di Valerio Evangelisti

NeroWolfeFaLaSpia.jpg[Il presente articolo è apparso un paio d’anni fa su “L’Europeo”. Dopo di allora è comparso il volume “Segretissimo Jacono. Tutte le copertine per Segretissimo”, a cura di Gianni Brunoro, ed. Fondazione Rossellini, che ne illustra la tematica.]

A giudicare dalle spie italiane confesse o sbugiardate di recente (penso soprattutto a due giornalisti sovrappeso), l’accostamento appare inesplicabile. Invece, nella narrativa popolare, complemento necessario a ogni spione è una donna poco vestita e disponibile. A volte più di una.
La responsabilità iniziale è tutta di Ian Fleming. Dandy lui stesso, nella vita, attribuì al suo James Bond doti seduttive esagerate, che nessuna spia autentica, tendente piuttosto all’anonimato e a una voluta austerità di costumi, ha mai potuto vantare. Sta di fatto che, da 007 in poi, e prima dell’avvento dei romanzi tristi di John Le Carré (ma anche dopo), l’accoppiata tra spie maschili affascinanti e donne fatali disposte all’amplesso non è mai venuta meno. Anche tra spie femminili altrettanto fatali e uomini-oggetto.

Lo dimostrano le copertine di Segretissimo, l’ormai storica collana Mondadori dedicata al tema dello spionaggio, fin dagli esordi. Si era agli inizi degli anni Sessanta, e chi firmava i disegni era Carlo Jacono. La collezione si ispirava al Giallo, però si fregiava di un elegantissimo colore nero, attorno al cerchio dagli orli bianco e rosso che racchiudevano l’illustrazione. Questa comprendeva in secondo piano una scena d’azione ispirata alla storia, e in primo piano una donna stupenda e poco vestita. Non era mai completamente nuda — le leggi dell’epoca non lo avrebbero consentito. Però faceva intuire, al lettore maschile, quanto allettante potesse essere l’offerta del romanzo.
Gambe nude scoperte, schiene rivelatrici, accenni a un sedere prorompente e a quel solco tra i seni che Ramón Gómez de la Serna ha dimostrato essere più attraente dei seni stessi (non a caso la parola “seno” si riferisce al solco, mentre sarebbe filologicamente più corretto il termine “tette”, derivante da una voce onomatopeica indoeuropea che indica l’atto del succhiare), caratterizzano gli esordi di Segretissimo. Una illustrazione di quel tipo figura persino sulla copertina del romanzo di Rex Stout Nero Wolfe fa la spia, in cui l’investigatore quasi obeso si reca clandestinamente nel Montenegro dove è nato per indagare sulla morte di un amico.
L’immagine del grassone accanto a una mora mozzafiato aiuta a calare meglio i giornalisti-spioni italiani nel quadro dello spionaggio letterario. Va inoltre tenuto presente che Ian Fleming, tra le altre cose gran viaggiatore, era andato a visitare Rex Stout per proporgli un romanzo a due mani in cui Nero Wolfe incontrasse 007. La proposta fu accolta con cortese stupore. Lo stesso avvenne quando Fleming fece la stessa offerta a Georges Simenon. L’idea di una collaborazione tra James Bond e il commissario Maigret non riuscì ad affascinare lo scrittore belga, e un probabile mostro narrativo (non oserei definirlo “letterario”) ci fu risparmiato.
Ma torniamo al legame spie-sesso da cui eravamo partiti. Devo confessare che i romanzi di spionaggio non mi hanno mai interessato molto, e non mi interessano tuttora. Malgrado ciò, verso i dodici anni, cominciai a comperare occasionalmente Segretissimo. Magari qualche vecchio numero, scovato sulle bancarelle. Le storie non mi appassionavano se non su un versante: le pagine vagamente erotiche, che non mancavano mai. E soprattutto quelle stuzzicanti copertine, che spesso mi inducevano ad atti che qui rinuncio a descrivere. Dopo la mia adorata Françoise Hardy, dopo una dimenticata modella di biancheria intima femminile scoperta sulle pagine di Oggi, furono le pin-up di Segretissimo a iniziarmi al sesso in età pre-adolescenziale. Ricordo male le trame, però ricordo bene quelle fulgide amanti. Milioni di spermatozoi furono sacrificati su quell’altare.
Mondadori probabilmente non lo sapeva, ma era una narrativa erotica di massa che stava diffondendo tramite Segretissimo. Bisogna considerare, per capirlo, ciò che erano i primi anni Sessanta agli occhi di un dodicenne. C’erano forti polemiche sulle gambe nude (in realtà rivestite da collant) delle gemelle Kessler. La tv di Bernabei non consentiva nemmeno i baci, figurarsi la pubblicità di assorbenti o (orrore!) preservativi. Per vedere Sophia Loren a seno nudo, in un peplum di infima qualità, bisognava spostarsi in Francia. Fatto più significativo di tutti, la raffigurazione dell’organo genitale femminile, tracciata col gesso dai ragazzini sui muri, era quanto mai irrealistica: una specie di oliva con una riga in mezzo. Segno evidente che gli autori del graffito non avevano mai visto l’originale, pur avendone una vaga idea.
