a cura di Alberto Prunetti

indios.jpg[In questi giorni a Buenos Aires sta circolando nelle sale cinematografiche Awka Liwen, un documentario realizzato dallo scrittore Osvaldo Bayer che denuncia il genocidio degli indigeni organizzato e messo in cantiere dalle classi egemoniche argentine nel corso della seconda metà del XIX secolo. Ho ricevuto il copione del documentario in quanto traduttore, assieme a Maria Rosaria Bucci, dei sottotitoli in italiano e ne propongo su Carmilla alcuni estratti. Sono stati rielaborati in senso argomentativo, con l’eccezione del punto 3, relativo alla causa Curiñaco-Benetton, che viene proposto come nella versione originale.] A.P.


1. Migrazioni e genocidio

In America Latina circola una battuta: che i messicani discendano dagli aztechi, i peruviani dagli inca e gli argentini dalle barche. Quel che è certo è che la borghesia argentina degli anni Ottanta dell’Ottocento aveva un progetto etnico definito. La missione era quella di creare un popolo che rispondesse a un astratto modello di “Nazione Argentina”. Un ideale collettivo di identificazione, un “noi” con cui da quel momento in avanti identificarsi. Queste politiche migratorie avevano a che fare con quattro fattori. Uno: attrarre la maggiore quantità possibile di migranti, col corollario di mettere in campo politiche attive di immigrazione destinate a catturare l’attenzione dei migranti e a trattenerli nel paese. Secondo: estendere le aree di influenza urbana sulle aree rurali, con l’assunto che la popolazione urbana fosse più civilizzata di quella rurale. Terzo elemento: adattare la popolazione criolla, i gauchos, a stili di vita sedentari e agricoli. Il quarto fattore riguardava la politica indigena e implicava direttamente la scomparsa degli indios. Era un modello di civilizzazione che si identificava compiutamente con un modo di vita europeo, liberale e capitalista.

Già nel 1880 il ritmo di espansione della frontiera dell’Argentina cosiddetta “civilizzata” sui territori indigeni faceva presupporre le conseguenze di tale politica e la realizzazione dell’ultimo punto: l’estinzione della popolazione indigena. Solo a genocidio compiuto, comincerà una politica governativa indigena: la sistemazione dei sopravvissuti in luoghi circoscritti, dove non avrebbero disturbato gli immigrati e dove si sarebbero fatti vedere il meno possibile, perché l’Argentina fosse, nel complesso, una nazione civilizzata dal punto di vista europeo.

2. Le promesse del huinca (uomo bianco)

Durante i mesi da luglio fino al maggio del 1946 i popoli indigeni Kolla e Aymara della Puna e di tutta la zona del nordest decisero che fosse arrivata l’ora di dire basta.
L’atmosfera di rivendicazione sociale che il governo peronista stava diffondendo in tutto il paese fece osare l’impensabile
Così uomini, donne e bambini — il più piccolo di 7 anni, il più grande di 85 — 76 mule e somari, iniziano la loro marcia verso Buenos Aires. Sarà lunga, sarà difficile, ma nonostante tutto continuarono la marcia, bene accolti in tutti i villaggi che attraversarono. Un giorno sono ricevuti nel Palazzo del Congresso da entrambe le camere, passano per l’Avenida de Mayo, accolti con grande affetto dal popolo. In questa piazza suoneranno i flauti andini, gli erques, i charango, e poi faranno un giro per radunarsi di fronte al balcone, alcuni si metteranno in ginocchio perché il “Tata Grande”, il generale Perón, li riceva. “Tata Grande” esce e rivolge loro la parola. Ne riceve due, forse anche più. Sono trattati bene e vengono alloggiati con ogni comodità nell’Hotel de Immigrantes, dove tra le 15 e le 16 ricevono la visita di Perón, assieme al cancelliere e al vicepresidente. Senza dubbio a Buenos Aires sono stati ricevuti in maniera eccellente
Ma il 28 agosto li infilano nei vagoni, li mettono in un treno merci come animali, molti sono nudi a forza di divincolarsi. Il treno viaggia per 6/7 giorni verso Abrapampa, quasi per gettarli contro la frontiera con la Bolivia. E là i guardiani, prendendoli a frustate, gli dicono: eccola la terra che volevate, indios di merda.

