di Marco Galeotti

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Seconda Parte – GIORNATE CON MOLTE PRETESE

Quando scesero a valle erano ubriachi, stanchi e stanchi di esserlo. Era giá buio e decisero di andare a dormire nello Studio, un posto mistico, ideale per riflettere. Erano stati tanto da Dino a parlare a lui e tra di loro di quelle ultime 24 ore, di quello che poteva essere successo e che non sapevano.  Perché li inseguivano quei quattro bastardi? Sapevano dove trovarli? Chiesero al DJ le chiavi dello Studio e lui gliele diede senza bisogno di tante spiegazioni. “Se domani ve ne andate, lasciatele sotto il tappetino”.Fece.

Anche lo Studio aveva un tappetino. Di Bob Marley.Nadine non sapeva, chiaramente, che l’infame spia era il suo tipo il quale, avendo sentito l’ultima telefonata dell’Altro, seppe del sole che splendeva nel Principato di Monaco e, gelosissimo, in qualche modo avvertí quelli dell’agguato. Nadine non sapeva nemmeno come avesse fatto, se e perché il suo tipo conosceva i quattro bastardi. Nadine, in definitiva, sapeva solo quello che gli avevano raccontato da Dino e forse proprio per questo motivo, parlando con Jaz e non troppo impaurita dalla Situazione, propose

“Sentite, ragazzi, ma perché non li cercate voi?”.

“In che senso?”. – Ito

“Fino a quando vi cercano loro, voi dovete scappare, ma sono a casa vostra e voi sapete cose, tipo che sono in quattro, che hanno accoltellato un ragazzo albanese nel locale di Rave, che vanno su non so quale macchina eccetera”.

“Era una Punto”. Chiarì Jaz.

“Una pinche Punto nera”. Aggiunse l’Altro.

Non fecero l’amore, ma dormirono abbracciati due a due, che é bellissimo. La cosa più bella in assoluto fu il risveglio: quella domenica lo Studio gli si presentò come una taverna medievale, una grotta di segreti avvolta da una luce rosa che, coccolandoli, li convinse che era tutto meraviglioso. Perché erano vivi, innanzitutto.

Dovevano, questo sí, decidere che fare ed era meglio dividersi.

“Jaz, stammi a sentire – sussurrò Ito all’orecchio dell’amica-complice-amante. Qualunque cosa succeda chiamami, ti giuro che a ‘sto giro terrò il cellulare acceso”.

“Ok campione”.

Gli piaceva molto quando lo chiamava campione e il risveglio, quella domenica nella grotta del DJ, abbracciati e rosa, fu solenne e degno di un campione vero.

“Jaz, mi raccomando: qualunque cosa ti sembri importante, diccela!”.

“Certo. Nadine, ce ne andiamo a casa?”.

“Sí, aspetta un secondo. “ E si giróòverso l’Altro, lo guardò seria e scelse le parole:

“Sai che per me sei speciale, non permetterò che ti succeda niente. Qualunque cosa sappia te la dirò e se hai bisogno chiama. Hai capito, stupido?”

“Sí, certo”.

“Ma cosa pensate di fare?”.

“Dobbiamo riflettere, ma faremo molte cose, te lo prometto”.

Si salutarono e le donne dissero addio come facevano ai tempi dei partigiani che scendevano a valle solo per il loro amore e un po’ di cibo, che poi sarebbero tornati su sulle montagne a sfidare il loro destino. Dissero addio come quelle donne di un tempo, forse come le loro nonne, sperando di rivedere quegli amanti, pregando che non finissero come Felice Cascione[1] che fu ucciso dai fascisti per aver salvato le loro vite.

 Ito: “Sai che non ha mica torto Nadine? Perché se loro ci cercano io non dormo tranquillo, ma se li cerchiamo noi…”.

“Già. Ma, Ito, non siamo molto bravi a fare questo tipo di roba…”.

“Hai ragione, ma abbiamo trent’anni e se non diventiamo grandi ora…”.

“E questo per te significa doventare grande?”.

“S-i”.

“Anche per me amico”.

“Bene. Come facciamo per il lavoro?”.

“Licenziamoci”. Disse l’Altro, flemmatico, accendendosi una sigaretta. Lo avevano giá fatto piú volte, uno a Barcellona, l’Altro a Genova, uno in qualche posto in Inghilterra, l’Altro in altri mondi. Lo avevano giá fatto piú volte, parallelamente, di mollare tutto per motivi validi e poi pensare a dove e come e quando ricominciare.

