di Danilo Arona

Tasti.jpgUn’amica tra le più care, Chiara Bordoni, sostiene che tutto è confine. Citandola alla lettera, «viviamo aggrappati, rudimentali esseri, a un’eterna e infinita terra di confine, dove tutto è segno, e dove i segni urlano la loro sostanzialità. Dove ormai i sogni/segni sono l’unica guida per la quale bisognerebbe aver fede.»
E’ ovvio, ci troviamo (anche) nella regione del simbolo, sospesi tra il filosofico e il metafisico. Però Chiara ci racconta molto sul “Dove” in cui viviamo. E anche sul “come”. Perché il confine, per quanto invisibile dal momento che è replicato all’infinito, è un continuum di porte che si attraversano, avanti e/o indietro, in un ininterrotto flusso di tempo. Forse neppure interrompibile con la morte.
Il concetto di porta semplifica e limita sin troppo rozzamente l’idea del tutto come confine. Ma si tratta della stessa porta che tra i campi unificati prende il nome di sincronicità. La stessa porta, una delle innumerevoli, che il fisico quantistico usa come categoria di applicazione per dimostrare che in questo vuoto multidimensionale che si chiama Realtà, una sostanza in continua mutazione ed espansione, esistono, anche se non li vediamo, gli universi paralleli. Un numero indimostrabile ma con infinite possibilità di variabili del nostro passato, del nostro futuro, dei sogni e degli incubi. Tempo e spazio senza limiti. Ologrammi. Campi unificati, appunto. Connessioni, porta dopo porta.

Un altro amico, Mario Gazzola, in un denso articolo sul film di Cronenberg A Dangerous Method , rilegge Chuck Palahniuk e il suo Diary in un’ottica sincronica a quella di Chiara (e a Cronenberg). Val la pena di dargli lo spazio necessario:
«… sovente i più grandi capolavori — in tutti i linguaggi — sono figli di terribili sofferenze: fisiche, psichiche o entrambe insieme. “Solo quando una persona sperimenta un forte dolore, un’emozione negativa, il suo subconscio riesce a filtrare nel conscio… e fornirgli l’accesso all’ispirazione divina. Secondo Jung ciò consente di entrare in contatto con un corpus di conoscenza universale. La saggezza di tutti gli individui di tutti i tempi”. E poco oltre: “E’ questa soppressione della mente razionale la fonte dell’ispirazione. La musa. Il nostro angelo custode”.
In quest’ottica, in fondo, il pensiero si ricollega al pàthei màthos (conoscenza attraverso la sofferenza) della tragedia greca».
Per capirci, Mario ci racconta di sciamanesimo contemporaneo e di riti tribali della modernità che spesso vanno “fuori controllo” in rapporto con il processo di creazione artistica. E’ interessante al proposito la sua ricerca in chiave “connettivista” tra sciamanesimo e musica rock:
«Perché, registi come Roman Polanski (Rosemary’s Baby) o Kenneth Anger (Lucifer Rising), rocker come Mick Jagger, i Led Zeppelin, Ozzy Osbourne e mille altri in seguito, apostoli del dionisiaco di una società moderna e laicizzata, che nel ’68 si stava liberando dal moralismo della religione tradizionale, si appassionavano tanto all’occultismo, al satanismo, ad Aleister Crowley o Anton Lavey? Non avrebbero dovuto sentirlo come un cumulo di superstizioni medievali? O cercavano solo d’irretirci con qualche candelabro e messa nera on stage? È una storia che ormai accompagna il rock da più di 40 anni ormai. Non si trattava solo di teatralità: certo, c’era anche quella, ma al fondo tutti loro — Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Patti Smith — cercavano di trascendere, con l’eccesso, i loro trip psichedelici e, alla fine, anche con l’autodistruzione che a parecchi di loro è toccata in sorte. Cercavano il divino laico di Jung, l’illuminazione, la “porta della percezione” che i Doors hanno preso da William Blake. Probabilmente, la stessa “rituale” concentrazione del “teatro della crudeltà” teorizzato da Artaud. Sicuramente, la stessa che ha spinto un altro William — Burroughs, non a caso idolo di generazioni di rocker — a viaggiare in lungo e in largo per il Sudamerica, a caccia del mitico allucinogeno Yage degli sciamani amazzonici».
“Connettendo” i frammenti di Chiara e Mario, il concetto dal quale siamo partiti di “Terra di Confine” – dove tutto è segno e al contempo teoria infinita di porte — si presenta in tutta la sua ricaduta “pratica”. L’accesso alle porte della percezione nella chiave postulata da Blake («Quando le porte della percezione si apriranno, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite»), fino a un certo punto della storia dell’umanità di esclusiva pertinenza dello sciamano è divenuto nel corso dei secoli alla portata di molti, complice un’esponenziale — per quanto ancora molto parziale – trasformazione del pensiero individuale in sintonia universale. Perché quelle porte si attraversano ogni secondo, grazie anche a esperienze di natura sciamanica che spesso non riconosciamo neppure come tali.
Scrive l’antropologo Holger Kailvet:

«Non è il nostro modo quotidiano di pensare, condizionato dalle emozioni o da associazioni improvvise, a rendere concreto il corso della mente. E’ invece il potere di concentrarsi e di votarsi totalmente a una cosa ad aprire la porta di uno stato di coscienza più elevato. Per gli occidentali urbanizzati i pensieri restano solitamente separati dal mondo dell’azione; al contrario, per gli sciamani volontà e impulso si fondono, in quanto pensare non è per loro una mera espressione simbolica che trascina una pallida esistenza in forma di linguaggio. Gli sciamani portano il pensare al più alto livello di perfezione, poiché vedono in esso una sottile forza quasi materiale che, come l’aria, pervade il mondo visibile. La magia nera agisce tramite pensieri malefici trasferiti sul nemico. Il principio che esiste una rete di comunicazione telepatica e una connessione di tutte le persone tramite un cavo telepatico è comune a tutti i popoli rimasti vicini alla natura. L’universo è inteso come un’unità pulsante cui tutti possono aprirsi, e in special modo gli uomini-medicina. E il fattore base dell’esperienza umana torna ad essere quel principio di sintonia universale che esisteva nei tempi primordiali, quando c’era comunicazione tra tutti gli esseri viventi, ivi comprese le pietre, le piante, e perfino il cielo e la terra. Non esiste persona che non abbia provato quell’esperienza e che non possa provarla ancora oggi.»

Ancora la porta, quindi. Ancora la possibilità nel mondo contemporaneo di attraversamenti coscienti e guidati e di altri inconsapevoli, ma dalle conseguenze e dalle ricadute “tangibili”. Certo è che, dopo tanta fumosa teoria, gradireste qualche esempio pratico. Non c’è problema, per quanto mi renda conto che neppure io so bene dove finisca il ricercatore e dove inizi lo scrittore, ovvero l’inventore di storie. Il fatto è che tutti e due convivono nello stesso corpo e contenitore. E tutti e due attraversano in simultanea ogni giorno la stessa porta. Ma solo uno “percepisce” più dell’altro. E’ lo scrittore che da molto tempo si chiede se l’esercizio letterario non sia l’autentica esperienza sciamanica dei nostri tempi. Perché, più di una volta, qualche mio libro, senza che io potessi farci nulla, ha “bucato il Reale”. Nella seconda parte vi racconterò quando e come. Purtroppo non il perché. Questo lo ignoro.