di Leonardo Plasencia

politiquedelapeur.jpgScrittore, saggista, traduttore e giornalista, nella sua opera più recente, “La politica della paura”, Serge Quadruppani analizza la deriva “securitaria” che s’è impossessata della politica nei paesi occidentali dopo gli attentati dell’11 settembre. Secondo il pensatore francese, di origini italiane, l’Europa e gli Stati Uniti si sono immerse in una logica militarista per trattare le questioni legate alla sicurezza interna. Leggi liberticide, uno Stato di polizia, la violazione dei diritti civili, la promozione della paura nella vita quotidiana e l’esplosione delle industrie legate alla sicurezza costituiscono lo scenario che conduce lo scrittore, chiaramente ancorato a sinistra, a diffidare del sistema capitalista e dei partiti tradizionali. A poche settimane dalle elezioni presidenziali d’Oltralpe, Quadruppani assicura che, tanto su questo come in altri punti, la sinistra istituzionale e la destra in quel paese “non sono molto diverse” e che i grossi cambiamenti nella storia non si sono mai realizzati attraverso un suffragio elettorale. [Titolo originale dell’intervista: “La follia ‘securitaria’ ha invaso il mondo intero e la Francia in particolare”, tratta dal portale spagnolo Rebelión. Traduzione all’italiano di Fabrizio Lorusso]


– In cosa consiste la “politica della paura” di cui parla nel suo libro?

– La politica della paura è altrettanto vecchia che la stessa politica. Consiste nell’utilizzare la paura come metodo di governo. Ciononostante questa ha subito una notevole intensificazione negli ultimi anni, particolarmente dopo gli attentati dell’11-S. Questo metodo consiste nell’unificare la popolazione dalla parte del Governo di fronte alla paura verso un nemico esterno e impossibile da eliminare. Questo nemico, presentato oggi come “il terrorista”, è una formula riproducibile infinitamente nei riguardi di qualunque tipo di nemico, come abbiamo potuto constatare in Francia con la moltiplicazione delle legge contro l’insicurezza dal 2001 in poi. Il nemico è: l’abitante dei quartieri popolari, l’immigrante, la gioventù, il bambino problematico a scuola, ecc… Si tratta sempre della stessa cosa, di provocare la paura nella popolazione affinché questa si raggruppi sotto l’ala protettrice dello Stato.

– La Francia si trova oggi in piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali di aprile. Esiste qualche differenza tra il PS (la sinistra di François Hollande) e l’UMP (la destra, di Nicolas Sarkozy) sul tema della politica di sicurezza?

– [risate] Guardi… Bisogna ricordare che la prima legge di sicurezza [dpo l’11-S], la Legge di Sicurezza Quotidiana [Loi de Sécurité Quotidienne] fu implementata durante un governo di sinistra [di Lionel Jospin]. In seguito arrivò [il presidente] Nicolas Sarkozy che ne ha aggiunte molte altre, ma la “sinistra istituzionale” [PS] ha aderito completamente a questa nuova dottrina rappresentata da personaggi come Alain Bauer che è uno degli ideologi di questa “follia securitaria” che ha invaso il mondo intero e la Francia in particolare. Su questo tema e molti altri, la sinistra non è molto diversa dalla destra. Un po’ di tempo fa il socialismo francese sembrava essere in cammino verso una vera riforma, ma questa possibilità è svanita. Como disse Margaret Tatcher: non c’è alternativa dentro al capitalismo. Per questo l’unica alternativa è uscire dal capitalismo, e questa soluzione non sta né nel programma né nell’essenza della sinistra istituzionale francese.

– Però, nonostante tutte le critiche al “Sistema” che esiste oggi da parte di molti settori della società, “uscire dal capitalismo” non sembra essere un’opzione per nessuno dei dirigenti politici importanti. Ci sono candidati politici propensi a tale impresa?

