di Marco Galeotti

bellabarcapitolo2.jpgCORRERE, PARLARE, BERE, RIDERE, URLARE, GIOCARE, VIVERE.

Tutti i capitoli di “Poco di buono. Il romanzo”

Da anni l’Altro pensava di avere una macchina di merda eppure non la cambiava. Era certo che la sua personalità richiedesse un veicolo originale, unico, che fosse quindi offesa dal fatto che egli possedesse una normalissima Storia Grigia. Ogni volta che entrava in macchina, almeno in presenza di Ito, ripeteva la fatidica frase:
“Devo cambiare ‘sta macchina di merda! ‘Sta Storia Grigia proprio non c’azzecca con me!”.
Ito, pazientemente, lo ascoltava come fosse la prima volta che udiva quelle parole. “Ah, sì?” — esclamava stupito — “e che macchina prenderesti?” — e l’Altro a dare risposte sempre diverse.
Fu così che per l’ennesima volta salirono sulla Storia Grigia in direzione Levante stando all’occhio alle pattuglie che in quell’angolo di mondo dimenticato, laggiù, vicino alla frontiera, girano girano e fanno girare, più che nel resto del paese.
Capo Berta. Diano Marina, San Bartolomeo al Mare.
Lì Rave aveva un bar, se non ricordavano male, ed era più o meno due anni che non lo vedevano. Sicuramente sarebbe stato contento di rivederli e sicuramente avrebbero bevuto bene.
Andarono da Rave.
Li accolse un sound porteño, fabuloso, che i Cadillacs urlavano con la loro voglia di vivere raccontando storie e facendo musica.

Strano, pensarono canticchiando “siempre habrà vasos vacios con agua de la ciudad”… strano ma bello …”la nuestra es agua del rio mezclada con mar”…” si vede che Rave si è fottuto un’Argentina”.
“Sì… o forse si è fatto l’Argentina!”.
Risate.
Rave non era uno in gamba in quanto a donne. Era uno sballone, ora ci stava dentro, dicevano, almeno quanto gli bastava per tirare avanti, ma qualche anno prima stava esagerando, fra paste e bamba.
Il Mazoom, il Duplè, Cocoricò, Bybols, Studiò, eccetera e poi aveva conosciuto la Cate, una in gamba, e si era un po’ ripreso.
“Ciao Rave, dall’undergruound stile Vannelli, Farfa eccetera al sudamerica… che cazzo ti è successo?”.
“Eh?… Noooo! Minchia non ci credo!! Amici! Cazzo, quanto tempo! Che storia! E… sempre insieme… siete proprio Starsky e Hutch, Bo e Luke, Cazzi e Mazzi…”.
Si salutarono tanto e per tanto tempo. Partì in quel momento un altro pezzo dell’Altro Mondo che diceva “no quiero que nadie llore si yo me muero mañana/ señoras no traigan flores, para mi no quiero nada” e nel frattempo notavano signorine, bionde per lo più, e tipi strani coi baffi e con corpi di omaccioni alcoldisgraziati.
Ricordarono i tempi in cui Rave era conosciuto, cercato, anche temuto dagli sballoni del ponente ligure così come dai francesi, dai torinesi e da quelli di Milano.
Nacquero leggende, bevendo Americani Veri.
Si disse che una volta un tale di Genova voleva vendere 300 pastiglie pacco a Rave e che lui se ne accorse e per punizione lo mise nel bagagliaio di una Alfa Sud e lo portò fino a InCuloAiLupi e il tipo si cagò addosso, ma Rave lo lasciò semplicemente lá, in mezzo al nulla. Argomentò che era giusto farlo e aggiunse che gente così ce n’è sempre di meno in giro — parlando di se stesso — e che ormai son tutti figli di troia e che non ci sono più le paste di una volta, che quelle di adesso ti fottono e che i tipi che le prendono sono solo dei tossici o degli stupidi e si citò anche parte del libro di Carlo Maria Cipolla, Allegro ma non troppo. Le leggi fondamentali della stupidità umana, sostenendo che è proprio vero che il numero degli stupidi è enorme e che il mondo va di merda e non tutto però perché bere, giocare, ridere, urlare, correre e tutto il resto
é bello.

