di Sandro Moiso

23 marzo 3.jpgPioggia battente fin dal mattino sull’area del cantiere e, poi, dal primo pomeriggio sul percorso della manifestazione contro la realizzazione del TAV Torino — Lione.
Eppure, su quei nove chilometri che separano Susa da Bussoleno, il 23 marzo sono sfilate almeno centomila manifestanti. Giovani della valle, anziani, famiglie, militanti dei centri sociali, lavoratori, disoccupati, bambini. Tanti bambini.

Una sessantina i parlamentari grillini presenti sin dal mattino al cantiere.
Dove, per la prima volta, la LTF (Lyon Turin Ferroviaire), la società responsabile per i lavori, ha aperto i cancelli non solo per il transito degli operai (pochi) incaricati dei lavori o degli agenti e dei soldati (tanti) incaricati della protezione dello stesso, ma anche ai valligiani e ai militanti NoTAV che hanno accompagnato i parlamentari nel giro di ispezione. Con grande scorno delle forze politiche ed economiche che difendono la realizzazione del più grande “bancomat” politico-mafioso che sia mai stato realizzato a cielo aperto.


Sì, a cielo aperto, perché di scavi, anche solo per il tunnel prospettico, ne sono stati realizzati, in tutti questi mesi, ben pochi. 17 metri, come hanno potuto misurare i presenti, a fronte dei 50 dichiarati dalla LTF. Cifre comunque ridicole in confronto alle spese presentate ufficialmente. Tanto per far degli esempi: 142mila euro soltanto per l’acqua utilizzata per i bagni e altri 160mila euro per la “pulizia” delle baracche degli operai fino ad ora. Soldi buttati letteralmente nel cesso, se non si vuol più malignamente pensare che forse tali spese, gonfiate ad hoc, coprano tangenti e prebende pagate alle mafie politiche.

Si diceva prima della composizione sociale del corteo e della forte presenza di bambini in testa allo stesso. Una maniera come un’altra per testimoniare che “la valle non si arrende”, viste le odiose misure messe in atto dai servizi sociali contro le famiglie ree di aver portato i figli a manifestare nei mesi e negli anni scorsi. Tanto da arrivare al più odioso dei ricatti, laddove alcuni assistenti sociali sono giunti a minacciare denunce per “abbandono di minore” per quei genitori i cui figli erano stati “sorpresi” a volantinare durante le manifestazioni.

E poi dei giovani che, da sempre, sono posti al centro di ogni attenzione poliziesca, soprattutto i minorenni. Minacciati, denunciati, picchiati per scoraggiarne ogni attività ed ogni presa di posizione politica. Ma che, vista l’allegria e la combattività dimostrata durante la manifestazione, come in tante altre occasioni, non hanno nessuna intenzione di demordere. Tutto sommato quando un modo di produzione è moribondo, quando un regime politico è giunto alla fine dei suoi giorni lo si vede proprio dall’atteggiamento nei confronti dei giovani. Esaltati per le esigenze del mercato ma, poi, nella sostanza, emarginati dal punto di vista produttivo, repressi e mantenuti sempre più in una ignoranza, spesso, abissale attraverso le Tv, i social network più beceri e i tagli all’istruzione.

La fine di un regime politico lo si coglie, però, anche dalla propensione al voto e dalle conseguenti scelte politiche. E, nella manifestazione di sabato scorso, anche le più recidive simpatie per il PD, quelle di coloro che per anni hanno votato il PCI-DS-PD pur turandosi il naso, sembravano essere quasi del tutto scomparse. Chi era presente o non aveva votato oppure aveva votato il Movimento di Grillo. Che in Val di Susa ha ottenuto il 42% dei voti.

Un dato sicuramente significativo che ha aperto nuove prospettive per il movimento rendendolo decisamente più visibile sui media e che ha spinto, già nel corso della giornata, alcuni esponenti PD (primi tra tutti la candidata veneta alle primarie Laura Puppato e il ben più significativo sindaco di Bari, Michele Emiliano) ad iniziare ad esprimere dubbi sull’utilità dell’opera. Soprattutto di fronte dell’indigeribile resistenza ad oltranza del senatore PD Stefano Esposito, Sì TAV di ferro da sempre, e del resto del PD pedemontano. Ma i dati qui appena accennati non fanno che riportare l’attenzione sul prossimo sfascio di un partito che, non sapendo difendere nemmeno la sua eredità storica (per quanto stalinizzata), ha finito col diventare sostanzialmente conservatore, attestato in difesa delle piccole e grandi posizioni di rendita.

