Breve trattatello didattico ad uso dei giornalisti presenti e futuri

di Paolo Fasce*gelmini-panorama.JPG

Sul numero attualmente in edicola di Panorama è stato pubblicato un lungo servizio in difesa dei tagli alla scuola pubblica. Gli risponde Paolo Fasce, insegnante molto attivo nella difesa della scuola pubblica. Chi volesse leggere il servizio di Panorama può ricorrere all’edizione on line del settimanale (senza le tabelle presenti sull’edizione cartacea, ma con abbondanza di tette al vento) oppure, in versione integrale ma privo di pruriginosi specchietti per le allodole, scaricarlo qui.
Qui, infine, il testo dell’Appello per la democrazia nella scuola e la libertà d’insegnamento che vi invitiamo a firmare (G.D.M.).

Panorama spara in copertina il titolo “Ecco chi vuole uccidere la scuola” e sciorina le sue tesi appoggiandosi a dati e istogrammi che in questo trattato non voglio eludere. Purtroppo la mancanza di una voce critica nella redazione di quel contributo rende tutto più dogmatico, mentre, al giorno d’oggi, un sano esercizio del dubbio, come ci insegna la storia dell’umanità, dovrebbe illuminare ogni sentiero.

Purtroppo l’esercizio della confutazione e dell’argomentazione non può essere sintetico e pertanto la lettura di questo contributo vi impegnerà sia in ordine al tempo (che stimo in 20/30 minuti) sia a livello cognitivo, perché è necessaria una certa attenzione, e perché si trovano in questa dissertazione anche argomentazioni di ordine matematico (sarà mia cura renderle comprensibili).
En passant, avendo le idee chiare sul tema, a scrivere queste note io ci ho messo un po’ più di un’ora. Mi scuserete le imprecisioni: se l’Espresso volesse pubblicare questo contributo, prometto di limarlo nei dettagli.
Evito di affrontare temi personali, come il tentativo di messa alla berlina dei tre coraggiosi precari della scuola protagonisti dello sciopero della fame. Hanno ottenuto la ribalta mediatica usando il loro corpo, come i maligni vociferano abbiano fatto importanti ministri, ma in modo gratuito e finalizzato a nobili scopi.
A loro dedico questo mio trattatello [Qui la risposta di uno dei precari chiamati in causa da Panorama (n.d.r.)].

scuola80.jpgSu Panorama leggiamo: «E se è innegabile che la Finanziaria taglierà 8 miliardi di euro alla scuola in tre anni, lo è altrettanto il dato del ministero: il 97% del bilancio se ne va in stipendi. Che cosa resta, davvero, per gli studenti?»

Questo dato è truffaldino e collocabile in quello che il mondo della pedagogia etichetterebbe come “profezie che si autoavverano”.
Demoliamo l’argomentazione coi dati, guardando la questione sotto diversi punti di vista (esercitarsi nell’empatia prospettica è cosa buona e giusta).
Il MIUR ha la responsabilità degli stipendi degli insegnanti, mentre di molte altre cose si occupano gli enti locali. Ad esempio le province hanno in carico l’edilizia scolastica delle scuole secondarie, i Comuni si occupano di sostenere le famiglie dei ragazzi diversamente abili nei trasporti e quant’altro. Aggiungiamo questi oneri e osserveremo che la spesa complessiva nell’istruzione è di certo superiore a quel 100 speso dal MIUR, riportando le percentuali di “spesa per stipendi” entro ambiti europei.
Fonti sindacali parlano di 42,4 miliardi di Euro spesi dal MIUR e 9,4 miliardi a carico degli enti locali. Il totale fa quasi 52 miliardi di Euro e gli stipendi rappresentano meno dell’80% del totale. Una percentuale nell’ordine (e inferiore) a quella di altri paesi europei.
Si aggiunga che la spesa per gli insegnanti di sostegno, oggi in carico al MIUR, in tutti gli altri paesi, dove non sono consolidati i nostri invidiati modelli inclusivi, sono oneri di altri ministeri (280.000 persone in Francia). Togliamo quindi da 100 la componente degli insegnanti di sostegno e, già che ci siamo, togliamo anche la componente degli insegnanti di religione e delle attività alternative obbligatorie che lo Stato Italiano ha concordato con quello del Vaticano (contrariamente al resto dell’Europa e del Mondo) e vedremo che, da 97/100 si passerà a (97-x)/(100-x).
Stimiamo x ad 1/8 degli stipendi complessivamente erogati dal MIUR in quanto circa 1/8 degli insegnanti è di sostegno o di religione, ai quali aggiungiamo i supplenti temporanei (circa 130.000 con contratti che vanno da una settimana a quasi un anno), ed ecco che non siamo lontani dal vero (al netto delle considerazioni del paragrafo precedente): la percentuale scende sotto il 96%.
Poca roba? Aggiungete quanto espresso al paragrafo precedente.
Per inciso, la funzione di cui sopra è un’iperbole (“funzione omografica”, qualcuno la chiama: a me non piace questo nome perché si è sempre omografici a qualche cosa e se non lo specifichiamo, mi sembra una definizione monca). Ad ogni modo la si studia astrattamente a scuola senza sapere a che cavolo serve. La dedico a quei burloni dei miei alunni che si sono iscritti al gruppo Facebook “quelli che ritengono che la matematica delle elementari è tutto quello che serve nella vita”.