Il Posto di Rave non era male ma neanche bene, certo che se non ci fosse stato lui, con i suoi racconti di sopravvissuto e sopravvivente, sarebbe stato deprimente, un bel ghetto di provincia. Invece no, superava abbondantemente la sufficienza e non solo per via degli Americani Veri, ma anche perché aveva una sua storia, come ogni Posto, tranne quelli ultima generazione, nati in fotocopia solo ed escusivamente per il consumo stile grande catena, posti-merce, posti stupidi, aridi, senza storie da raccontare, ossia l’esatto contrario dei bar.
“Li dovrebbero chiamare in un altro modo tipo… non so come ma non bar, Cristo!”. Disse, a tal proposito, un tale seduto vicino a Ito che ascoltava perché solo -como —un-perro-solo e perduto.

D’improvviso entrarono nel Posto di Rave i quattro tipi del casino nel bar del porto.
“Guarda!” — disse l’Altro.
“Ci hanno seguiti, secondo te?” — fece Ito.
“Porci Fascisti Figli di Troia”.
Rave cominciava a capire e poi capì e andò in paranoia e golò il suo terzo americano e andò a parlare con 2 tipi grassi e grossi coi baffi e tutto il resto.
I tipi palestrati tutti turgidi e induriti avanzarono convinti verso Ito e l’Altro.
“Ciao froci!”. Disse uno e un altro tirò fuori un coltello.”
Rave disse “Ma che cazzo di posto di merda è questo?” — parlando del suo bar.
I due personaggi grassi e grossi e i loro baffi pensarono bene di andarsene. Anche Ito e l’Altro si dileguarono. Rave aveva paura. I tipi iniziarono a menare tutto e tutti.
A un certo punto la lama di un coltello tagliò la carne di un uomo. L’uomo era Ready, albanese, sui 25 anni. Ready rimase a terra e perdeva sangue, ma urlava con la haine negli occhi che li avrebbe presi. Qualcuno chiamò gli sbirri e i tipi si dileguarono dicendo ai fantasmi di Ito e dell’Altro che li avrebbero cercati e trovati e Ito e l’Altro scappando piano piano, senza far rumore, verso Levante.

QUESTO SUCCEDE, NEL VOSTRO MONDO.

La Liguria è una striscia di bamba e devi tirartela, per capire.
Laigueglia, un paese turchese.

