bar se hanno visto degli stronzi di Milano in giro e poi, non so, ditemi voi…”.
“Grazie fratello”.
L’assenzio ha l’innegabile caratteristica di dissociare gradualmente la mente dal corpo, specie se assunto senza moderazione e se buono. Per questo, resistendo alle tentazioni, non ne bevvero più di due, ma quei bicchieri furono sufficienti ad iniziare la pratica. Il sudore cominciò a materializzarsi, freddo, sulle loro fronti ed ebbero anche il tempo di sapere che Bum stava bene ed era innamorato.
“Ok – fece l’altro – ci sentiamo dopo”.
“Siete al Bahia, allora?”.
“Sì e poi non so, ma o ti raggiungiamo al bar o comunque ti teniamo informato”.
“Anch’io, se so qualcosa, vi chiamo. Ciao, ragazzi! Ciao Jimmy, cazzo quanto tempo! Sei sempre più uguale a Johnny Deep in Paura e Delirio! Ah ah!”.
“E’ sempre un piacere, caro!”.
Uscirono dal Pastis, non prima di salutare Edith ed il proprietario del locale, che, pur non vedendoli da molto, li aveva trattati come l’ultima volta: servendogli assenzio ed ascoltando impassibile ma interessato le loro storie in una lingua straniera ma amica,
“Oye, tios- disse – si sé algo yo también les avisaré. Dejadme un número de telefono [4]”.
“Sí, claro. Y muchas Gracias”.
“Esperen! La penúltima. Yo invito [5]”.
“Nooo!” – pensarono insieme, però fu sì e così gli fu servito un altro assenzio. Il terzo giro. Quella penultima, fu abbastanza impegnativa.
È questo l’effetto che gli faceva l’alcool quando non volevano assumerlo ma non sapevano resistergli.
L’assenzio, intanto, si incamminava verso le loro teste e li faceva sentire cogitabondi, riflessivi. Uscirono con più circospezione di chi non lo aveva bevuto, e camminarono molto lentamente, o almeno così gli parve, da Drassanes, in diagonale verso su, evitando accuratamente la corte dei miracoli che infestava le Ramblas.
ESCUDELLERS
Le otto e mezzo.
L’assenzio gli aveva tolto l’appetito, ed era ovvio ricorrere alla birra. S’infilarono in Escudellers e la percorsero tutta, oltrepassando il Bahia e finendo cosí in Avinyó. Lí girarono a sinistra, per vedere se il bar di Manel era ancora aperto.
Sí.
“Hola Manel! Que tal?”.
E presentarono Manel a Jimmy. I due chiaramente si piacquero.
Manel gli raccontò che suonava sempre meno, che ora aiutava alcuni musicisti del Palau de la Música lavorando a tempo perso come arrangiatore e che, per il resto, passava il suo tempo al bar, visto che non aveva voglia di vedere la moglie, e che c’erano sempre il BarÇa e gli amici. Loro ricordavano di quando, in quel minuscolo bar, Manu Chao suonó con un ragazzo cileno per ore canzoni note e altre inventate, e di quello che disse di Manel, che era un suo grande amico e che lo rispettava molto come uomo e come musicista. Ricordarono anche che dopo un po’ si era sparsa la voce ed erano arrivati turisti a decine e che, quindi, era finita la musica. Ordinarono birra. Manel non era un tipo loquace. Parlava solo del Barcellona ai pochissimi clienti casuali e di storie belle e lontane ai pochissimi amici. Non era nemmeno molto simpatico, Manel: rispondeva brusco e prendeva per il culo volentieri. Cosí fece, quando senti parti confuse della Storia della Situazione e dei personaggi che la popolavano.
“Andavene a fanculo! Ma che cazzo volete fare, eh? Ma chi vi credete di essere? Siete venuti fin qui per questo? E pensate di vincere qualcosa, anche se trovate quei quattro?” – disse in spagnolo. E continuò:
“Guardate che dovete lasciar stare! Continuate a bere, prendetevi una stanza e domattina con calma tornate indietro. Magari vi fermate a Cadaquès una sera e così meditate un po’ su tutta questa storia!”.
“Manel – intervenne Ito – abbiamo lasciato il lavoro e abbiamo deciso che questa volta no”.
“Io – fece eco Hollywood – in qualità di terzo della storia posso confermare che questa volta no e che sono d’accordo. Vede, signor Manel, é difficile prendere decisioni, ma a volte é stupido non prenderle”.
Dopo aver mandato a fanculo la proverbiale correttezza di Jimmy, che peraltro lo fascinò, Manel capì.
“Ragazzi, se é così vedo di fare un giro qua per qua e magari posso saperne qualcosa”.