Ma veniamo alle profezie preannunciate.
Supponete di essere il Governo. Decidete di tagliare. Potete tagliare gli stipendi? No. (Oddio… invero i tagli sugli scatti di anzianità, senza riversare quei tagli sul merito, ci dicono che potete fare anche questo!) Potete tagliare tutto all’osso e farlo per un decennio. Quando siete all’osso, provvederete a tagliare anche gli stipendi (come dicevamo): ma sei tu, Governo, che hai tagliato fino all’osso. Siamo cioè alla “profezia che si auto avvera”. Taglio, taglio e taglio, poi infine ti dico: “guarda, ci sono solo i soldi per lo stipendio” e non ne ho più per il resto. Ma siccome non siamo fessi, ti diciamo: “Governo, investi!”.
Pochi numeri chiarificano. Dal 1990 al 1996 la spesa per l’istruzione è passata dal 3,9% del PIL al 3,1 ed è scesa nel 2007 al 2,8. È dal 1990 ad oggi, sono 20 anni, che si taglia.

Continua Panorama: «Fra le proteste spicca quella sul sovraffollamento delle classi. Eppure,come dicono i dati OCSE, l’Italia ha un rapporto insegnanti/alunni tra i più favorevoli d’Europa: in media un insegnante ogni 10 alunni. … Il sovraffollamento è un giallo, oppure da noi ci sono sacche d’improduttività? “Nessun giallo” sottolinea Giovanni Bondi, capo dipartimento della programmazione del ministero dell’Istruzione: “Ci sono 2 mila classi con 30 o più studenti. Ma 4 mila ne hanno 12 o meno di 12”. La media nazionale, comunque, è di 21.1 alunni a classe.»

Panorama fa la furba… Il limite attuale massimo di alunni per classe è di 31. Dire “con 30 e più studenti” significa dire “con 30 o 31 studenti o quegli sporadici casi che tanto piacciono ai giornali di 32 o più”. Dall’altro lato si sceglie una soglia, 12, che fa un bell’effetto scena. Peccato che se mettessimo “con 29 o più studenti”, l’effetto psicologico “2000 contro 4000” diventerebbe già un pareggio, se ci mettessimo “con 28 o più” il velo si svela. Idem se facessimo il confronto con le classi “con meno di 10 alunni” che risulterebbero residuali e rare.
Eh, purtroppo noi insegnanti di matematica ci attardiamo in fesserie del tipo “a più b per a meno b è identicamente uguale ad a quadro men b quadro” e ci perdiamo statistica ed istogrammi, con buona pace per la cultura di base. “Matematica per il cittadino”, qualcuno la chiama. Chiamatela come vi pare, purché si cominci ad insegnarla diffusamente!
Vediamo come osservare il problema. Il MIUR fornisca un istogramma così costruito: quanti alunni frequentano una classe di 1, 2, 3… 27, 28, 29… 31, 32+ persone. Vedremmo una campana che ci farebbe capire lo stato reale della situazione.
Spiego l’abbaglio intrinseco nel modo furbesco che Panorama adotta nel porgere la questione. Abbaglio che va un po’ oltre le argomentazioni di Trilussa.
Immaginiamo una classe di 30 alunni e una di 10 alunni. In media abbiamo due classi di 20 alunni. Occorre però osservare che il 75% degli alunni è in una classe di 30 alunni, mentre solo il 25% della popolazione scolastica è in classi piccole.
Nel nostro caso sarebbe interessante conoscere la mediana. Cioè quel valore che divide in due le persone: metà della popolazione vive in una classe di x o più di x persone, l’altra metà vive in una classe con meno di x persone. Scommettiamo che la mediana è nell’intervallo 25-26 persone?
Eh, gli indici statistici, questi sconosciuti! Media aritmetica, geometrica, moda, mediana…: tutti concetti utili al cittadino, ma a noi insegnanti di matematica piace tanto il quadrato del trinomio. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
Dei “giochi equi” e delle scommesse che valgono diverse finanziarie sulla povera gente, mentre gli evasori godono, ne parlerò in un’altra occasione.