I dati forniti da un’inchiesta dell’Osservatorio Elettorale La Polis dell’Università di Urbino, e pubblicati su La Repubblica da Ilvo Diamanti nei giorni successivi alle ultime elezioni politiche, rivelano che su un campione sociale suddiviso in operai, studenti, casalinghe, pensionati, disoccupati, liberi professionisti, impiegati e funzionari statali e imprenditori e lavoratori autonomi, i punti di forza del PD sono rimasti tra i pensionati (39,5%) e gli statali (32,4%). A fronte di un Movimento 5 stelle che ha raggiunto il 40% o più nella categoria “operai”, in quella “imprenditori e lavoratori autonomi” e in quella “disoccupati”, senza dimenticare che è anche il primo partito tra gli studenti (29,1%).

Ora è inutile ripetersi sulle ambiguità del movimento grillino, già fin troppo riprese e sottolineate su queste pagine, ma ciò che resta incontestabile è il processo di inarrestabile decadenza che rende assolutamente non credibili le proposte di rinnovamento del PD e dei suoi vati, giovani e vecchi. Il suo destino sembra essere inscritto nella funzione economica e nell’età anagrafica del suo elettorato. Che, però, potrebbe ulteriormente ridursi a fronte di altri tagli ai servizi e agli impieghi nello Stato, oltre che ad un altro peggioramento delle condizioni della previdenza sociale e delle pensioni di anzianità e di vecchiaia .

Certo è che anche Berlusconi non sta molto meglio, con il suo trionfo tra le casalinghe (43,3%) e il 32% tra i pensionati, ma forte ancora di un elettorato “illegale” (quello del 20% del PIL in nero e dell’abusivismo edilizio) e di un forte riferimento alla destra più retriva, fascista e clericale, che come si è visto ancora in Piazza del Popolo non potrà essere spazzata via soltanto dal voto.
Mentre all’orizzonte, ancora una volta, si delinea un governissimo o un’alleanza di governo PD —PdL , blasfema a parole, ma non nella sostanza. Evidente dimostrazione non della necessità di salvaguardare l’economia nazionale, bensì di quella di salvare ad ogni costo i partiti tradizionali dal tracollo elettorale.
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Vabbè, ma che c’entrano queste ultime considerazioni con la Val di Susa e il rifiuto del TAV? C’entrano, eccome c’entrano!
Le centomila persone in Valle e la crescita esponenziale della partecipazione popolare a quella lotta non sono collegate soltanto ad una questione localistica o ambientale. Fattori geografici (prossimità ad un’area un tempo caratterizzata da una forte industrializzazione), socio-economici (una crisi economica epocale di cui in Piemonte e a Torino si è avvertito drammaticamente il peso) e storici (soprattutto la permanente attitudine della Valle alla rivolta contro i soprusi, dalla Resistenza fino alla fine degli anni settanta), hanno fatto sì che la lotta No TAV si trasformasse nel volgere di pochi anni in una sorta di attrattore per le svariate forme di resistenza alla crisi e al capitale che agitano la società del Nord-Ovest, in particolare, e quella italiana, più in generale.

La crisi ha infatti contribuito a polarizzare le forze là dove la lotta e il rifiuto di sottomettersi al capitale e alle sue logiche politico-economiche hanno trovato un’adeguata espressione e si sono dimostrate, di fatto, vincenti.
Per cui la giornata del 23 marzo è stata in qualche modo simbolica: mentre a Roma le peggiori forze della conservazione sociale manifestavano a favore di un decrepito leader privo di idee, in Val di Susa le forze del cambiamento reale si sono date appuntamento per ribadire la propria contrarietà ad un progetto che, per forza di cose, finisce col toccare ogni aspetto della crisi attuale (sprechi di denaro pubblico, corruzione, occupazione, devastazione ambientale, allocazione delle risorse, trasporto pubblico, militarizzazione del territorio e della società). In tutto ciò il PD non poteva che scoprirsi, ancora una volta, schierato dalla parte sbagliata e senza nemmeno, a differenza della Destra, un elettorato di sicuro riferimento. E anche se l’esperimento a 5 stelle non potrà che rappresentare una fase, molto probabilmente deludente, della transizione verso il futuro, certamente, si può già intravedere il delinearsi una divisione sociale in due poteri o, almeno, due voleri contrapposti e destinati, immancabilmente, a scontrarsi senza rimpianti e pietà.