di Fabio Deotto

VelocitaDelBuio.jpgGiorgio Fontana, La velocità del buio, ed. Zona, 2011, pp. 176, € 16,00.

“Lasci. Stare. De Gasperi.” Sono le parole che, in una scena particolarmente riuscita de Il Divo di Paolo Sorrentino, un Andreotti-Servillo improvvisamente spoglio del suo mezzo sorriso beffardo dedica a un senatore che aveva chiamato in causa il leader storico della DC per metterlo alla berlina. Per qualche motivo, questa scena mi è tornata in mente mentre consumavo le ultime pagine di La velocità del buio, il nuovo libro di Giorgio Fontana, uscito lo scorso 28 aprile per Editrice Zona.
È successo più o meno quando, arrivato alla fine del penultimo capitolo, mi sono reso conto che in poche ore avevo divorato un saggio di filosofia che parla di Berlusconi, berlusconismo, e in generale, degli ultimi disarmanti vent’anni di Italia unita. Ovvero: qualcosa che tecnicamente, ormai, dovrebbe procurarmi d’ufficio orticaria, nausea e orchite fulminante.

Il tema del resto è stato affrontato, discusso e sviscerato innumerevoli volte, da innumerevoli voci, con risultati spesso appesantiti da una malinconia nostalgica di cui ormai sono più che saturo. Il testo di Fontana invece mi ha preso subito alla gola, e questo per una serie di motivi. È ben scritto e argomentato, ma soprattutto: è onesto, snello, asciugato da un’operazione di sintesi che ha qualcosa di chirurgico. In più è una fulminante radiografia dell’Italia Berlusconiana, ripresa da ogni angolazione possibile.
Ma la cosa che per prima mi ha spinto alla lettura di questo pamphlet, è che Giorgio “lascia stare De Gasperi.” E con lui un’ingombrante schiera di nomi, e periodi storici, che troppo spesso vengono chiamati in causa per spiegare un fenomeno che invece merita di essere affrontato al netto dei pontenziali modelli e delle speranze tradite.