Vediamo ora le ragioni che ci inducono a dire: per forza nel nostro paese il numero di alunni per classe è diverso da quello degli altri paesi! Ed esserne orgogliosi, pure.

1) Nel nostro paese abbiamo l’inclusione scolastica. Questo impone classi di massimo 20 persone laddove ci sia un alunno diversamente abile. È chiaro che se ci sono classi appositamente create di 20 persone, la media si abbassa, ma fa parte delle scelte inclusive della nostra scuola che non possono restare sulla carta. È un prezzo che tutti assieme abbiamo deciso di pagare. Non si torna indietro.

2) I francesi chiamano il loro paese “l’Esagono”. Noi chiamiamo il nostro paese “lo Stivale”. La differenza è tutta legata ad una catena montuosa che parte da Trieste, attraversa tutto il nord Italia, si trasforma da Alpi in Appennino nella provincia di Savona (in quel di Cadibona, come ci insegnano le nostre Maestre), poi disegna un arco che prosegue lungo tutta la Liguria e scende giù per più di un migliaio di chilometri fino allo stretto che divide Scilla e Cariddi (al di là del quale, invero, sostanzialmente prosegue). Lungo questo popò di catena montuosa si annidano comunità montane e paesi che hanno un Comando di Carabinieri, l’Ufficio Postale e la Scuola. Si ricordi, poi, il fatto che lo Stivale è una penisola e che abbiamo scuole a Lampedusa, Pantelleria, le Eolie, l’Elba e in altre isolette minori. Se vogliamo ridurre le “scuole di montagna”, diciamolo chiaro, ma assumiamoci delle responsabilità.

3) Occorre riconoscerlo. Nel nostro paese ci sono molti indirizzi (nelle sedicenti superiori) che hanno prodotto, specie nei professionali, percorsi parcellizzati e quindi classi piccole. Non ci sembra sensato sterminarli orizzontalmente, ma una razionalizzazione era di certo necessaria. La soluzione delle classi disarticolate sulle materie professionalizzanti (e accorpate sulle materie comuni) avrebbe potuto essere potenziata.

4) Spero che nel calcolo non sia stato messo il dato delle classi di religione. Lì non è previsto alcun accorpamento anche se le classi, specie nelle superiori, sono spesso di pochi alunni (si può convincere un adolescente di stare a scuola fino alle 14.00 se può uscire un’ora prima?).

precari-scuola3.jpgTorniamo a Panorama che ci dice:«Più studenti in aula, più s’impara… Ma c’è un mito da sfatare: “non è automaticamente vero che più le classi sono numerose e meno s’impara” aggiunge Biondi. “Anzi, avviene il contrario. La votazione media nei test INVALSI è stata più alta nelle classi con oltre 25 studenti e più bassa in quelle con meno di 15»

Questo argomento viene proposto anche con confronti a livello internazionale (pensate mi stia per dare la zappa sui piedi? NO, il mio motto è “Amicus Plato, sed magis amica veritas”, e se il contraddittorio non c’è, come in questo trattatello, allora mi faccio le obiezioni da solo).
Devo segnalare uno spiacevole episodio radiofonico attinente al tema. Oscar Giannino ha buttato giù il telefono ad un insegnante precario che gli faceva notare come la popolazione scolastica italiana fosse in aumento. Giannino lo ha redarguito mettendo in evidenza come la popolazione italiana invecchia, si fanno meno figli, e quindi… E quindi un piffero! Ci sono gli immigrati che fanno figli. E quindi la popolazione scolastica è in lieve calo al sud e il lieve crescita la centro nord, e complessivamente è in crescita. Punto. E così anche Oscar è servito (scusate se mi permetto di tirare in ballo gli assenti, ma scrivo questo trattato per i miei lettori e uso il potere che ho come lo usa Oscar, con violenza).
Torniamo al rendimento. A livello internazionale in Giappone e in Corea abbiamo classi numerose e rendimenti alti. Abbiamo anche un livello di suicidi giovanili abnorme perché l’insuccesso scolastico è uno stigma sociale. Ad ogni modo, dateci gli studenti coreani e giapponesi e noi ce ne prendiamo 40 per classe. Se ci date i nostri amatissimi goblin, o ci date l’anello di Frodo, almeno il Necronomicon e i tentacoli di Cthulhu, oppure abbiate pietà di noi.