– Le evoluzioni non si sono mai fatte tramite le elezioni. I grossi cambiamenti che hanno segnato la storia non sono mai stati il risultato di una competizione elettorale. La storia dimostra che mai siamo passati da una società a un’altra nuova rispettando le regole della vecchia società. Questo non vuol dire che io difenda l’uso della violenza o l’idea d’imporre con la forza un’eventuale soluzione…ma sono difensore dei movimenti sociali… voilà! (sic). Non ho nessuna fiducia nelle forze politiche istituzionali.

-Esiste in questo momento un risorgimento delle manifestazioni su grande scala e dei simboli della lotta sociale, come gli Indignados in Spagna, Occupy Wall Street e il gruppo cyber-attivista Anonymous…

– Sì, tutto ciò è entusiasmante, ma non basta. Devo dire che per il momento sto constatando un’immensa rassegnazione della società. […] Ho la sensazione che la gran maggioranza della gente si sente completamente scavalcata dalla situazione che stiamo vivendo, ciò che più m’impressiona è il senso d’impotenza generalizzato. Perché siamo obbligati a supplicare il nostro capo per non farci cacciare via [a causa della crisi] e così a mantenere il nostro impiego per continuare ad essere sfruttati […] Ci sono ribellioni incoraggianti, credo che ci sia speranza, ma siamo appena all’inizio dell’inizio.

– Tornando alla politica governativa, lei parla di “leggi liberticide” e di misure che violano i diritti civili, le quali sarebbero in aumento in questi ultimi anni in Francia e in Europa. Potrebbe citare alcuni esempi?

– Esiste oggi un’esplosione incredibile dei fascicoli personali, con informazione che comprende addirittura dati genetici. Questi fascicoli, sempre più numerosi ed ampi, tendono inoltre a collegarsi gli uni agli altri. Ed il colmo è che sono consultabili da qualunque persona perché all’inizio solo le forze di polizia avevano accesso a questo tipo di “schedature”. Ma oggi, in modo ufficiale o meno, sempre più compagnie private trovano la maniera di accedere a queste fonti d’informazione.

Questo senza parlare della “sicurezza informatica” che è quel che è. [silenzio] Siamo arrivati così a un mondo in cui tutti vigilano tutti. E non lo dico in senso figurato, visto che esiste in Francia una legge che spinge il cittadino a vigilare sul suo vicino. Si tratta dell’operazione Voisin Vigilant (Vicino Vigilante), che include un delegato di quartiere incaricato di avvisare la Gendarmeria di ogni movimento sospetto nella zona. Questa politica [di vigilanza cittadina] è molto sviluppata in Inghilterra. D’altro canto c’è una volontà esplicita di far sparire le leggi specifiche per i minorenni. Leggi che puntano ad abbassare l’età legale affinché un minore possa essere spedito in prigione, la creazione di centri penitenziari chiusi per i giovani. Questo lo vediamo oggi in Francia e anche in Gran Bretagna. L’Inghilterra è senza dubbio uno dei paesi con più minorenni detenuti al mondo [1]. Non va dimenticato che fino a pochi anni prima dell’inizio del secolo XX in Inghilterra si impiccavano i bambini.

– Giustamente nel suo libro lei cita l’esempio britannico e menziona il fatto che la polizia inglese vigila i bambini dall’età di 4 anni in cerca di “ragazzini vulnerabili alla propaganda islamista”.

– Questo esiste anche negli Stati Uniti dove ritengono che i bambini siano come bombe che possono esplodere in futuro. Si tratta soprattutto di ragazzi di origine musulmana, i quali sono di grande interesse per l’FBI. Part dal fatto di appartenere a questa o quella nazionalità o origine etnica, e poi se questo dice qualche scemenza, come la può dire qualunque ragazzo, come per esempio “viva Bin Laden”… è già successo sia in Inghilterra che negli USA che la polizia si presenti in una casa per interrogare i ragazzi e ele loro famiglie.