Fontana mette le cose in chiaro già nelle prime pagine, come a dire: ho trent’anni, non ho nostalgie, sono nato e cresciuto in pieno berlusconismo, il mio futuro è un vetro appannato, voglio capire che cosa sta succedendo e perché, e se possibile, come diavolo uscirne. Fatta questa premessa, l’autore abbandona preventivamente l’etichetta di “giovane intellettuale”, si dedica a dipanare il tessuto del ventennio berlusconiano, ponendosi senza timore sullo stesso livello dei vari Asor Rosa, Fofi, Berselli e via dicendo. E lo fa lontano da ogni furbizia anagrafica. In La velocità del buio, infatti, non c’è traccia (per fortuna) dell’atteggiamento piacione e superficiale con cui Alessandro Baricco, per fare un esempio particolarmente fastidioso, aveva affrontato il tema “globalizzazione” in Next. In questo caso l’autore non strizza occhi, non pompa di adrenalina pop la sua prosa, non insaporisce in alcun modo la minestra, e nonostante ciò non puoi fare a meno di mandarla giù fino all’ultima goccia.
Certo, non è sufficiente avere le spalle leggere per prendere alla gola una bestia complessa e ingannevole come il berlusconismo, servono anche gli strumenti adatti. Strumenti che, nel caso di Fontana, sono quelli della filosofia analitica, accompagnati da un uso ragionato e instancabile delle fonti. È solo grazie a questo approccio trasparente, e a un’urgenza senza briglia, se questo libro riesce a identificare le cause preliminari e le dinamiche striscianti che hanno permesso al narciso Berlusconi di coltivarsi un popolo di specchi; a decostruire il mito del “DNA identitario” che farebbe degli italiani una specie fisiologicamente prona alla decadenza civica e morale, per ricomporlo nei termini di un popolo “intrinsecamente fragile” e ulteriormente piagato da troppe “occasioni perdute”. Perché è su questo terreno fertile che si innesta l’anomalia Berlusconi che, come farebbe un virus, ha approfittato di difese immunitarie indebolite per proliferare e scatenare una malattia ancora peggiore.
La malattia che ogni giorno sfigura il volto di un paese che, per chi ancora si ostina a non “lasciar stare De Gasperi”, è ormai del tutto irriconoscibile. E, problema cardine, indecifrabile.
Chi ha avuto la (s)fortuna di ritrovarsi periodicamente sul lettino di un esperto, sa che buon psicoterapeuta non insegna la sanità al malato. Allo stesso modo, in questo libro l’autore non indica al lettore la via d’uscita dall’oscurità berlusconiana, ma prova a consegnargli gli strumenti per trovarla da solo.
Le prime pagine, a questo proposito, sono emblematiche. Fontana comincia elencando le osservazioni disarmanti che scandiscono ogni quotidiano risveglio (che in qualche modo stridono al confronto con le zuccherate “dieci cose per cui val la pena di vivere” che Saviano ha eletto a mantra assolutorio del benpensante): gli scontrini mai battuti, le decine di curriculum senza risposta, le piccole prevaricazioni che mantengono costantemente alto il fastidio verso gli altri.
Può sembrare un semplice paragrafo introduttivo, volto solamente ad accompagnare il lettore fino al cuore del ragionamento. Invece è l’immagine stilizzata di una decadenza sistemica che si palesa nei dettagli e che nelle pagine successive verrà analizzato da ogni possibile angolazione. Fontana comincia decomponendo con minuzia l’anomalia-uomo Berlusconi, per poi passare alla sua incontrollabile emanazione: un popolo di individui che è stato addestrato a considerare verità, razionalità ed etica come noiose tossine per allocchi.
La prima parte del libro è forse la più riuscita, ed è dedicata a questa consegna di strumenti (che poi consiste in una minuziosa decostruzione dell’epidemico storytelling berlusconiano). C’è da dire per il lettore accogliere e fare propri questi strumenti non è automatico, c’è bisogno di uno sforzo intellettuale attivo, di stringere le palpebre e corrugare la fronte, insomma: La velocità del buio non è un libro da posare sul comodino, è un libro da leggere in piedi.
Questo, se da un lato è merito della ricerca di esattezza e di equilibrio che conferisce solidità al discorso di Fontana, dall’altro a volte finisce per diventare uno dei pochissimi difetti del saggio. Perché se è vero, come citato, che solo un 20% degli italiani “possiede le competenze minime di lettura, scrittura e calcolo indispensabili a muoversi in una società complessa” (Tullio De Mauro, La cultura degli italiani), è anche vero che alcuni passaggi (pochi, a dire il vero) potrebbero risultare piuttosto ostici a chi, pur rientrando in quel 20%, non è abituato a masticare termini e concetti filosofici. Ma si tratta di episodi puntiformi, che non vanno a intaccare la leggibilità di un testo che risulta in massima parte fresco e originale.
La seconda parte del libro perde, secondo me, un po’ della solidità che aveva reso tanto efficace la prima parte. Ma non è detto che ciò sia un male. Mi spiego: in questa parte il ragionamento di Fontana si fa più fluido e si muove ad analizzare come è possibile muovere un passo fuori dal pantano che ci sta inghiottendo un millimetro alla volta. Lo fa partendo dall’identificazione dei punti di crollo della società italiana: l’analfabetismo funzionale, una sinistra incapace di comunicare fuori dai suoi ranghi (e forse nemmeno all’interno di essi), l’intellettuale come contenitore capace di svuotarsi senza essere riempito etc. Da qui arriva a delineare alcune linee guida per superare l’anomalia che sembra paralizzare un intero paese in un ridicolo moto perpetuo sul posto (particolarmente incisivo il capitoletto “Come si elimina un tiranno?”, in cui l’autore riprende il Discorso sulla servitù volontaria di Etienne de La Boétie).
L’autore sembra voler aprire diverse piattaforme di discussione, su altrettanto diversi argomenti. La necessità di sviluppare un approccio alla Rete non-televisivo, di superare la figura dell’intellettuale per far trionfare il contenuto, la riscoperta dell’illuminismo come ideale senza tempo, sono tutti temi interessantissimi che meriterebbero ognuno un capitolo a sé. Ma conoscendo l’autore, è probabile che questa scelta sia del tutto consapevole, e che sia volta a lasciare la porta aperta a quei lettori-collaboratori che volessero approfondire il ragionamento. In questo senso, l’ultimo personalissimo capitolo del libro si configura un innesto di partenza, da cui possono (e devono) diramarsi e fiorire i ragionamenti di chi, raccolti gli strumenti disseppelliti da Fontana, intende continuare e ispessire il ragionamento.
O almeno, è così che io l’ho inteso.
È capitato più volte, passando da un paragrafo all’altro, di annotarmi da parte alcuni spunti di riflessione con l’intenzione di affrontarli in seguito, in un articolo magari, in una recensione o anche solo in un semplice sfogo sul mio blog. Se questo era l’intento di Giorgio, ci è riuscito alla grande. Lasciando da parte De Gasperi, Berlinguer, il Partito Comunista, la strategia della tensione, la caduta del Muro, la P2, e in un certo senso la stessa Resistenza (cosa particolarmente difficile per chi come me è letteralmente cresciuto, e ne è fiero, a pane e storie partigiane), stropicciandomi dagli occhi la nostalgia “acquisita” (essendo nato anch’io come Giorgio a inizio anni ’80), leggevo questo libro e una volta tanto riuscivo a ragionare sulla situazione attuale al netto di nausee, orticarie e orchiti fulminanti, e a sostituire quei sacrosanti sfoghi con riflessioni che prima, in qualche modo, erano ostacolate dal peso di un passato irraggiungibile.
Su di me, giornalista freelance con una laurea perfettamente inutile in una tasca e poche centinaia di euro al mese nell’altra, il libro di Fontana ha avuto un’effetto galvanizzante. In qualche modo mi ha spinto (e continua a farlo) a depennare fatalismo e rassegnazione dalla lotta quotidiana contro le assurdità che appesantiscono il mio mestiere. Anche oggi, mi è capitato di identificare tracce dell’infezione berlusconista in molti, troppi miei atteggiamenti quotidiani. E allora ho capito che Fontana, riguardo a La Boétie, ha ragione. Che è utile “rovesciare il tiranno che è in noi”, per avere una chance contro quello che ci soffia sul collo fuori.
Così, ho chiuso il volume e ho pensato: vuoi vedere che “lasciando stare De Gasperi” è possibile trovare una chiave per decifrare quello che fino a prima sembrava un incomprensibile, desolante vicolo cieco? Vuoi vedere non è stato già tutto detto? Vuoi vedere che se ne può uscire?
Insomma: un altro libro sul berlusconismo? Sì, ma uno dei pochi che sia davvero fondamentale. E che è fondamentale leggere ora.