di Chiara Carlino

Madagascar2Africa.jpgC’era un tempo lontano in cui ai bambini si raccontavano storie dove i buoni erano buoni e i cattivi erano cattivi, per insegnar loro a disinguere il Bene e il Male.
A un’estremità non troppo lontana di quel tempo, i bambini guardavano i Cartoni Animati, e i Cartoni Animati erano per i bambini.
Poi venne la modernità ed il Dubbio ricoprì ogni cosa.
Qualcuno insinuò il Dubbio che i cattivi potrebbero avere un loro punto dei vista, persino dei sentimenti: gli orchi potrebbero essere puzzolenti e scorbutici ma in fondo simpatici, e le sorellastre di Cenerentola devono essersi sentite molto tristi a venire scartate — pur senza con questo diventare per forza più simpatiche. Qualcuno sembrò suggerire che i bambini potessero comprendere un mondo un po’ meno manicheo, e che adulti e bambini potrebbero divertirsi con le stesse storie, pur cogliendone aspetti diversi.

Fu così che divenne possibile infilare in un cartone animato una quantità di temi complessi, trattarli in modo non banale anche se rapido, e far scompisciare dalle risate il pubblico intero, senza distinzioni anagrafiche.

In Madagascar 2 gli animali scappano dallo zoo, ma dopo la vacanza vogliono ritornarci, perchè la selvaggia Africa non è più la loro patria. Le azioni hanno delle conseguenze, e non è possibile riportare all’Eden originario una “natura” ormai forgiata dalla convivenza con l’uomo, nello stesso modo in cui non è possibile cancellare secoli di colonialismo e lasciare l’Africa agli africani come se nulla fosse accaduto.

Mentre ridiamo con i pinguini soldati e le scimmie sindacaliste, ci rendiamo conto che l’individualità è un’invenzione culturale umana — e anche molto recente: Marty la zebra è unica a New York, è unica per i suoi amici, ma in natura è solo un esemplare della sua specie. E la natura non prevede alcuna cura per l’individuo in quanto tale: in assenza di una scienza medica e della cultura che la giustificherebbe, il singolo esemplare è tranquillamente sacrificabile alla prima difficoltà – come scopriamo dall’alto dell’ipocondriaco collo delle giraffe, subito pronte a scegliersi una buca dell’agonia qualora non fossero in perfetta salute.

Quando poi la linea narrativa principale raggiunge il suo snodo e noi seguiamo le evoluzioni psicologiche, familiari e generazionali dei leoni padre e figlio, viene messo in mostra, con una storia parallela di poca importanza, nientemeno che il meccanismo tipico alla base delle pratiche religiose.
Re Julien, improvvisatosi sciamano, per combattere la siccità organizza una grande processione al vulcano, per ingraziarsi gli dei con l’offerta di un arrosto caldo caldo. Una scenografia della cui efficacia è il primo a dubitare, ma che tuttavia fa presa sulla popolazione, perchè dà la sensazione di poter agire contro le disgrazie al prezzo di un sacrificio, sì… ma quello di qualcun un altro, che è sempre il migliore.
E quando incredibilmente, per coincidenza, il risultato sperato si verifica davvero, lo sciamano è lì, pronto a ripescare la propria spiegazione e a prendersene il merito.

Tra una gag e l’altra riceviamo una botta di sano relativismo osservando la bellezza con gli occhi di un ippopotamo, che ce la mostra centrata attorno alla qualità “enorme”; e ridiamo di noi stessi quando i sapiens, dannosi presuntuosi e stupidi, vengono prima fregati dai pinguini – così carini e quindi innocui- e poi sconfitti non dalla forza ma dall’entertainment.

Pochi trascurabili germi di saggezza gettati nella testa degli spettatori di soppiatto, senza farsene accorgere, travestiti da film di Natale, conditi da risate, citazioni, personaggi azzeccati ben più espressivi di molti attori reali, una manciata di storie semplici abilmente intrecciate, e un 3D spettacoloso, come è ormai d’obbligo.