di Sandro Moiso

zona militare.jpgUna metastasi incistatasi nel territorio, non un prodotto autoctono.
Una metastasi sviluppatasi al di fuori del tessuto sociale della valle e del suo ambiente.
Una mostruosità simbolo di tutte le violenze operate sui corpi umani e sulla natura.
Uno spaccato del nostro presente e del nostro futuro.

Oppure, se si preferisce, è come il colore venuto dallo spazio descritto in uno dei più terrificanti racconti di Howard Phillips Lovecraft.
Un colore grigio, alieno, devastante.
Destinato a far morire ì qualunque essere o cosa con cui venga in contatto.
Una devastazione grigia, anonima, letale.

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Visitare, oggi, la zona in cui si va allargando l’area del cantiere destinata agli scavi per le prospezioni per il futuro tunnel della TAV Torino — Lione, non può far altro che suscitare quest’impressione.
Le grate, il cemento, il filo spinato di produzione israeliana che proteggono un terreno incolto e devastato di cui sembrano pascersi come avvoltoi i differenti corpi di guardia, si fissano indelebilmente nello sguardo dell’attonito spettatore.

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Polizia, carabinieri, finanzieri, reparti dell’esercito.
Sembrano proiezioni bunueliane di una società basata sul sospetto, la paura e lo spreco.
Incapace di uscire dal proprio labirinto di sfruttamento e di spreco, tanto.
90.000 euro al giorno, lo dicono i sindacati di polizia, soltanto per la sorveglianza e l’avvicendamento delle truppe d’occupazione.

Quasi 33 milioni di euro l’anno per la normale amministrazione.
Tanto da far pensare che la massiccia presenza dei vari corpi delle forze del disordine serva più ad ingrassare i bilanci degli stessi che a mantenere l’ordine in un territorio ostile.
Ostile sì, perché tutti gli organismi viventi sviluppano anti-corpi più o meno potenti per resistere alle malattie.

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E quello scavo, che non servirà a nulla, è una malattia.
La malattia infettante di un corpo morente: quello del capitale.
Capitale finanziario che, nei suoi ultimi sussulti, si aggrappa a tutto ciò che può per rimediare una valorizzazione ormai soltanto fine a se stessa.
I difensori dell’opera, i pennivendoli di regime la vorrebbero poter paragonare ai travagli del capitalismo delle origini, talvolta citando anche le insuperabili pagine del “Manifesto” di Marx ed Engels, ma dimenticando che già in quello sviluppo essi vedevano tutti i prodromi del suo futuro affossamento.

Oggi, simbolicamente, in Val Clarea il capitale si infossa davvero. Sottoterra, in un mondo infero da cui potrà soltanto far uscire o i demoni della devastazione o quelli che lo distruggeranno.
Gli anticorpi appunto, quelli che da anni resistono allo scempio e che, proprio per questo devono essere demonizzati ed esorcizzati.
Come novelli apprendisti stregoni i rappresentanti del capitale finanziario, delle mafie edilizie e delle cooperative “rosse” chiamano Cthulhu…e Cthulhu risponderà.

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Hanno incarcerato un pezzo di valle.
A monte, alla centrale elettrica di Chiomonte hanno costruito una doppia porta di accesso alla via dell’Avanà che ricorda tale e quale l’accesso ad una prigione.
Eppure, lì c’erano e ci sono vigne, attività economiche, memorie del territorio.
Destinate a scomparire.
Sì, perché il carcere è progresso e la libertà è conservatrice.

A valle l’accesso non è ancora del tutto blindato, ma il passaggio sotto il viadotto dell’autostrada segna un confine. Tra la luce e il buio. Tra la vita e la morte.
Al di là di entrambi si entra nella zone di interesse strategico nazionale, nella zona militare.
Nella zona in cui vi trovate a vostro rischio e pericolo, perché un cartello che lo segnali non c’è.

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Da una parte non si può entrare, ma dall’altra si potrebbe anche non più poter uscire.
Lo deciderà il testa di cazzo in divisa di turno, a seconda degli ordini ricevuti oppure del semplicemente imponderabile e momentaneo giramento di coglioni .
Senza dimenticare i rambo dei corpi speciali che, con le facce annerite, si aggirano tra le vigne nel buio della notte, giocando a fare i paracadutisti americani con il clack-clack. Come John Wayne nel “Giorno più lungo”, bravi!