3. Ai nostri giorni: la causa contro Benetton (estratto dal copione di Awka Liwen)

Esterno giorno/Bayer in Patagonia
Atilio Curiñaco e Rosa Nahuelquir sono sempre stati in queste terre, nella località di Santa Rosa, in terre chubut, patagoniche, hanno allevato pecore e capre, hanno piantato patate, bietole, fragole, cipolle, per anni e anni, con 4 figli. Fino a che all’improvviso, è arrivato l’ordine del giudice Colabelli, prima che cominciasse il processo, perché i fratelli Benetton, impresari italiani multimilionari, avevano comprato 900.000 ettari di questa regione e desideravano anche quei pochi 300 ettari dei Curiñaco-Nahuelquir.

CURIÑACO

Esterno giorno/ campagna
Dopo un po’…

Sottotitolo: (Rosa Nahuelquir e Atilio Curiñaco contadini mapuche)

è arrivata la polizia e ha buttato tutto all’aria, la casetta, la semina, e beh, hanno sequestrato anche i piccoli animali e gli uccelli che avevamo.
NAHUELQUIR

Esterno giorno/Nahuelquir in un campo
Sono venuti armati, hanno portato i cani, e hanno detto che erano venuti a sgomberarci dal posto, che dovevamo andarcene.

CURIÑANCO

Esterno giorno/Curiñaco in un campo
Questi sono rimasti soli perché i cani hanno ammazzato la madre.

Il giorno dello sgombero, quando già ci sentivamo derubati e eravamo sulla strada, mi sono seduto a piangere e i miei pensieri mi dicevano che un giorno sarei tornato in quel luogo… Ma come? Non lo so, ma sarei tornato perché sentivo che la Madre Terra mi chiamava.

BAYER VOCE FUORI CAMPO

Esterno giorno/Nahuelquir che usa l’ascia
Interno giorno/fuoco

Siamo ritornati nel nostro territorio e così è cominciato il conflitto con Benetton. Ci voleva far firmare una carta che diceva che se noi rinunciavamo a questo posto loro avrebbero ritirato la denuncia che avevano fatto.

CURIÑANCO VOCE FUORI CAMPO

Esterno giorno/campo/strade vicinali chiuse
Inoltre, hanno chiuso, hanno recintato tutto, hanno chiuso le strade vicinali che esistevano da sempre e che collegavano tutte le comunità indigene. Il percorso si faceva in un’ora e adesso le persone devono prendere altre strade, e impiegano 6 o 7 ore se hanno un veicolo, ma se non ce l’hanno?

BAYER VOCE FUORI CAMPO

Esterno giorno/castello medievale Germania e campi della Patagonia.
Quello che rischia di succedere nel Chubut assomiglia al Medio Evo del potente e del servo della gleba. La giustizia argentina si è dichiarata a favore del multimilionario italiano Benetton con 900.000 ettari, ben 900.000, 14 volte la superficie di Singapore in cui vivono 11 milioni di abitanti; nel latifondo di Benetton, potrebbero vivere 154 milioni di persone.

FERNÁNDEZ VOCE FUORI CAMPO

Materiale dell’archivio filmico cascate e corsi d’acqua
Non abbiamo niente contro i bianchi. Vogliamo solo che ci lascino vivere in armonia con la nostra Madre terra, la nostra Pachamama. In questo modo potremo continuare a prenderci cura di lei come lei si prende cura di noi.
In altre parti del paese ci hanno già tolto i nostri territori più di 100 anni fa e per farlo hanno ucciso i nostri antenati. È successo molto tempo fa. Ma ora un’altra volta si disputano le nostre terre.

BAYER VOCE FUORI CAMPO

Esterno giorno/montaggio: scenari naturali dell’Argentina
Negli anni della Campagna del Deserto c’era sufficiente terra perché ogni individuo adottasse il modo di vivere più idoneo a sé stesso, e non si sarebbe dovuto ricorrere al linguaggio delle armi. Ma si è scelto il percorso della violenza. In nessun caso si parla delle vite che sono costate quelle campagne e del lavoro schiavistico a cui furono sottoposti le donne e i bambini indigeni trasferiti di forza a Buenos Aires. Oggi come ieri, c’è terra sufficiente per tutti. Anche per i popoli originari che sono stati derubati delle loro terre ancestrali.