In quel momento, l’unica cosa chiara era che dovevano dire basta con la scura Milano ed iniziare ad inseguire quei porci. Passarono la domenica ad imbastire possibili strategie d’azione ed arrivarono alla conclusione che qualcuno sicuramente gli avrebbe detto qualcosa su quella fottuta Punto nera e sui quattro che c’erano sopra, e magari avrebbero anche scoperto qualcosa di più su quel venerdì notte e sull’evolversi della Situazione. Poi, scrissero pazientemente e diligentemente le letterine elettroniche ai loro datori di lavoro ai quali spiegavano che per la Situazione in cui si trovavano non potevano continuare a lavorare in quei posti, che si dispiacevano per non aver dato preavviso e che per quel motivo non volevano niente, anzi, sapevano di dover rinunciare ai possibili diritti che avevano in quanto lavoratori. Scrissero anche frasi di circostanza misteriose e per questo abbastanza convincenti, frasi che potevano far pensare a problemi seri, familiari o di salute, come in realtà avevano perché si sentivano una famiglia malconcia.studio

La domenica sera, quindi, non tornarono a Milano come previsto, ma si fermarono in quell’angolo di mondo per iniziare una serie di consultazioni, telefoniche per lo più, al fine di avere informazioni sui loro nemici. Seppero cose.

La piú importante fu che una Punto nera aveva fatto un incidente nella Val Prino e che era stato chiamato il carro attrezzi perché intralciava il traffico. Alla fine, però, il proprietario parlò alla Polizia e la convinse che lui e i suoi amici erano solo di passaggio e se ne dovevano andare. Per cui pagarono quello che c’era da pagare e portarono via la vettura, danneggiata ma funzionante proprio come la loro Storia Grigia.

Il carro attrezzi. Bingo.

“Ciao cara, sono Ito. Sì, lo so… é tanto che non ci sentiamo… troppo… come stai? Mi hanno detto che convivi! Sei contenta? Sì, ti sento che sei contenta… ascolta, ti devo chiedere una cosa. No, non ti chiamo solo per chiederti questa cosa… o meglio, sí, in effetti non ti avrei chiamata se non fosse per questa cosa ma questa cosa é molto importante, davvero, e mi fa molto piacere sentirti”.

“Dimmi”.

“Mi ha detto l’Uomo Lupo che ieri hanno chiamato il carro attrezzi per una macchina da rimuovere. Ora, sicuramente hanno chiamato tuo padre e… gli puoi chiedere… cioè, devo sapere chi erano quelli là e dove andavano, Credimi, é importante”.

“Ti chiamo tra cinque minuti”.

“Yeah”.

Cinque minuti lunghissimi nei quali si fecero una partita a cirulla. Vinse l’Altro 51 a 38 e come sempre avevano scommesso da bere, ma questa volta quella vinta o persa sarebbe stata la prima bevuta dell’inseguimento.

Drin. “Sí?”.

“Ciao, sono io. Allora, i tipi sono di Milano e hanno detto alla Polizia che stavano andando a Barcellona per l’addio al celibato di uno di loro, che si sposerà domenica prossima. Dice mio padre che uno ha pure tirato fuori l’invito al matrimonio”.

“Nient’altro?”.

“No, ma se mio a mio padre viene in mente qualcosa di più ti richiamo”.

“Si, presto peró perché domani partiamo per Barcellona. Grazie cara”.

“Di niente. Mi raccomando, stai attento! Con chi vai a Barcellona? Non dirmi che sei con…”.

“Tranquilla, tutto a posto, ci sentiamo presto, te lo prometto. Stammi bene! Ciao!”.

Ancora una volta Barcellona. Ma sarà stata vera, poi, la storia dell’addio al celibato? Per reggere reggeva, pensarono quella domenica sera, ma poteva anche essere una balla per la pula. Sì, c’era quel particolare dell’invito, ma chissà se era quel matrimonio o un altro.

Abbastanza presto, però, decisero che era la loro unica pista e che per essere l’unica non era mica male.

Il gioco dell’inseguimento cominciava a piacergli e, anche se erano consapevoli di non essere bravi ad inseguire, programmarono prima di addormentarsi il giorno che stava per arrivare: partenza ore 9, autostrada spediti verso la meta, c’era solo da attraversare il sud della Francia e da resistere alla tentazione di fermarsi a Marsiglia. No, questa volta non si sarebbero fermati a Marsiglia. Magari al ritorno per festeggiare qualcosa, ma all’andata no.