Su Segretissimo imperavano le imitazioni di James Bond, prima fra tutte l’agente OS 117 del francese Jean Bruce (Jean Brochet, 1921-1963). Nell’originale si chiamava OSS 117, ma nell’edizione italiana una “esse” fu abolita: suppongo perché l’OSS, servizio segreto anglo-americano nella seconda guerra mondiale, era realmente esistito e si volevano evitare guai.
Sta di fatto che le avventure di OS 117 erano terribilmente banali, e mancavano totalmente dell’eleganza di quelle di James Bond. Però i momenti “caldi” erano davvero caldi, sebbene molto allusivi. Una quantità di romanzi di Jean Bruce finirono nella mia cantina, in un loculo segreto dove, pochi anni dopo, si sarebbero accumulati i numeri di Playmen, vero preludio all’incipiente rivoluzione sessuale.
Ma c’era uno scomparto ancor più segreto, pari all’Enfer della Biblioteca Nazionale di Parigi. I miei genitori non erano repressori sistematici, tuttavia compartivano le censure del loro tempo. Io ero (e sono) molto alto di statura. Ne profittai per accumulare, su un armadio della mia cameretta, libri a me vietati. Non erano gli stessi nascosti in cantina. Avevano effetti più dirompenti. Si trattava de I peccati di Peyton Place, di Grace Metalious, di Angelica alla corte del re, di Anne e Serge Golon (favolosa la copertina Garzanti, che ritraeva l’indimenticabile Michèle Mercier), di Justine, del marchese De Sade (in versione edulcorata) e… di un romanzo di spionaggio: Casino Royal di Ian Fleming. Dalla trama senza sorprese, però capace di fare vibrare i sensi di un maschietto eterosessuale all’apparizione di una delle donne messe in scena, dalla “scollatura a V”, davanti e dietro. Ancor oggi, adoro le scollature a V, nei rari casi in cui mi capita di vederle.
Gli italiani, a dispetto della severità di costumi ufficialmente imperante, furono svelti a impadronirsi di storie dal richiamo ormonale così forte. Fiorirono le imitazioni cinematografiche, ma anche letterarie, di James Bond. Nacquero l’agente 077, l’agente 777 e vari altri. L’inglese Margaret Lee, trapiantata in Italia, cercò di proporsi come alternativa locale a Ursula Andress in alcuni film di spionaggio. Riuscì solo a dare un colpo, modesto ma importante, al puritanesimo che ancora imperava.
Anche Segretissimo ebbe i suoi cloni. Ne ricordo uno, lontano dal modello eppure diffuso grazie al prezzo inferiore, intitolato Agente Speciale. Le copertine erano decisamente scollacciate, l’autore di punta era un sedicente russo di nome Igor Sakin. Ho imparato abbastanza di recente che si chiamava Renato Carocci. Una ricerca su Internet pare poi rivelare che, occasionalmente, lo pseudonimo fosse usato nientemeno che da Laura Toscano, la sceneggiatrice di Commesse e de Il maresciallo Rocca.
Comunque stiano le cose, anche Igor Sakin, al pari di Jean Bruce e degli autori di Segretissimo, stava inconsapevolmente collaborando alla rivoluzione sessuale imminente in Italia. Di lì a poco le allettanti copertine di Jacono sarebbero state sostituite da immagini molto più scottanti, anche se a prezzo di una perdita secca in fatto di prurigine.
Oggi Segretissimo prosegue nella tradizione delle immagini sexy, e pubblica massicciamente italiani sotto pseudonimo, che si alternano al vacuo SAS (Sua Altezza Serenissima) di Gérard de Villers. Le pagine scabrose abbondano, più esplicite di un tempo ma certo meno trasgressive. Uno degli ultimi numeri, uno speciale intitolato Professional Gun, è interamente dedicato all’autore di punta della collana, l’amico Stefano Di Marino, e agli altri italianissimi scrittori specializzati in spionaggio (Gianfranco Nerozzi, Sergio “Alan D.” Altieri, Fabio Novel ecc.). La copertina, fotografica, ritrae lo stesso Di Marino con alle spalle una splendida modella.
Non nasconderò il fascicolo in cima all’armadio, però l’immagine riesce a turbare (se non ci fosse Di Marino in primo piano sarebbe meglio). Mi auguro che sia stato quel tipo di motivazione a invogliare alcuni dei nostri giornalisti a mettersi, in un passato recente o remoto, a disposizione dei servizi segreti. O magari, vista la stazza, il desiderio di emulare Nero Wolfe.
Certamente ignoravano che, così facendo, si inserivano — oggettivamente – in una rivoluzione dei costumi partita da molto lontano, dagli esiti non molto graditi dalla Conferenza Episcopale.