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Antonella Beccaria e Simona Mammano, Attentato imminente, prefazione di Daniele Bianchessi, postfazione di Antonio Juliano, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2009, pp. 214, € 14.00

Il caso di Pasquale Juliano, commissario di polizia a Padova nel 1969, è oggi poco conosciuto: capita, a citarlo, di scoprire che il tuo interlocutore confonda Juliano (Pasquale) con Giuliano (Boris). Eppure Juliano, come il suo quasi omonimo collega assassinato da Leoluca Bagarella, è stato un poliziotto degno dei Jules Maigret e dei Nestor Burma: quasi da solo, aveva scoperto l’esistenza di un nucleo organizzato di neo-fascisti che preparava ed eseguiva attentati.
Aveva, in pratica, scoperto i preparativi della strage di piazza Fontana.

Perché, allora, il gruppo neo-fascista che si riuniva nella libreria Ezzelino o nella sede di via Mestrina — tra loro: Franco Freda, Aldo Trinco, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Martino Siciliano, Marco Molin, Giovanni Ventura, Massimiliano Fachini, Carlo Digilio — poté impunemente progettare e pianificare la strategia eversiva, l’escalation di attentati che, dalla bomba all’Università di Padova contro il rettore Opocher (15 aprile) fino alle bombe sui treni (8-9 agosto), doveva sfociare nella strage di piazza Fontana, che probabilmente doveva servire da pretesto per la sospensione della Costituzione e l’instaurazione di un regime militare, sulla scia di quanto era successo in Grecia?
Perché il commissario Juliano, che tra maggio e giugno, aveva portato alla luce la trama nera e aveva operato i primi arresti, fu fermato grazie a una sapiente montatura giudiziaria. Accusato di aver falsificato le prove a carico dei neo-fascisti, sottoposto a un’indagine lunga e umiliante, sospeso dal servizio: insomma, messo in condizione di non nuocere, mentre la macchina del terrore si rimetteva in moto. Una messa in moto che necessitava di una “vittima preventiva”: Alberto Muraro, la cui storia, narrata nel libro, può essere letta, come anticipazione di queste pagine, qui.
Al commissario Juliano occorsero dieci anni per dimostrare la propria innocenza: una volta scagionato, si dimise dalla polizia: «Ora che si sa che sono un poliziotto onesto cambio lavoro, smetto di indossare la divisa. Mi congedo e vado a fare l’avvocato. Forse così avrò modo di essere più utile alla giustizia» [p. 174].

A questo poliziotto è dedicato l’ultimo libro d’inchiesta di Antonella Beccaria, scritto a quattro mani con Simona Mammano.
Un libro documentatissimo, com’è abitudine di queste due reporter che si muovono, com’è loro consuetudine, sul confine tra informazione e contro-informazione. Dimostrando ancora una volta come l’unica vera informazione, nel paese dei misteri e delle impunità, non può che essere contro. Un libro istruttivo, quindi.
A quarant’anni dall’esplosione della bomba, mentre i lettori delle veline di Questura che all’epoca annunciavano l’arresto del “mostro” Valpreda sono sempre lì, in televisione, leggere questo libro può essere un buon punto di partenza per chi non sa, o un utile richiamo a praticare il vizio della memoria per chi sa, e soprattutto per chi non dimentica.
Perché, di quel 12 dicembre in cui esplose la bomba, e di quel 15 dicembre in cui l’anarchico Pinelli precipitò dalla finestra della Questura di Milano, non c’è nulla da dimenticare. Né da perdonare.

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Xaaraan, il blog di Antonella Beccaria
Fuori dal coro, il blog di Simona Mammano