di Fabrizio Lorusso

uruguay-triunfo-frente-amplio.jpgPresento questa intervista del 10 novembre scorso con Monica Xavier, dottoressa uruguaiana e senatrice del Partito Socialista che fa parte della coalizione delle sinistre Frente Amplio (Fronte Ampio). L’ho incontrata durante il convegno “Unità nella diversità” che ha riunito diverse realtà politiche dell’area progressista euro-latino-americana. L’incontro è stato organizzato dalla seconda forza politica messicana, il PRD (Partido Revolución Democrática), che aveva candidato per le elezioni presidenziali del primo luglio Andrés Manuel López Obrador. Obrador ha perso e ha denunciato, insieme al PRD, gli scandali della compravendita del voto e delle spese folli del principale rivale, cioè il “partito dinosauro” PRI (Partido Revolucionario Institucional), già al potere per 71 anni nel novecento. Il PRI tornerà a governare il Messico il primo dicembre prossimo con il “presidente delle TV” Enrique Peña Nieto. Ma torniamo al Cono Sud. Monica Xavier è stata eletta quattro mesi e mezzo fa dai militanti del Fronte dell’Uruguay come quarta presidentessa nella storia della coalizione che governa il paese sudamericano dal 2005. Dopo la presidenza di Tabaré Vázquez, dal 2010 governa il paese l’ex guerrigliero José (Pepe) Mújica. Ultimamente in Italia si parla, con un pizzico mediatico di tenerezza e folclore compiacente, solo della figura di Pepe Mújica perché è il “presidente più povero del mondo”, vista l’austerità e la semplicità della vita che conduce. Restano però in secondo piano i grossi progressi sociali ed economici che hanno portato l’Uruguay a riprendersi dalla peggiore crisi della sua storia e a rilanciare i temi sociali come il diritto di decisione delle donne sul proprio corpo, la legalizzazione delle droghe e il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Che significa oggi per te “unità nella diversità” parlando delle sinistre in Uruguay e America Latina?

Oggi e da quasi 42 anni significa Fronte Ampio in Uruguay. Questa è la nostra identità, l’unità nella diversità, e crediamo che sia un’esperienza che senza emettere ricette è buona per lo sviluppo di blocchi alternativi, popolari, con vocazione trasformatrice. Le destre hanno governato sempre nel nostro continente e, da alcuni anni a questa parte, ci sono opzioni progressiste di tipi diversi che sono arrivate al governo e hanno fatto governi di successo con percentuali molto importanti dei presidenti e delle presidentesse che li conducono, ma le strutture politiche non sono state all’altezza di queste sfide. Sono arrivate tardi e in certe occasioni s’è verificato il paradosso per cui con numeri straordinari di approvazione popolare ci sono presidenti che non finiscono il loro mandato o partiti che non hanno la capacità di essere riconfermati al governo.

Qual è il minimo comun denominatore tra le tante componenti del Fronte Amplio? I partiti e le anime politiche sono tante ed è difficile pensare a come mettersi d’accordo e questo è un problema in tutta l’America Latina.

L’unità è un principio, un principio così caro come lo è quello di essere coerenti con i valori della giustizia sociale, della libertà e dell’equità. Noi abbiamo un disegno organico in base a determinati compromessi fondazionali che hanno a che vedere con il rispetto delle singole componenti e una struttura comune normata da un regolamento che fu creata già nel 1971, quando il Fronte era in una fase di fondazione. Questo fa sì che l’unità d’azione sia la regola e per mantenere la libertà di azione esiste un meccanismo per consacrarla e non un’attitudine individuale che è considerata una indisciplina.

Qual è la chiave di questo? Non la pressione della disciplina partitista, ma la democrazia nel dibattito e nel processo decisionale ed è solo in questo modo che, a mio giudizio, chi è in minoranza sente che è stato parte di un dibattito e se forse alcuni dei suoi argomenti sono stati considerati nella decisione finale, può sentirsi parte della stessa in modo simile alle forze che congiunturalmente sono maggioritarie.

