di Alberto Prunetti

sabatino_leggera.jpgSabatino Catapano è un aitante settantenne campano con un lungo passato nelle patrie galere e una storia di resistenza libertaria ancora in corso. Alla nobile “follia” di Sabatino e all’orrida demenza del sistema penitenziario italiano – che continua a macinare dolore e corpi umani, come dimostrano i recenti omicidi di reclusi — è dedicato il vibrante documentario di 39 minuti di Andrea Searle Villarroel. Un mediometraggio che viene proposto assieme a una autobiografia cartacea autoprodotta di Sabatino (intitolata “Il sopravvissuto”) che sta circolando nel circuito delle distribuzioni libertarie.
Riassumo la storia di Sabatino Catapano attraverso le due produzioni, ovvero l’autobiografia e l’intervista resa ad Andrea Searle, autrice di alcuni documentari sul tema delle migrazioni femminili in Italia e in Messico.


Nel 1955 per aver rubato una pentola lo rinchiudono per 15 lunghi mesi in svariati carceri minorili. Esce ed entra continuamente dal carcere e nel 1960 si ritrova in galera per colpa di una tragica montatura: viene accusato di sequestro di persona e rapina. Rimane chiuso in attesa di un processo per due anni, tre mesi e undici giorni. Al processo il suo difensore riesce facilmente a smontare l’accusa e viene assolto, nonostante i vari mesi di isolamento e di manicomio criminale, con un periodo passato legato al letto di contenzione. Esce, ma continua la sua vita ai margini del codice penale.

Anni dopo rimane coinvolto in una serie di episodi illegali. Il ’68 lo trova di nuovo in carcere, a espiare una lunga condanna. Ma anche dietro le sbarre si respira un’atmosfera diversa. Le prigioni si riempiono di militanti del movimento studentesco e di prigionieri politici. Un percorso esemplare, condiviso da molti altri detenuti, porta Sabatino alla politicizzazione attraverso le parole scambiate con Graziano, un obiettore totale, anarchico e antimilitarista. Ore passate a chiacchierare, a studiare, a leggere i giornali in carcere. Poi gli incontri nell’ora d’aria con personaggi carismatici che fondono ribellione, politica e illegalismo, come Renato Vallanzasca e il ladro gentiluomo Hornst Fantazzini. E ancora i contatti con Soccorso Rosso, la militanza dietro alle sbarre, le proteste e le mobilitazioni dentro al carcere. Infine le punizioni, l’isolamento, i trasferimenti continui, l’ospedale psichiatrico giudiziario come forma ultima di repressione.

Tutto questo viene raccontato nel documentario di Andrea Searle e nelle memorie dello stesso Sabatino. Il bel lavoro di Andrea Searle è girato sostanzialmente nella forma di un’intervista che ripercorre i momenti salienti della dura esperienza di Sabatino. Provo a riassumere alcune tappe rievocate dalle parole di Catapano, come fotogrammi che scorrono durante la visione. Le immagini, accompagnate da una fronna, la musica popolare napoletana, ci portano davanti alla questura dove Sabatino è stato arrestato la prima volta. Lui stesso racconta i problematici rapporti in carcere con gli altri detenuti, tra conflitti e solidarietà umana. Cambio di scena. Intervista alla moglie di Sabatino. Le parole di Anna sono toccanti e lei stessa si commuove quando rievoca le bugie raccontate ai figli (“papà è in Germania a lavorare”). Altro stacco di montaggio. Il manicomio giudiziario di Aversa, presso Napoli. Il primo internamento a 22 anni. L’autolesionismo come forma estrema di protesta. Il manicomio come dimensione più dura di reclusione, l’ultimo anello della catena repressiva che classifica la protesta di Sabatino come follia e tenta di spegnere la sua ribellione nel reparto agitati, tra contenzione fisica e chimica. Sabatino racconta con umorismo campano passi tragici della sua vita: le bastonature dei secondini, la difficoltà a pisciare e cagare legato al letto di contenzione, le umiliazioni dell’intimità. A tratti la sua testimonianza diventa più imbarazzante e un velo di lacrime gli ricopre gli occhi. Parole dure, che testimoniano la mostruosa assurdità della repressione. Uno sguardo sul carcere e sulla repressione psichiatrica che non si ferma alle vicende personali: Sabatino racconta il caso terrificante di un internato, incontrato in un manicomio giudiziario, che era stato prosciolto per un furto. “Prosciolto” nel gergo della detenzione, significa “trasferito a un manicomio criminale perché giudicato incapace di intendere e di volere”. La pena, che secondo il normale codice penale sarebbe stata lieve, viene trasformata in 5 anni di manicomio, legato al letto di contenzione.

Il percorso di Sabatino è toccante. Di fronte alla barbarie della reclusione, della contenzione, della sottomissione di fronte al potere della chiave e del manganello, Catapano sviluppa una serie di riflessioni che lo portano a mettere in discussione l’organizzazione della società, le discriminazioni tra inclusi ed esclusi, l’autoritarismo del capitale, fino ad arrivare a sognare un mondo senza servi e senza padroni. In particolare la reclusione viene raccontata nel documentario di Andrea Searle come una esperienza umana limite che lo porta a una rimessa in discussione del sistema (una critica che si sviluppa a partire del corpo, che ha provato contenzione, lacci, bastonatore, autolesionismo e le ispezioni umilianti dei secondini).

Uscito finalmente dal carcere Sabatino ha speso le sue energie nella critica del sistema psichiatrico (fino a organizzare gruppi di ascolto per persone vittime della psichiatria nella sua abitazione) e nell’attivismo politico. Prima ha partecipato alle mobilitazioni dell’USI, il sindacato di base di matrice libertaria, poi si è impegnato con energia alla critica della repressione carceraria e psichiatrica. E’ anche un attore autodidatta e il suo monologo di Pulcinella, improvvisato su ogni sorta di estemporaneo palcoscenico, è un’imperdibile esperienza per vedere come il Nostro sia riuscito a mettere in scena la propria “follia”. Da oggi la storia di Sabatino viene condivisa con chiunque voglia leggere le sue parole e vedere l’ottimo documentario girato da Andrea Searle. Due strumenti fondamentali perché la follia di Sabatino, che mai doveva essere curata o repressa, diventi finalmente contagiosa.

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