C’è pianificazione della violenza, ma non c’è razionalità, neanche in questo.
D’altra parte un’opera che prevede un tunnel di 54 chilometri sotto le montagne ed una nuova stazione ferroviaria internazionale a 4 km dal comune di Susa, ma che non modificherà neppure l’attuale tratta ferroviaria, lasciandola così com’è fino ed oltre il 2030, molto razionale non è.
Sì, perché, alla faccia dell’Alta Velocità, su quella tratta montana i treni procederanno alla stessa velocità tutti quanti. Esattamente come adesso.

Così come fanno già i TGV al giorno d’oggi e che portano i passeggeri a Torino, da Parigi, in 5 ore circa. Quindi, anche proprio a voler esser modernisti a tutti i costi, quest’opera è proprio soltanto inutile, dannosa e mostruosa.
E costosa, molto costosa: prendete e mangiate questo è il mio corpo recita la preghiera del capitale.
Una chiesa da santi degli ultimi giorni nelle cui vene scorre capitale fittizio in attesa di essere resuscitato.

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Uno sguardo alle rovine degli scavi, a ciò che rimane delle passate resistenze, ai pilastri dell’autostrada A32 che già da sola ha devastato una delle valli più verdi e si capisce di essere penetrati in una zona di guerra.
Da una parte il capitale e la sua insaziabile fame di profitti, dall’altra l’umanità.
Da una parte la devastazione ambientale e dall’altra la natura (comprensiva della società umana).

Non è l’uomo in guerra con la natura, ma la società basata sulla rapina e sullo sfruttamento riconducibili alla proprietà privata a far guerra al pianeta.
E’ la guerra dell’uomo contro la propria specie perché, anche quando la natura si muove, a rimanere sotto le macerie sono gli operai.
Alla faccia di chi ci vorrebbe tutti uniti nella sventura, la sventura ha un unico nome: capitalismo.
E fin dai tempi della Comune di Parigi non può più esservi unità di intenti.

No, la lotta valsusina non è mai stata localistica.
Non ha mai potuto concedersi il lusso di esserlo e non ha mai potuto diventarlo.
Non solo per la storia della valle: resistente ai nazi fascisti e popolata da una gioventù più che battagliera negli anni settanta.
Ma, soprattutto, perché fin dall’inizio il rifiuto della “grande opera” ha portato con sé il rifiuto della logica di sfruttamento capitalistico, dell’ambiente e dell’uomo.

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In più, l’avversario non le ha fatto mancare niente pur di impedirle di esserlo.
Grate, filo spinato e muri di cemento che rimandano a tutto l’universo concentrazionario, ma, anche, alla Palestina piagata e ferita.
Una repressione continua, feroce, indiscriminata, al limite dell’incarceramento preventivo e dell’omicidio mirato.

Ferite e piaghe che si aprono nel territorio, nella sua terra e nelle sue differenti anime. Attività economiche danneggiate o distrutte.
Una evidente falsità delle promesse che, anche quando riguardano i milioni di euro da spendere sul territorio come compensazione, in realtà parlano soltanto di telesorveglianza e sicurezza .
Cercando di spalmare sul territorio la spesa per la repressione travestita, questo è davvero il massimo, da spesa a favore dei comuni valsusini ribelli.

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Si chiedeva qualche giorno or sono un deputato del PD, in occasione della presenza di numerosi scrittori italiani e francesi a fianco del popolo No Tav, come mai non ci siano intellettuali che facciano sentire la loro voce a favore delle grandi opere (leggi Tav).
Poverino, in un attimo ha involontariamente colto la solitudine del capitale nel proprio labirinto e l’inconsistenza degli intellettuali di regime che, come Eugenio Scalfari ed altri democratici embedded, da sempre scrivono e blaterano a favore delle “grandi opere”, Tav inclusa.

carlo vive.jpgIl re è nudo, Alfred Jarry ride e noi con lui.
Immemore di tante lezioni, come il finanziere Eric Packer ideato da Don DeLillo nel suo romanzo “Cosmopolis”, attende un qualsiasi Benno Levin che lo tolga di mezzo. Che poi Benno Levin si chiami Richard Sheets o in un altro modo che importanza può avere ?
La rivoluzione che viene sarà anonima e tremenda.

Tremenda nel ristabilire l’equilibrio tra esseri umani e natura.
Nel ridare senso alla vita sociale e nel liberare le energie compresse della conoscenza e del lavoro non più schiavizzati dal profitto e dall’appropriazione privata del prodotto sociale.
Anonima nella sua ineluttabilità che non sarà frutto di sigle, comunicati e dichiarazioni, ma delle condizioni di esistenza e resistenza create dal capitale stesso.