4. Genocidio, accaparrazione originaria e dittatura

Felipe PIGNA
Non ci sono cifre precise sul massacro, sono numeri imprecisi, si parla per la campagna del deserto di un numero di morti che va dai 10 ai 14 mila, più 14mila prigionieri trasferiti a piedi fino ai porti atlantici, poi all’Isola Martin García e da lì condotti all’hotel de Immigrantes dove i bambini e le “chinas”, le donne indie, come dicevano gli annunci, furono distribuiti alle famiglie potenti come inservienti o come cuoche nel caso delle donne, quasi fossero animali domestici. Questo fu realizzato dalle dame di beneficenza, che erano le mogli dell’alta società degli uomini di maldicenza.

Osvaldo BAYER
Il governo pubblicò un rapporto elaborato dall’autoproclamatasi “Commissione scientifica” che accompagnava Roca nello sterminio. Lì non si facevano giri di parole sull’obiettivo che i militari avevano in mente. Ecco alcuni estratti: “Si trattava di conquistare un’area di 15mila leghe quadrate occupata da almeno 15mila anime, pertanto il numero dei morti e dei prigionieri della campagna supera i 14mila…”
E ancora:
“…gli sforzi che bisognerà fare per trasformare questi campi in preziosi elementi di ricchezza e progresso non sono sproporzionati alle aspirazioni di una razza giovane e intraprendente; d’altra parte la superiorità intellettuale, l’attivismo e l’intelligenza, che estendono gli orizzonti dell’avvenire e fanno zampillare nuove fonti di produzione per l’umanità, sono i titoli migliori per il dominio sulle nuove terre. É proprio col patrocinio di questi principi che quelle terre sono state tolte alla razza sterile che le occupava.”

E così i principali latifondisti, i più ricchi, si impossessarono delle terre ancestrali dei popoli originari. José Martínez de Hoz, primo presidente della Sociedad Rural Argentina e bisnonno del Ministro dell’economia di Videla, ottenne in questo modo due milioni e cinquecento mila ettari; un territorio più grande della Repubblica de El Salvador in cui vivono quasi sei milioni di persone.
Con la “Campagna del deserto” 30 milioni di ettari rubati agli indigeni furono divisi tra i più ricchi. Era il proseguimento, da parte della borghesia criolla della nascente Argentina, delle politiche spagnole di sterminio degli indigeni. Da qui sorsero anche queste grandi estancias, latifondi che hanno sempre impedito che nel nostro paese la campagna appartenesse a chi la lavora.

Felipe PIGNA
Nel 1862 il potere nazionale, in realtà il potere portegno, con in prima fila Mitre, riesce a consolidare l’unità nazionale, come diceva lo stesso Mitre, che è un processo di concentrazione del potere in cui la priorità fu data alla creazione di un esercito nazionale, che utilizzava quasi la metà dei fondi previsti. Un esercito pensato essenzialmente come un esercito di repressione interna, non come una forza di difesa delle frontiere, ma come un esercito di repressione interna le cui prime campagne sono in effetti campagne contro le sollevazioni popolari, campagne molto dure, come quelle di La Rioja, Catamarca, la zona di Cujo, condotte con metodi simili a quelli che saranno utilizzati un secolo dopo durante l’ultima dittatura militare: tortura, raid contro interi villaggi, arresto dei dirigenti; per questo è preciso il nome che Videla e Martínez de Hoz daranno al loro colpo di stato, il “Processo di riorganizzazione nazionale”, che in certo modo rende omaggio a quel primo processo, no? L’applicazione di un modello economico anti-popolare attraverso la forza armata con un esercito nazionale organizzato. Un esercito sempre molto vincolato, legato al potere economico, funzionale agli interessi dominanti. Evidentemente quando questi settori si rendono conto di non poter arrivare al potere con le urne, ricorrono alla violenza armata del colpo di stato.