manuel_manzano_cover2.jpgdi Giuseppe Genna

Immaginate di essere a una riunione aziendale: noia pura. Una serata galante con il persecutore del Dr. House è più eccitante (anche se siete uomini). Alla riunione, il relatore si alza e dice: “Sono felice di essere qui!”, poi si sposta di un passo ed esclama: “Anche essere qui è bello, però!”. La riunione aziendale cambia i connotati. Quel tizio è un genio, trasforma un evento a cui nessuno pensa come penso io a un week end con la Paltrow. Ecco cosa succede se prendete la saggia e liberatoria decisione di leggere il noir (e qui già pensate: uffa, il solito ispettore…) Le incredibili avventure di un autentico cacasotto dello spagnolo Manuel Manzano (Kowalski, 13 euro): accadrà che non c’è Zelig che tenga. Maigret ha deciso di farvi crepare dalle risate. Montalbano è diventato Totò.
Non credo esista attualmente in Europa un autore di noir che sia anche solo lontanamente capace di piegarvi dalle risate.

manuel_manzano.jpgIl cacasotto di Manzano è Stieg Larsson più il Benigni dei tempi belli. Manuel Manzano è uno scrittore geniale: sa farci ridere molto più di un comico. Da cosa si intuisce che è un genio questo autore spagnolo, che per invenzioni di trama e colpi di scena (un noir rimane pur sempre un noir) si mangia Ruiz Zafón a colazione (una colazione che, ammetto, fa schifo)? Da questo: ogni personaggio del suo romanzo è memorabile. Le situazioni sono esilaranti, le battute sono esilaranti, ma i personaggi sono memorabili. Siamo tra John Fante e l’ispettore olistico Dirk Gently di Douglas Adams (l’inventore della Guida galattica per autostoppisti).
Il colpevole si chiama Gabriel Saviela, cinquantacinquenne cieco e diabetico, costretto a vivere con la madre, un’arpia che lo ha sottoposto a indicibili vessazioni (Torquemada, al confronto, aveva la fantasia di un impiegato postale del Lichtenstein). Gabriel compie un massacro che nemmeno in uno splatter di Tarantino — una strage che fa sganasciare, se quello che accade in casa Saviela arriva perfino a uccidere d’infarto il cane nano Tamagotchi. E’ subito un delirio alla Buster Keaton: un cieco che si trasforma in un assassino seriale, non ci vede una mazza ma fa finta di sì, per non essere riconosciuto. Sulle sue tracce assolutamente devianti, volenti e nolente, ci sono una coppia investigativa e un giornalista che sarebbe il cacasotto del titolo. Il duo poliziesco è composto dal capo Boris Beria Fuensanta, che dal nome si capirà che per genitori aveva sinceri ammiratori del KGB, e da Nicodemo, un qualcosa che sfugge alle leggi della genetica e della specie umana, un torturatore che ha l’alitosi come se il suo stomaco risiedesse stabilmente nel sistema fognario di Calcutta. Il nolente sulle tracce dell’assurdo killer è invece Manuel Bun, uno che al giornale per cui lavora si occupa di parole crociate. Manuel vanta un’infanzia pari a quella di Remì, di tutti i bambini leucemici dei film anni Settanta, e anche mia. Solidarizziamo con lui perché, avendo egli una vita amorosa da zero assoluto, finalmente trova la donna idealizzata, sta con lei un arco preciso di ore, dopodiché ne viene scaricato, in quanto ella non desidera stare con uno che d’estate mette i calzini nel frigo per sentirsi meglio quando li indossa. Manuel è pavido, codardo, sfigato, goffo: Stanlio, Ollio e me riuniti in un unico uomo. Il suo mal d’amore è la sofferenza che abbiamo provato tutti: però moltiplicata per milleduecento. Sarebbe l’innocenza fatta persona, se non lo fosse affatto — ma qui lascio intatta la suspence, perché è imprevedibile quello che il genio di Manuel Manzano riserva ai lettori per il finale, che non è che lasci a bocca aperta: le mandibole proprio si staccano dal cranio.
Irresistibile nella prosa e nell’intreccio, assolutamente non clonabile nella sua invidiabile comicità surreale e nella sapienza con cui muove il teatro di una Barcellona di sconcertante umanità, Manuel Manzano è uno degli scrittori europei che sprizzano radioso futuro. Intanto il presente è già radioso e consiglio di non farvelo sfuggire.