di Valerio Evangelisti
(da Il Fatto Quotidiano, 24 ottobre 2009)

HeaderNew.jpgAlbertoBucci.jpgDal 27 al 31 ottobre si svolgerà a Ravenna il Nightmare Film Fest, giunto ormai alla settima edizione. E’ il più importante festival italiano di cinema horror e, al di là delle apparenze, si adatta molto bene alla città in cui viene tenuto. Ravenna, in autunno inoltrato e mentre si annuncia l’inverno, è una città gelida (in senso climatico) e vagamente nebbiosa, molto adatta a ospitare spettri e immagini inquietanti. Ciò vale in particolare per il centro chiamato Cinemacity, composto da ristoranti e sale cinematografiche collocati direttamente in mezzo al nulla. Sorge all’estrema periferia, e attorno il paesaggio è piatto come se lo avessero piallato. L’antica capitale di un impero bizantino ridotto ai minimi termini si scorge come sagoma lontana, visibile nei rari momenti di luce piena e raggiungibile con autobus che non passano mai.

Ciò non ostacola, ma anzi favorisce, l’affluenza di un pubblico numerosissimo intenzionato a farsi spaventare, e anche a lasciarsi stupire. Nelle precedenti edizioni del festival si è visto davvero di tutto: atrocità senza nome e vermi cannibali, raffinati capolavori e porcherie orrende (dunque quanto mai in sintonia col tema), retrospettive su animali giganteschi e incursioni di suore assassine. Il tutto affidato al gusto bislacco e al voyeurismo smodato dei principali responsabili della selezione, Alberto Bucci (nella foto) e Franco Calandrini.
Il sapore del festival ravennate è unico: si è sempre a un passo dalla demenzialità, e unica a essere bandita, tra le insidie, è la noia. Ma vediamo di essere seri e di disquisire con compostezza sul genere trattato al Nightmare e sulle sue valenze.

Cos’è l’horror? E’ un genere, ovviamente, sia narrativo che cinematografico. Però differisce dagli altri, mediamente più popolari. Il poliziesco ha a che vedere sia con l’eterna fascinazione del delitto che con la logica idonea a indagarlo. Il noir si estende a contesti urbani di marciume e degrado morale, dove la distinzione tra buoni e cattivi si assottiglia. La fantascienza punta sui massimi sistemi, in cui la prospettiva individuale si perde in giganteschi scenari macroeconomici e macro-sociali. Il romanzo rosa è una variante blanda della letteratura erotica. Ogni genere ha proprie caratteristiche, ancorate a differenti bisogni conoscitivi ed emotivi.
L’horror si radica, dal canto proprio, nella psicologia del profondo. Fa emergere le più inveterate pulsioni individuali, quelle della morte, e della sofferenza che può preludere alla morte. Nessuno è più attratto e respinto dall’evento inevitabile dei bambini, o dei vecchi. Gli uni lo guardano come un fatto remoto eppure incomprensibile, gli altri lo vedono come una certezza incombente. Il genere horror si nutre di queste paure. Da una ventina d’anni a questa parte le ha esorcizzate con una visione intermedia e a suo modo consolatoria: il genere splatter, la crudeltà immotivata del serial killer. Sono costoro che oggi assediano le fantasie del pubblico. Il mostro metafisico, tipo il vampiro che vive o non vive, ha attualmente le forme patinate degli eroi romantici di Twilight. E l’orrore resta confinato al livello epidermico delle torture, degli assassinii insensati, dello squarciamento di budella (Hostel, Frontiers ecc.). Eppure, quando un ragazzino ha un incubo terrorizzante, pensa a tutt’altro. A una parete che, se vi ci si appoggia, cede sotto la sua pressione, e lo proietta in un mondo dalle regole misteriose a atroci, in cui la morte regna e orchestra il balletto di una vita a termine. Oppure pensa al buio (per lui più fitto che per gli adulti) e alle creature che potrebbero acquattarvisi.
Alcuni film degli ultimi anni poggiano su questo tipo di orrore: The Others, The Orphanage, in parte REC, e altri. Nascono in Spagna, dove la morte è (come a Napoli, come in Messico) raffigurazione ossessiva e ammonitrice negli edifici religiosi dagli interni in penombra.

L’horror corrente al festival di Ravenna è mediamente più svagato, punta al raccapriccio, al delitto feroce e sorprendente, alla bizzarria sadomaso. Pare, per fortuna, che quest’anno non avremo le solite storie di adolescenti in vacanza in località boscose, popolate da psicopatici, in cui l’unica a sopravvivere è la ragazza dai costumi sessuali morigerati. Questo filone, che peraltro non manca di qualche esempio decoroso (tutto Nightmare, qualche Venerdì 13, Wrong Turn, ecc.), ha raggiunto da un pezzo la saturazione. Non avremo nemmeno gli amori adolescenti di vampirelli a metà, né profluvi di effetti speciali. Resta un onesto programma di film pazzeschi, tutti orgogliosamente collocati nella serie B, eccetto uno: Barbe-Bleu di Catherine Breillat, giudicato al festival di Vancouver una rilettura della favola di Perrault particolarmente raffinata e riuscita.
C’è chi dice che la sola visione di questo film, che chiuderà la rassegna di Ravenna, varrebbe il viaggio. Non è il mio parere. Al Nightmare Film Fest vale comunque la pena di andare. Ci si diverte e ci si spaventa. E’ lo stesso meccanismo dei “tunnel dell’orrore” dei vecchi lunapark. Ci si siede su un veicolo e ci si lascia trascinare. Poi ci si emoziona, si strilla, ci si lascia terrorizzare e si esce con un ricordo indubbiamente “piacevole”. Un paradosso?
No. Il sollievo, sensazione gradevole, nasce da un accumulo di sensazioni sgradevoli. E’ bello allontanarsi senza più dolore dal gabinetto del dentista. E’ bello uscire promossi da un esame che ci ha fatti sudare. Senza sofferenza preliminare il piacere non sarebbe completo. Il cinema horror di medio livello ha questo effetto, a differenza di quello di alto livello, che ti perseguita anche dopo. A Ravenna i due livelli sono mescolati, per cui un certo grado di soddisfazione è garantito, estetico (nel caso dei bei film) o epidermico (dopo brutti film basati sugli effettacci) che sia.

Psycomotel.jpgNon credo di avere reso il fascino del Nightmare Film Fest ai lettori di questo giornale. Mettete di avere assistito a una puntata di Ballarò con la partecipazione, simultanea, di Ignazio La Russa, di Angelino Alfano, di Maurizio Gasparri, di Renato Brunetta, di Emma Marcegaglia, dello stesso Berlusconi (i quali tutti, senza motivo apparente, si credono più belli di Rosy Bindi). Sconvolti da simili orrori, uscirete nella nebbiosa periferia ravennate, in aree di parcheggio degne di Zodiac, del Figlio di Sam e di altri famosi serial killer americani. Tirerete un sospiro di sollievo: magari vi aspettano altri mostri, ma quelli già noti non sono lì, per il momento. Un piatto di cappelletti (la versione romagnola e appesantita dei tortellini) vi conforterà con l’illusione che il peggio sia passato. Naturalmente l’incubo continua, ma per un poco, assistendo a incubi peggiori e transitori, lo avremo esorcizzato.