Sorte.
“Fanculo, entriamo.”
La Sorte era gremita di gente e calda di caldo e sudore.
Molte belle donne, molte brutte donne, molti uomini, molte cose.
Un PostoMolto.
Cosa ci facevano lì? — si chiesero —.
Perché le cose stavano andando così?
“Forse perché c’è un ruota e questa ruota gira e quando gira nel verso sbagliato non c’è un cazzo da fare” — propose Ito ricordandosi di un libro che aveva letto .
“Forse” — fece l’Altro.
“O forse non c’è niente che sta andando veramente male… insomma, siamo qui, belli in pista, e ho dato un pugno a un pezzo di merda e quello o uno dei suoi amici ha dato una coltellata a un tipo, ma certo noi non c’entriamo un cazzo, e comunque il tipo mica è morto… magari gli sbirri li hanno beccati… insomma, non stiamo mica male, stiamo tazzando parecchio e…”.
Gli piaceva nascondersi dietro questo pensiero e lo faceva, peró, ad un tratto, una tipa si avvicinò a Ito, o forse Ito si diresse verso di lei, sta di fatto che era la fica ficheggiante cameriera nuova del primo bar.
Ito le fissava le tette — dure, libere, spavalde — talmente intensamente che non capí chi era, pensò che fosse semplicemente una figa.
“Ciao, bevi qualcosa?”.
“Come state?”.
“Beh… adesso che sei vicino a me io sto veramente bene, credimi… oddio, si potrebbe fare di meglio…”.
“Ma…non mi riconosci?”.
“Ciao, stiamo bene”. Intervenne l’Altro, non senza regalarle un sorrisino malizioso.
“Ah, vi conoscete?”. Ito.
Lei disse che le dispiaceva e Ito comprese chi era. Poi la baciò.
Lei ci stava all’inizio, poi, dopo un 3-4 secondi si stacca e fa:
“Ma…”.
E Ito la ribaciò e la riribaciò e le disse qualcosa in portoghese, anche.
Lei rise.
L’Altro ordinò un cuba libre. Poi comprese che la sua era invidia e ne ordinò un secondo. Poi, ancora, pensò che bello sarebbe stato farsela in due… ma che schifo gli avrebbe fatto Ito.
La coppia si comportava da coppia, lei civetta lui macho, lei si bagna appena le labbra con il rhum, lui lo trangugia emettendo versi di animale, lei squittisce lui ringhia, lei ah lui argh.
L’Altro allora fece due passi.
I giardini della Sorte erano infestati da pantaloni e magliette coloratissime e infettati da tipi che le indossavano e sudavano ridicoleggiando.
Giù in basso, fortunatamente, un mare nero di notte e chiaro di luna lavava l’aria dai loro peccati. Le onde, lievi, si infrangevano sulla spiaggia e alla spiaggia piaceva un sacco. Godeva la spiaggia, si bagnava tutta.
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E fu così che l’Altro pensò a Lei e le disse:
“Al chiaro della luna della Maddalena ti ho accompagnato e la luna ci ha fatto salire insieme quelle scale, verso il Paradiso.
Eravamo timorosi peccatori. Non riuscivamo nemmeno a guardarci negli occhi.
E poi il tuo sorriso. L’odore della tuamia pelle, la voglia di non dormire mai, il mattino che arriva, il sonno, tu che quando ti svegli — non lo dimenticherò — sei uguale a quando ti addormenti.
La pelle color luna chiara, i respiri sospirati, i passi di me, di un me che non era io, che me ne vado perché è tardi.
Dopo poco è arrivato il tuo uomo.
E tu, tu come ti sentivi? Ti ha preso? E non odoravi ancora di me?”.

L’Altro pianse e con lui piansero l’acqua del mare amico e la sabbia fine della spiaggia ponentina.
L’Altro smise di piangere quel pianto beato perché d’un tratto gli venne in mente ciò che era successo in quelle poche ore, forse tre, da quando si erano visti, lui e Ito, dopo una settimana lavorativa da gente seria a Milano. Pensò al primo bar e alla figa che ora era con l’amico. Alla rissa e a Rave.
Gli venne da ridere e in effetti iniziò a ridere da solo. Passarono dei tipi senza volto che lo presero per il culo e gliene fotteva un cazzo a lui, li guardò ridendo e gli offrì una marlboro morbida ridotta tipo quella di Jigen di Lupin.

Ito stava sfoggiando tutto il suo repertorio di viveur rivierasco old style.
“Che non c’entra un cazzo con i coglioni fighetti mezze seghe” — come diceva lui.
Diceva così perché ci credeva davvero, ma anche perchè lui non aveva più venti — venticinque anni. Aveva, invece, strane robe bianche in giro per la testa e la cosa non gli piaceva poi molto.
La baciava, comunque, tanto sulla bocca quanto sul collo, sulle guance, sulle braccia. La leccava, talvolta, e intanto parlava di parole d’amore e di passione e lei tutta tette e sorrisi. E che tette e che sorrisi.
Era sua, chiaro, ma voleva anche fare presto perché in realtà lui era con l’Altro e voleva fare serata, mattina, colazione e tutto il resto con l’amico. Allora le disse “andiamo via” pensando che se sì sì se no numeri di telefono e balle varie e a domani.
“Guarda che non sono mica una da una botta e via!”. Disse la figa, scocciata.
“Beh, allora ciao”. Fece lui andandosene. Poi si girò ridendo — gli veniva molto bene – e disse:
“Dai, dai!”.
Lei, in silenzio, forse un po’ triste, giró la sua gonna e lo seguì.