Capitolo soldi: non stavano male, fortunatamente. Pur essendosi da poco licenziati, erano appena stati pagati, circa 2700 euro in due. Avevano anche già pagato l’affitto, a meno che non si mentissero. Sonno.

Una bella dormita di 8 ore non sbronzi, La cosa migliore per ripartire di slancio, E così, lunedì mattina alle ore 8.30 stavano scrivendo un biglietto al DJ, per ringraziarlo e per dirgli che gli avrebbero portato una bottiglia di assenzio da Barcellona. Alle ore 8.45 erano al mare a fare un bagno, perché quel lunedì era un giorno che apparteneva ad una stagione e quella stagione era l’estate e quel giorno era il 21 giugno, ossia il primo giorno d’estate e loro avevano delle certezze.

Fecero un bagno nell’acqua fredda e pulitissima delle mattine di fine giugno, presero due cappucci e due focacce con stracchino e dedicarono quei minuti a Jimmy Hollywood, perché lui era l’estate e la Milano che gli piaceva. Nello stesso momento in cui pensarono a Jimmy, lui apparve.

 “Ciao ragazzi!”.

“Jimmy! Come stai?”.

“Beh, oggi benissimo. Sapete, é il primo giorno d’estate ed io rivivo. Volete un pastis?”.

“No, grazie. Vedi, ci prendi in un momento, diciamo così, particolare”.

Ito raccontò in sintesi parte dell’accaduto, pensando anche di allertare il signor Holliwood, che magari poteva aiutarli in qualche modo, in quanto milanese ed amico. Jimmy  ascoltò con estrema attenzione. Era lucido e riposatissimo, d’altronde, essendo che, come ogni anno, era uscito dal letargo per dedicarsi all’estate rivierasca anima e corpo. Prese il suo tempo, sorseggiando il pastis senza ghiaccio e dopo poco disse:

“C’é posto sulla Storia? Sapete, vorrei venire con voi”.

Si guardarono e valutarono rapidamente i pro e i contro. A favore di Hollywood giocava la sua simpatia e la sua lucida follia. Contro, il fatto che d’estate non fosse proprio morigerato e in quei momenti vedevano la loro missione come una cosa serissima,

Ciò nonostante decisero che sì, poteva andare con loro.

“Ma non ci fermiamo a Marsiglia!”.

“Neanche un paio d’ore?”.

“No”.

“Va bene”.

“Sapreste riconoscere questi quattro?”.  Gli fece poi Hollywood, pagando il conto della colazione e del Pastis per impressionarli sulla sua florida situazione economica.

“Sí”. Gli risposero avviandosi verso la macchina. Il viaggio iniziò nel migliore dei modi: ritmo di marcia sobrio ma fermo sui 130 km/h, imposto da Ito ed accettato dagli altri.

Niente alcool, sguardi seri, facce dure.

D’altronde, stavano diventando grandi.

Jimmy, camaleontico fino al midollo, si calò perfettamente nella parte, tanto che sembrava che le avesse passate anche lui tutte quelle cose. Anzi, visto come somatizzava, le stava passando, si stava davvero mettendo in pari. Il suo look, poi, era perfetto per l’azione: stempiato, sudato, stava fumando-quasi-mangiando un sigaro e pensando a ció che “gli avevano fatto quei porci”.

La fotocopia di Johnny Depp in Paura e delirio a las Vegas, senza acchiappamosche. Varcando l’ex confine con la Francia pensarono ad una cosa abbastanza importante che solo due dei tre componenti della missione sapevano:

“Cazzo, se ci fermano é dura. Senza frontiere, ma con mille rotture di coglioni, ‘st’Europa”.

“Perché?”. Chiese ingenuo Hollywood all’Altro.

“Per via del ferro”- intervenne Ito, pronunciando ferro con lo stesso tono con cui anni prima aveva pronunciato quella parola Rocco Musco in “Milano calibro 9”.

“Ferro come sinonimo di pistola? Volete dire che abbiamo una pistola? Che bello! E’ la prima volta… sono un po’ emozionato, cari. Qualcuno di voi sa sparare bene?” – continuò Hollywood, che nel frattempo aveva trovato l’acchiappamosche mancante e cercava di uccidere i brutti pensieri che gli svolazzavano davanti al naso.

“No, Jimmy. Non siamo capaci e lo sai. Non lo abbiamo mai fatto e, sinceramente, spero di non farlo mai”. Nicchiò l’Altro.