– Ma questa politica della paura ha anche un costo economico, la vigilanza costa soldi…

– Certamente, quando in paesi come gli Stati Uniti si investe enormemente in forze antiterroriste e si creano costantemente nuovi organismi ed agenzie di sicurezza, questo si trasforma in un forte settore economico. E questa “industria della paura” deve poi giustificare tutti i soldi che si investono, cosa che ha portato a inventarsi dei nemici. Negli ultimi due o tre anni tutti i presunti casi di complotti terroristi che l’FBI ha tirato fuori non sono altro che individui isolati, in alcuni casi squilibrati mentali, che l’FBI ha incitato e addirittura provvisto degli elementi necessari per portare avanti un attentato per poterli così arrestare all’ultimo momento “sotto i riflettori” e giustificare in questo modo il denaro che s’investe in questo […] ci accorgiamo quindi oggi che lo Stato spende milioni delle nostre tasse per piazzare microfoni e videocamere per vigilare militanti che, secondo loro, potrebbero diventare dei terroristi. Si tratta della teoria della “Scoperta Preventiva”, che consiste nell’identificare quelle persone che per le loro convinzioni politiche potrebbero, un giorno, diventare terroristi.

– E’ la dottrina della “Guerra Preventiva” di George W. Bush però applicata alla stessa società occidentale…

– Esattamente, si tratta dell’adattamento a livello interno del concetto di “Guerra Preventiva”.

– Ciononostante per poter fermare un terrorista è necessario fare un lavoro di intelligence, per il quale è necessario un certo livello di sorveglianza di tutta la società allo scopo di “trovare” i potenziali pericoli. Dove si trova l’equilibrio tra la lotta contro il terrorismo e il rispetto dei diritti civili dei cittadini?

– Beh, prima di tutto, non sta a me mettermi al posto della polizia per trovare la soluzione di questo dilemma. Ma così tanto per cominciare mi pare che il modo migliore d’evitare [un atto terrorista] è impedendo che quella gente [i terroristi] esista, mantenendo una politica internazionale più giusta, non dando l’impressione che esistono due metri diversi per misurare le cose. Per esempio nel conflitto israeliano-palestinese. Qualunque cosa faccia, ha sempre ragione Israele. Può permettersi di bombardare e uccidere, e si trova sempre una giustificazione, mentre quelli che hanno di fronte [palestinesi] sono “indubbiamente” [ironizza] terroristi. Un altro esempio è l’Arabia Saudita, che è uno dei principali generatori dell’integralismo, ma che nessuno può toccare perché è protetta dagli USA. Per questo ripeto che il miglior modo di proteggere i cittadini [occidentali] è mantenendo una politica più giusta sul piano internazionale.

– Tornando alle misure di sicurezza interna. Per le strade di Parigi si possono vedere oggi sempre più militari sorvegliando i punti nvralgici della città come la Torre Eiffel. Ormai nessuno sembra sorprendersi più se incrocia nel centro di Parigi un soldato con la mitraglia in mano, è diventato parte del paesaggio parigino. Perché crede che la gente ha accettato in modo così naturale la militarizzazione delle strade?

– Per tutto quello detto prima. E’ quello che io chiamo “La politica della paura”. Si fa in modo che la gente l’accetti facendo aumentare la sensazione di un attacco imminente [2] che, se dovesse realizzarsi, secondo loro, sarebbe il peggiore degli orrori che può affrontare la nostra società. Però, se facciamo una statistica, capiamo molto bene che c’è più gente che è morta di freddo per le strade di Parigi che per attentati terroristi. La cosa grave di questa situazione è abituarsi a quella presenza perché il giorno in cui aumenterà in modo notevole non saremo allerta per accorgerci che ci sono militari in luoghi in cui non dovrebbero essercene, e questo di per sé sarebbe molto grave.

– Nel suo libro lei cita un caso molto eclatante sulla politica di sicurezza in Europa. Si tratta del giovane svizzero-tunisino Skander Vogt. Nel 1999, all’età di 19 anni, fu arrestato per un delitto minore. Lo condannarono a 20 mesi di prigione, per cui sarebbe dovuto uscire nel 2001. Malgrado ciò, continuava a stare in carcere senza essere stato condannato per altri crimini. Come si spiega il caso?