Quindi uno dei fondatori, il generale Liber Seregni che venne incarcerato durante la dittatura (1973-1984), era un uomo che fece della regola del consenso la regola fondamentale per prendere le decisioni. Poi nei periodi dei governi nazionali o regionali è successo che privilegiassimo un processo decisionale democratico d’accordo con le maggioranze qualificate che si formavano. Ma ora, anche se siamo al potere nel governo nazionale e in quattro regioni, stiamo tornando alla ricerca del consenso come formula quotidiana di funzionamento e, quando questo non si ottiene, si ricorre solo in quel caso alla maggioranza qualificata.

Ci sono frizioni con i settori cattolici? Come conciliate certe ispirazioni religiose con la filosofia del Fronte?

In primo luogo, dobbiamo chiarire nettamente che dal 1917 ad oggi lo stato uruguaiano è separato dalla religione, è uno stato laico. Senza dubbio la laicità di questi tempi acquisisce un significato maggiore rispetto all’allontanamento di ciò che è “religioso”. La laicità in questo momento credo che prenda il valore del riconoscimento della diversità delle società e dell’importanza di preservarla per avere società attive e feconde.

Allora abbiamo alcune tematiche che implicano questioni di coscienza. Per esempio, recentemente abbiamo fatto una legge sulla depenalizzazione dell’aborto che ha fatto sì che non sia punibile, che non si applichi il codice penale nelle prime 12 settimane di gestazione e si verificano determinate circostanze. E per esempio i settori che nel Fronte mantengono l’obiezione di coscienza su certi temi e sono magari vicini alla democrazia cristiana oppure un individuo che a livello personale dichiara un’obiezione di coscienza non vengono obbligati a votare, però sì a lasciare il loro spazio decisionale per rendere percorribile la scelta presa dall’insieme dell’organizzazione.

Possiamo dire che in qualche modo non s’è prevista una protezione attiva dello stato rispetto alla libertà di decisione delle donne, però almeno c’è stato un accordo per non continuare a penalizzare le donne che esercitano questa libertà.

Esattamente. Io avevo posto la questione, ho scritto il progetto originale che in realtà consacrava il diritto all’autonomia della donna sul proprio corpo, ma questo non è stato un criterio che suscitasse una maggioranza necessaria per far approvare la legge e, invece, s’è approvata una legge che dice che non si applicherà il codice penale. E’ un progresso, ma io senza dubbio preferisco l’altro aspetto, più in un’ottica di diritti, però ho difeso e votato questo progetto e continuerò a farlo affinché venga applicato perché è già comunque un progresso importante nella vita delle donne che affrontano una situazione difficile come questa.

E sulla liberalizzazione o, diciamo, la regolazione delle droghe leggere, in particolare della marijuana, come state procedendo?

Ne stiamo parlando, c’è un dibattito importante nella società. In origine si è posta la questione del riconoscimento del diritto della persona che consuma a non venire spinta verso il mercato della clandestinità. Quindi originariamente a livello parlamentare si è cominciato a discutere della separazione tra il denaro e la droga e, pertanto, della possibilità di possedere un numero determinato dalla legge di piante per la coltivazione e il consumo personale e dell’intorno. Bisogna precisare anche l’Uruguay ha depenalizzato il consumo molti anni fa, però non la vendita né altri procedimenti che rendono accessibile la droga e quindi è una situazione un po’ paradossale.

Parliamo solo della marijuana?

Sì, esattamente. Solo quella. Il governo ha sentito la preoccupazione per il tema della sicurezza e per la diffusione della “pasta base”. Questa è un residuo della cocaina mischiato con molte sostanze che sono molto nocive per l’organismo umano, hanno una rapidissimo effetto eccitante e causano una depressione molto brusca. Crea un’altissima dipendenza, quindi va consumato compulsivamente. E’ stato dunque proposto un progetto che, al posto di separare il denaro dalla marijuana, separa i mercati delle droghe e separa la marijuana dal resto delle droghe.