Messa a posto la “questione internazionale”, veniamo a quella nazionale. Non ha sfiorato l’idea di lorsignori il fatto che i Dirigenti Scolastici, i Direttori degli Uffici Scolastici Provinciali e Regionali non siano tutti dei pirla? Non li sfiora l’idea che le classi siano più piccole laddove c’è più disagio sociale e più difficoltà, e che, di conseguenza, Uffici Scolastici Regionali, Provinciali e Dirigenze Scolastiche siano oculati nella formazione delle classi e nella scelta dei numeri?
Ancora. Sapete che nei Licei Classici e Scientifici ci sono più alunni che nei professionali? Sapete che le “famiglie bene” mandano i propri figli (non sempre educatissimi, ma “trattabili”) nei Licei, mentre quelli più deboli vanno nei tecnici e nei professionali, dove ci sono meno alunni per classe?
Ed ecco spiegato il fatto. Se guardiamo i numeri, OCSE ci dice: in Italia le classi numerose hanno una performance migliore. Se guardiamo la sociologia, vediamo che le classi numerose sono piene di figli di papà, mentre quelle meno numerose sono piene di figli del proletariato. E noi che ricetta diamo? Aumentiamo gli alunni per classe. Così avremo i licei che restano come sono e le classi difficili dove si concentra il disagio, ancora più difficili. Complimenti!

Ancora Panorama (coraggio, siamo quasi alla fine!): «In definitiva, dal confronto col resto d’Europa esce un risultato apparentemente contraddittorio, ma sicuramente deludente: in Italia è più alto il numero di ore trascorse a scuola dagli studenti… eppure sono peggiori i risultati in termini di apprendimento»

Attenzione. Mettiamo i puntini sulle i (non le tre i della Moratti, perché se apriamo questo capitolo, moriamo dal ridere).

1.) In Italia c’è un’ora che si chiama IRC che viene computata nella statistica. Togliamola, please, perché altrimenti pesa. Non ce l’ha prescritta il dottore (e infatti siamo l’unico paese al mondo a somministrarla), ma un Concordato che forse andrebbe rivisto alla luce dei tempi che sono. Se dal 1861 al 1923 sono passati 62 anni, se dal 1923 al 1983 sono passati 60 anni, dal 1983 ad oggi sono passati 27 anni (nei quali è arrivata la TV a colori, quella commerciale, il telefono mobile, il calcolatore personale, internet, l’MP3, l’iPhone, persino lo scudetto del Verona e della Sampdoria e il Cesena primo in classifica in serie A), forse è abbastanza.

2.) Nel nostro paese si fa un anno di scuola in più. Personalmente lo utilizzerei in maniera diversa. Concentrerei lì l’eventuale accumulo di debiti, concedendo l’accesso a punteggi superiori ai 60/100 solo dopo averli sanati, consentendo a tutti gli altri di concludere le sedicenti “superiori” in quattro anni, con un anno di raccordo con l’università focalizzato sui prerequisiti delle medesime. Non posso condensare in quattro righe la “riforma della scuola” che ho in testa, ma tale proposta è personale e quindi mi taccio.

Panorama: «Un funzionario [dell’OCSE] dice a Panorama…».
Sarebbe tanto disdicevole rivelare nome e cognome? No, perché mia zia ha detto che sono bello, bravo e intelligente. Ma se vi dico che “una dottoressa mi ha detto che sono bello, bravo e intelligente”, forse sfugge un dettaglio essenziale.

Infine, Panorama conclude (e io con lei): «Oltre 40 mila classi e 1 milione di studenti usufruiranno delle lavagne multimediali, mentre 300 mila insegnanti saranno formati all’utilizzo di nuove tecnologie. Se vi sembra poco…»

300 mila insegnanti saranno formati sull’utilizzo di queste tecnologie? Strano. Il mio dirigente me ne ha appena appioppate due (con mia somma soddisfazione, beninteso, sono un insegnante tecnologo), ma di corsi di formazione per insegnanti non ne ho visti (al contrario, ne ho fatti e me li sono pagati, e ora insegno all’Università questi temi).
Sarà forse per questo motivo che il docente più bravo d’Italia è un precario come me?

*Paolo Fasce, Portavoce del Comitato Precari Liguri della Scuola, Segretario dell’Ass.ne Naz.le Insegnanti di Matematica (ANIMat), Insegnante, scrittore, saggista, giornalista, informatico e altro ancora (come si conviene a tutti quelli della sua generazione), è co-curatore di Pensieri sottobanco. La scuola raccontata alla mia gatta.