“E allora perché viaggiamo con un’arma a bordo?”.

“Ce l’hanno data. Ce l’ha data un amico dicendo che ci sarebbe servita” – concluse Ito.

Non li fermarono, anche perché non c’era nessuno in quella che una volta era la frontiera.

La strada li prendeva per mano. Curvando, a volte, volava fino a toccare cieli di Francia selvaggia, altre scendeva a valle attraversando la storia cantata dai borghi. Così passarono la Cóte d’Azur e iniziarono ad attraversare la Provenza, ripetendosi che no, niente Marsiglia. Evitando di parlare, quindi, di Izzo, di melting pot, di Sound System e di bere.

Cominciarono, invece, a parlare di Barcellona, visto che quello era il traguardo e, al contempo, l’ennesimo ritorno al passato.

Barcellona era un’idea, prima di essere la capitale della Catalunya. Un’idea quasi anarchica, durante gli anni ottanta, che progressivamente si trasformò in commercio, ma che riusciva seppur a stento a conservare la sua anima. Era anche un’anima del mediterraneo, quindi.

In quella macchina Barcellona parlava da sé grazie alle sue storie e loro la avevano conosciuta e vissuta in tempi diversi dei rispettivi passati. Stavano passando veloci attraverso quei cervelli nomi importanti di cose e persone e di bar, naturalmente.

Raval, Borne, Ramblas, Gracia, Eixample, Poble Nou, Poble Sec, Sants.

Abdul, Gianni, i professori, Bili, Bum, Manel, Pippo, Manu, Pedro.

Bahia, Daiguiri, Mariachi, Quilombo, Salamandra, Iposa  eccetera.

Li avrebbero cercati? Avrebbero avuto tempo e voglia di perdersi ancora una volta per il Raval o sarebbero diventati talmente grandi da dimenticarsi di tutto questo e continuare l’inseguimento?

I cartelli dicevano di andare verso Perpignan e salire poi i monti che separano la Francia dalla Spagna, per arrivare alla Junquera, a Girona e, finalmente, a Barna.

Cosí fecero, pensosi e fumanti. Le camel gialle si spegnevano ripetutamente nei due porta ceneri della Storia Grigia, con Jimmy Hollywood che cercava di star dietro a quei due, accendendosi una sigaretta via l’altra.

Le tre del pomeriggio. Primo autogrill spagnolo, prima ed unica sosta del viaggio.

“Hola, buenos bias. Tres bocadillos de jamon serrano y una botella de agua, por favor”.

“Bon dia. Entrepà amb pernil y que mes[2]?” Rispose l’orgoglio catalano.

Mangiarono velocemente, in silenzio.

Comprarono La Vanguardia, El Pais e El Periodico e ripartirono dopo aver fatto il pieno.



[1] Felice Cascione (2 maggio 1918 – 27 gennaio 1944)) fu un partigiano comunista che morì in battaglia contro i fascisti. Nato ad Imperia da una famiglia di condizioni modeste, si laureò a Bologna nel 1943 in medicina. Quando l’8 settembre i tedeschi occuparono l’Italia e misero un governo fascista fantoccio, Cascione iniziò subito la resistenza a capo di una brigata partigiana e compose la celebre canzone “Fischia il vento”.
Nella battaglia di Montegrazie sconfisse i fascisti e fece prigionieri parecchi. I prigionieri però erano accusati di aver partecipato alle rappresaglie, e per questo, dopo un sommario processo, furono condannati a morte. Cascione però intervenne e li graziò dicendo “ho studiato più di 20 anni per salvare la vita della gente e non voglio che qualcuno muoia per causa mia”. In particolare trattò bene Michele Dogliotti, il prigioniero con la salute più fragile.
Tuttavia non fu ricompensato per la sua generosità. Dogliotti verso la metà di gennaio del 1944 riuscì a fuggire e guidò le “brigate nere” contro i partigiani di Cascione. I fascisti intercettarono la brigata e l’assalirono. Cascione allora, benché ferito, tentò di ricoprire la ritirata dei suoi. Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci non riuscirono a vedere la fine del loro compagno e lo aiutarono. I nemici erano troppi e l’azione fallì subito. Mercati riuscì a fuggire ma Castellucci fu preso e torturato per dire dove era il suo capo. Allora Cascione gridò “il capo sono io!”. Morì crivellato di colpi. Il 27 aprile 2003 gli fu eretto un monumento..
[2] Ibidem

 

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