Realizzarono che in poco tempo avevano trovato giá diversi alleati, da Gianni e il Gonfio a Bum, dal signor Pastis a Manel, pensarono che non si potevano lamentare e che erano persone giuste.
“Gliela facciamo vedere!”- scappò dalla bocca di Ito, a fine ragionamento.
Manel gli diede uno schiaffo simbolico e lo derise. Ito pensò a quella volta che a Napoli un vigile in zoccoli e canottiera lo fermò e gliene diede uno più forte, di schiaffo, accompagnato da un “sí strunzo, iatavenne!” come “multa” per essere contromano in via Caracciolo.
Pensò, anche, a quanto gli piacessero le città di porto.
Ordinarono altre tre birre. Gli venne fame. Decisero di trattarsi bene. Andarono a Los Caracoles, un ristorante pieno di storia, a venti passi dal Bahia.
“Sapete cosa? – l’Altro – Gianni, Manel… tutti loro sono teste sacre, ma magari non sanno niente dell’addio al celibato a cui partecipano quelli là… secondo me loro frequentano altri ambienti, dovremmo…”.
“No” – Ito.
“Cosa?” – Hollywood.
Ito, come sempre, aveva capito dove voleva andare a parare l’Altro. Che pensava a Giulia. In quel preciso momento, però, squillò il suo telefono.
Era Jaz, forse telepaticamente gelosa.
“Ito?”.
“Sí”.
“E’ successo un casino”.
“Un altro?”.
“Senti, ho parlato con Nadine… é davvero triste, perché… il suo tipo ha fatto il merdone. È lui che gli ha detto… insomma, quei quattro vi stavano cercando e lui … quando ti ha visto da lei… era geloso, secondo me non ha capito bene la Situazione… era in Francia per lavoro, li ha sentiti parlare di voi, per caso, probabilmente sapeva solo qualcosa della rissa, insomma gli ha detto del giro dei bar e così loro sono tornati verso Imperia… comunque la storia del matrimonio é vera: sono a Barcellona”.
“Cristo”.
“Ancora una cosa….”.
“Dimmi”.
“Ce l’avete la pistola?”.
“Sì, perché?”.
“Quelli non sono come noi, quelli sono…”.
“Criminali. O gangster. E io sono un poco di buono. Dimmi un po’ …ma il tipo?”.
“Nadine l’ha lasciato. sono in macchina con lei. Veniamo a Barcellona”.
“Dille di non preoccuparsi. Portate un’amica, c’é anche Jimmy”.
L’ultima frase era da figo, ma il morale era quello di un bambino che é nella merda ed ha solo voglia di gridare mamma.
L’Altro aveva le mani nei capelli, mentre Jimmy, avendone pochi di capelli, ordinò un vino rosso del Penedès.
“Andiamo avanti” – disse l’Altro.
“Almeno sappiamo che sono qui”. Jimmy.
“Giá. Sappiamo anche che sono…”.
Entró Gianni. Si sedette al tavolo cantando “volando voy” del Camarón e mangiò con le mani metá della razione di patatas bravas che il cameriere aveva gentilmente messo a disposizione.
“Allora, quegli schifi sono al Mojito a fare i coglioni. Minchia chebbuone ‘ste patate. Hanno preso un albergo qui in centro, in Santa Ana. Ci devo chiedere un bicchiere di vino io a quel frocetto o ci pensate voi?”.
Arrivò il vino, dal Penedes con furore. Fu versato per primo a Gianni e poi a tutti gli astanti.
“Che facciamo?” – fece Ito preoccupato.
“Senti bello, io mi sono scomodato. Che cazzo significa che facciamo? Sono al Bahia”.
Golò il bicchiere di rosso e si alzò.
“Come hai saputo…”.
“Già lo sai, gli uccellini che cantano… non si dice niente degli uccellini… volando vengo por el camiiino…yo me entretengo”.
Gianni sparì.
I tipi erano al Mojito. Dormivano lì vicino.
[1] dal “Mono” Macaco
[2] Piazza George Orwell,
[3] Calle Escudellers
[4] Ascoltate, ragazzi. Anch’io se so qualcosa vi avviso. Lasciatemi un numero di telefono
[5] Aspettate! Un altro giro. Invito io
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Seconda Parte – GIORNATE CON MOLTE PRETESE
Quando scesero a valle erano ubriachi, stanchi e stanchi di esserlo. Era giá buio e decisero di andare a dormire nello Studio, un posto mistico, ideale per riflettere. Erano stati tanto da Dino a parlare a lui e tra di loro di quelle ultime 24 ore, di quello che poteva essere