– Questo giovane fu vittima di questa nuova tendenza che esiste a livello internazionale. Si tratta di questa figura poco chiara del “pazzo potenzialmente pericoloso”. E’ una tendenza che mira a tener dentro in modo perpetuo le perosne considerate “squilibrate”. Attualmente ci sono leggi in Francia che permettono di “mantenere” gente in prigione oltre il periodo della condanna.

– Una persona può essere detenuta se la considerano pericolosa per la società?

– No. Se lei è arrestato per un delitto commesso, potrebbe restare in prigione oltre la pena in modo indefinito, se un giudice ritiene che lei è un pericolo per la società. E’ una delle numerose leggi che furono approvate grazie all’attivismo “sarkozyano”, dopo l’assassinio di un’infermiera in un centro psichiatrico. Anche questa è una nuova tendenza: dopo ogni fatto che attira l’attenzione dei mass media, arriva una nuova legge al seguito. Ogni volta che succede qualcosa, appare Nicolas Sarkozy di fronte alle telecamere e ci dice “va bene, ora faremo una nuova legge e vedrete che questo non succederà più”.

– Qual è il ruolo dei media in questa “politica della paura”?

– Il ruolo dei media è centrale, qua arriviamo alla relazione di complicità dei grandi mass media col potere politico. Da una parte, c’è il vincolo stretto tra gli interessi in comune ai grandi settori, legati dal fatto che tanto i proprietari dei grossi media come quelli delle compagnie che fanno i sondaggi d’opinione appartengono alla medesima oligarchia e in molti casi sono amici personali di Sarkozy. Dall’altra parte, si ritrova la dinamica propria dei media di comunicazione che cercano “la spettacolarità”. Se un grande giornalista dice: “c’è paura in Francia”, attira molta più gente davanti agli schermi che se parla ancora della disoccupazione.

– Nel suo libro analizza le dichiarazioni ufficiali realizzate da Alain Chouet che assicura che il gruppo Al-Qaida è “operativamente morto” dal 2002 [3]. Perché pensa che si continui a considerarlo, almeno mediaticamente, come il maggior pericolo per l’Occidente?

– [risate] Perché è un cadavere utile. Perché è utile alla politica della paura. Da una parte, permette di continuare ad alimentare la linea di credito dei servizi di sicurezza. Ma è anche vero che è un simbolo che permette di dare notorietà internazionale, cioè chiunque voglia commettere un atto e pretenda d’attirare l’attenzione dei grandi mass media di comunicazione va a rivendicare la “firma Al-Qaida”. Ogni “banda” che voglia una visibilità internazionale oggi si dichiara parte del gruppo Al-Qaida.

Note:

[1] Attualmente il sistema giudiziario britannico incarcera i bambini a partire dai 12 anni di età. Suicidi, automutilazioni e pratiche di isolamento in condizioni inappropriate sono valsi al governo inglese, sotto il mandato di Tony Blair, una dura critica da parte della Commissione delle Nazioni Unite pe i diritti del Bambino.

[2] Nel 2003 si adottò in Francia un “Codice dei Colori” per misurare il grado di pericolosità di un attacco terrorista. La scala va dal bianco al rosso. Dagli attentati del 7 luglio 2005 a Londra il codice non s’è più spostato dal colore rosso (pericolo imminente).

[3] Ex capo del servizio di intelligence, DGSE (lo spionaggio francese), il 29 gennaio 2010, Alain Chouet dichiarò in colloquio chiamato “Il Medio Oriente nell’ora nucleare”, organizzato dalla Commissione affari esteri del Senato francese. “Come molti dei miei colleghi professionisti nel mondo, ritengo in base a informazioni serie che Al-Qaida sia morta sul piano operativo nelle cloache di Tora Bora nel 2002” assicurò.
http://videos.senat.fr/video/videos/2010/video3893.html (in francese) – rCR