L’obiettivo qui è anche quello di far finire il circuito della clandestinità, ma è una logica differente e queste due logiche si stanno cercando di combinare per generare un’alternativa che in qualche modo riesca ad ottenere entrambi gli obiettivi. Indubbiamente io sono madre e sono medico e sono d’accordo sul fatto che la penalizzazione ristretta non ha dato risultati né in Uruguay né nel mondo. Perciò bisogna trovare un’alternativa e queste due logiche sono percorsi da fare per trovare una norma legale. Però la mia prima espressione su questo pubblicamente è sempre che non c’è nulla di meglio della vita sana, con sport, con opzioni culturali e lavori, se si è in età di lavorare, e una vita con un’alimentazione salutare.

Beh, son d’accordo anch’io, però siccome la marijuana c’è e le droghe ci sono e si usano, meglio vedere che facciamo… Ma questo tema è già legge o ancora no?

Sì, certo. Il provvedimento è in fase di discussione parlamentare e quindi stiamo pensando seriamente a questa legge.

Invece, sul tema del riconoscimento delle coppie di fatto? Qui a Città del Messico esiste anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso mentre nel resto del paese non si sono fatti passi avanti in questo senso.

Abbiamo una legge sulla convivenza, una “ley concubinaria” che riconosce diritti per le unioni di più di 5 anni con coppie dello stesso sesso o eterosessuali. Sono sicura che prima della fine di questa legislatura, il 15 febbraio 2015, faremo una legge sul matrimonio perché sia ugualitario. Mi pare che dei tre temi questo è quello che ha più accettazione nel sistema politico perché c’è una grande differenza tra il sistema politico e la società. Infatti, questa pratica e pertanto riconosce la necessità della legalizzazione dell’aborto in certe circostanze secondo percentuali maggioritarie sempre. Però il sistema politico ha più resistenze che derivano sicuramente da pressioni di una chiesa cattolica che pesa. E pesa molto nonostante siamo in uno stato laico. Inoltre la chiesa fa delle minacce nei confronti di quelli che, come me, hanno una posizione libertaria in tutte le tematiche.

Torniamo all’America Latina e al mondo. Unità nella diversità. Tra Latinoamerica e Europa come stabilire relazioni e di che tipo?

Mi pare interessante la proposta riguardante il lancio di un’agenda euro-latino-americana soprattutto nei paesi che hanno una forte influenza in Latinoamerica come l’Italia e la Spagna. Infatti nel mio paese diciamo che noi discendiamo dalle navi dei vostri migranti, ma siamo anche in una fase di riconoscimento delle nostre ascendenze africane e indigene anche se queste ultime sono più in ritardo in questo riconoscimento. Credo che ci sia una serie di punti in comune su cui riflettere senza l’ossessione di trovare formule magiche ma di trasportare esperienze che ci possano aiutare a comprendere alcune chiavi su come uscire da queste situazioni. Credo che, per esempio, se l’Uruguay ha sofferto la crisi più violenta della sua storia nel 2002 e oggi a tutti i livelli possiede valori superiori a quelli che aveva prima della crisi, è perché ne siamo usciti in chiave politica, con un approfondimento democratica, rappresentativa e partecipativa, e con inclusione sociale.

E’ un suggerimento per la crisi europea?
Beh, ci sono differenze. Infatti in Europa avete un sistema di protezione sociale che non è mai stato raggiunto in America Latina e, pertanto, dobbiamo vedere che senza dubbio in molte cose partiamo da livelli differenti. Poi ecco mi pare che queste chiavi che sembrano astratte e universali, ma che poi nella realtà operano in modo molto concreto, possono essere leve gestibili a livello internazionale.

Infine allego due video sottotitolati all’italiano da Clara Ferri:

INTERVISTA “Essere di sinistra secondo il presidente José Mújica”.

E il discorso di Mújica al vertice Rio+20