di Franco Pezzini

Ilmagoelimperatrice.jpgClaudia Salvatori, Il mago e l’imperatrice. Il volto nascosto di Messalina, Mondadori Oscar, Milano 2012

Com’è noto, il personaggio di Simon Mago compare per la prima volta negli Atti degli Apostoli (8, 9-24) offrendo denaro per poter gestire le discese dello Spirito Santo e guadagnandosi una dura rampogna dell’apostolo Pietro: e se l’episodio termina con un apparente pentimento del Nostro, ciò non gli eviterà un posto equivoco nel vocabolario a monte del termine simonia, e una robusta fama di vilain teologico. In effetti a Simon Mago l’Occidente cristiano attribuirà il ruolo non proprio onorifico di primo eretico, con l’accusa di avere varato il pensiero gnostico (con tanto di incarnazione dell’Ennoia genitrice di Potenze in tale Elena, rimorchiata in un bordello di Tiro); e un suo nuovo confronto con gli Apostoli sarebbe culminato in una morte punitiva — secondo la versione più celebre, abbattuto dalla contraerea esorcistica di Pietro mentre si pavoneggiava volando per virtù demoniaca al cospetto dell’imperatore Nerone. Leggendo la sua storia, ho sempre visto Simone come una figura un po’ felliniana, un profeta da baraccone che specula di barocche costruzioni teosofiche nella rauca lingua del Satyricon a fianco della bistratissima complice dagli occhi vuoti, e magari tenta il volo dalle impalcature romane su una ruota a remi (così in certe leggende irlandesi, transitate fino alle pubblicazioni popolari sugli UFO a dar conto della potenza di un mito) — ma in fondo questa grottesca da proto-Faust sciagurato è l’immagine più diffusa. Come è diffuso — e confesso di non aver mai pensato di ridiscuterlo — il ritratto/stereotipo di un altro personaggio dell’epoca, l’imperatrice Messalina, consegnata a noi posteri dai corrucciati storici latini come un’assatanata seduttrice con un curriculum da film di Tinto Brass.
A permettere invece una lettura molto diversa e più intrigante dei due personaggi è apparso già un paio d’anni fa (Mondadori Omnibus 2010) e ora torna negli Oscar questo bellissimo romanzo di Claudia Salvatori, che li abbina in una ricostruzione di grande fascino e originalità.


L’Autrice non sta giocando sterilmente al revisionismo, e la vicenda narrata non pretende di accreditarsi a ricostruzione storica in termini probabilistici: ciò che apre è un itinerario nel possibile, sulla base dell’impostazione culturale delle accuse ai due devianti, dell’ambiguità delle voci che li riguardano, e di spunti, dibattiti, suggestioni legati ai giochi politici e sociali del tempo. A partire dalle confuse istanze di rinnovamento emergenti in sincretismi e nuovi culti ma anche nei sogni di imperatori in attrito coi valori antichi dell’Urbe: qualcosa che sostanzia le “follie” di Caligola, qui intelligente visionario consumato dal suo ruolo e dai suoi sogni.
Figlia di una madre divorante e superficiale, Messalina viene data in sposa ancora giovanissima all’uomo-ombra Claudio, colto e maturo d’età quanto pavido e goffo; e ne diviene l’appoggio e la guida, conducendolo per mano al trono alla morte di Caligola. A muovere la giovane non è però la rapace ambizione dei tanti arrampicatori di corte: grazie anche ai surreali pedagoghi coi quali è cresciuta ha coltivato una vita interiore, e legge la propria missione di riformatrice quale strada di elevazione spirituale. Ma è l’incontro con l’altro protagonista della storia, il tormentato ex-schiavo britanno Aion — nome dello Spirito dell’eternità, attribuitogli perché ogni cosa pare fermarsi davanti alla sua armonia di danzatore — a permettere a Messalina di definire i propri progetti. Prima restio, il giovane, assurto a divo del teatro e insieme marcato dall’infamia sociale della categoria, diviene l’interlocutore privilegiato dell’imperatrice: e attorno a lei si forma una corte di “irregolari” — mimi, sacerdoti castrati di Cibele, figure della marginalità sociale e sessuale — coi quali Messalina esplora nuove tenerezze ma anche il sogno di un mondo senza barriere. A ciò in particolare la conduce la dottrina dell’ascetico gnostico Simone di Samaria, considerato Mago dalla gente, già discepolo in Oriente della predicatrice Miriam di Betania e in attrito con i cristiani “apostolici” di Roma. Ma proprio al momento di inaugurare l’Età nuova, i piccoli uomini della conservazione si metteranno in mezzo; e Simone stesso sarà costretto a un tragico volo, guadagnandosi una damnatio memoriae parallela a quella di Messalina.
Inevitabile pensare al riferimento eccellente costituito dal dittico imperiale di Robert Graves (Io, Claudio e Il divo Claudio), anche se i profili dei personaggi risultano declinati in modo differente. Ciò in cui piuttosto emergono affinità — che nulla tolgono all’originalità dell’approccio dell’Autrice — è il sistema rabdomantico di decostruzione di stereotipi che apre il racconto a demoni e dei irriconosciuti, alla reinterpretazione di fatti banalizzati dalla vulgata, a un quadro più sfuggente di quanto i nomina nuda lascino intendere (il Simone di Galilea che contrasta il Mago non è Pietro/Cefa, ma un discepolo che ha preso il suo nome per diffondere la predicazione; le Miriam sono parecchie, anche se quella di Betania ha un ruolo speciale; il titolo di “mago” finisce con l’alludere a quello che un certo filone interpretativo riferisce a Gesù stesso). L’Autrice riesce a gestire con libertà e lievità questo ricco tessuto di echi, regalando ai personaggi una profondità interiore non ovvia in un romanzo storico “popolare”, alle loro dinamiche un’effettiva sottigliezza psicologica (si pensi al rapporto di Messalina con sua madre o a quello complesso con Claudio), e alternando a brutture e violenze della Storia momenti di delicata intensità. Va detto che Il mago e l’imperatrice fa parte di un progetto più ampio e anche complessivamente di ottimo livello, quel Il romanzo di Roma coordinato da Valerio Massimo Manfredi che comprende anche una seconda opera di Salvatori su un personaggio estremo — l’Eliogabalo di Il sole invincibile — e altri magnifici titoli come Danubio rosso di Alessandro Defilippi.
Certo, alcuni lettori — registra il tam-tam web — sono rimasti spiazzati dall’orizzonte di riti esotici e confidenze tortuose, ammucchiate ed effetti speciali da teatro evocato dall’Autrice: qualcosa di stridentemente diverso dall’epica militare e dalle solite congiure che occupano tanti romanzi circolanti sull’Impero. Dimenticando però che l’Urbe di incenso e fluidi corporei messa in scena sia pur creativamente da Salvatori emerge in filigrana dalla documentazione storica; e che il tessuto febbricitante che la esprime, spalancato alle vertigini di cieli ed abissi interiori ben al di là di ogni cronaca si chiama letteratura.