Sì.
L’Altro sapeva che quella parolina si stava colorando di donna fra le braccia di Ito e di uomo fra le gambe di Figa. Non fece in tempo, tuttavia, a pensarci su perché nei cessi della Sorte incontrò Rave che lo invitò ad uscire con una certa fretta. L’altro somatizzò. Uscirono e Rave gli disse se voleva una pasticca che ne aveva di buone e lui fece no grazie e Rave proseguì raccontandogli che Ready era uscito dal suo bar sanguinando ma non troppo, che era completamente fuori di testa. Parlò con un amico, Ready, e se ne andarono promettendo vendetta. La polizia passava di lì per caso, non sapevano nulla, fermarono un giovane e con lui la fidanzatina. Gli chiesero i documenti, gli ruppero i coglioni senza motivo e se ne andarono.
“Ah, però!”. Fece Ito deambulando verso il bancone a cui chiese due vodka sauer. Era ormai quasi ubriaco. Rave, al contrario, era sobrissimo e saltellava per via dell’ecstasy, che aveva assunto con estrema incoerenza dopo aver parlato male delle nuove pasticche. Ma, bisogna dire, avrebbe sicuramente spiegato che “la Situazione lo richiedeva”.
Parlava ballando e ballando faceva girare la testa all’Altro che lo mollò lì dicendogli:
“Se hai bisogno io sono qui… cioè… non so bisogno di cosa ma… comunque…”.
“Ok. Ciao”.
Saltelli.

Sì.
Ito tornò alla Sorte in mezz’ora circa e la fica anche, ma lei si fermò da un’anonima amica, mentre Ito si pavoneggiava.
Aveva consumato quell’effimero ma fico amore nella sterpaglia di una fascia che saliva verso il cielo della Liguria, come si faceva una volta.
Scese verso il bar dov’era sicuro di trovare l’Altro e trovò l’Altro.
Si guardarono e Ito notò che l’amico era 2 o 3 drinks più ubriaco di lui.
Lo invidiò perlomeno come era accaduto all’Altro vedendolo con la fica poco prima. Chiese, arrabbiato, un vodka sauer anche lui, mentre all’Altro venne spontaneo di provarci con una ragazza a caso che non capì cosa le disse. Aveva la bocca impastata, l’Altro, e cominciava a risultare noioso a chi non lo conosceva bene.
“Sei fuori, eh?” — fece il burbero Ito trangugiando il suo cocktail.
“Fuori sì, viviamo fuori ma fuori davvero abbiam paura di andare ”.
“No…”.
L’Altro aveva iniziato a parlar per citazioni.
Essendo molto forbito, gli piaceva, durante il delirio alcolico, di parlar per citazioni, gli sembrava di dimostrare la sua valenza di uomo probo al resto dell’umanità, di essere pure ironico, di usare l’ironia, l’intelligenza, in maniera quasi perfetta e di dover essere perciò stimato dagli Uomini.
Chiaramente era molto difficile che qualcuno comprendesse il suo progetto illuminato: più facile era per il mondo prendere atto del suo biascico e del suo stato di ubriaco non troppo molesto.
Ito sapeva che l’amico aveva però una grande capacità di recupero, che sarebbe comunque riuscito a camminare verso qualche posto, magari a strisciare in qualche altro e che la serata non sarebbe finita in quel momento.

LA LOTTA

infatti si riprese.
Inspiegabilmente, inesorabilmente, riprese tra le sue mani da pianista il bandolo di quella matassa che piú che una vita era una lotta e durava da anni, a volta combattendo a favore di, a volte contro, ma sempre parteggiando. Riprese la sua condanna di ghiaccio e alcool tra le mani da pianista, anche, ma con un fare cogitabondo ora. Vedeva nel bicchiere i riflessi di quella serata senza pretese e pretendeva di averne, di pretese.
Ito arrancava e la Sorte ballava, nel frattempo.
“Mi sembra che sia arrivata l’ora di andarcene”. Disse l’Altro ad un energumeno che lo stava guardando come si guardano solo gli antieroi.
Fece un cenno all’amico che, impassibile, lo seguí.
Andarsene significava però arrampicarsi fino alle stelle scontrandosi con il mondo.
Cose che capitano, in Liguria.
Durante la scalata, notarono che c’era molta polizia lá fuori; quei tizi vestiti tutti allo stesso modo stavano pattugliando ed evidentemente c’era un motivo.
La Pula: ecco cosa mancava a quella sera nera che aveva goduto della resa indifesa del sole. I fascisti, la Figa, Rave, Ready e ora la Pula, che prima avevano solo intravisto, si stava materializzando.
“No”. Fu questa la parola che uscì dalla loro bocca che saliva con il corpo e la mente e l’alcool verso un cielo pieno di stelle mignotte e di sbirri.
Stavano decidendo di non affrontarli, non pensando alle conseguenze ma semplicemente in quanto sbirri. Volevano cambiare racconto, smettere di essere i protagonisti di un destino ridicolo ed iniziare a partecipare ad una storia d’amore e di redenzione. ma non era possibile, non era quello il loro mondo, non quella la loro vita. Almeno non ancora. Il bandolo della matassa stava nella lotta e lo sapevano, anche se la ruota stava girando nel senso sbagliato.
Ridiscesero verso il mare, passarono dal via ritirando due cuba libre e non ventimila lire e continuarono a scendere e scendendo ancora ricordarono che la Sorte aveva una spiaggia privata dove non si poteva andare.

“Andiamo lá.”
“Sí”.

Erano in spiaggia.

“Voglio bere molto”.
Aiuto, pensó l’Altro udendo queste parole uscire anarchiche dalla bocca del compagno. Si materializzò una cameriera obiettivamente brutta e Ito, infastidito, le ordinò un Disintegrator.
Aiuto, pensó ancora l’Altro, consapevole del fatto che il vodka cointreau e menta avrebbe cambiato ancora una volta qualcosa nelle loro vite.
La cameriera brutta in realtá era lí solo per intimargli di andarsene ma, travolta da una serie di stupidi complimenti, giró i tacchi che non portava e acconsentí alla richiesta del suoi sogni erotici e sbronzi.

La spiaggia nel frattempo si era vestita di sabbia fresca e si diceva pronta a stare con loro ascoltando impassibile questa storia, coricata in un letto piccolo ma confortevole.

Cominciarono a parlare.
La sensazione era che in quell’angolo di mondo la ruota stesse smettendo di girare, che ora non girasse affatto. Certo, la Situazione non era delle migliori, però tutto si era fermato e il tempo dava loro tempo. Grazie al Disintegrator, tra l’altro, Ito aveva recuperato il livello alcolico dell’amico dalle mani da pianista che, ripresosi, voleva ancora aveva pretese.
Passarono i secondi, i minuti, le ore.
Poi, tutto d’un tratto, la chiusura.
Arrivarono due energumeni e gli dissero in malo modo di andarsene, non da lí ma dal locale. Definitivamente, perché erano le 5 di mattina.
“Le 5?”.
“Sí”.
Ma quanto erano rimasti a parlare con Spiaggia? Avevano anche dormito, forse, ma così tanto?
Ito finí il cocktail oramai fortunatamente annacquato dal ghiaccio scioltosi probabilmente molto tempo prima ed ebbe la luciditá di chiedere. con fare ingenuo:
“Scusate, ma é successo qualcosa che mi é sembrato di sentire qualcuno che diceva che c’era la polizia?”.
“C’é stato un omicidio qui vicino”.
“Ah. Grazie mille”.

Ed era solo venerdì sera.

Dai cespugli uscì Rave, strano, ed aveva una pistola con lui.
“Tieni” — fece all’Altro. Meglio che la prendiate, vi servirá.

Ed era solo venerdì sera.

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