di Danilo Arona

amiantolu.jpgIl mio amico Sergio Barbano di Casale si è spento il 3 marzo sulla poltrona di casa sua per mesotelioma pleurico. Sergio era un grande sportivo, mangiava solo in un certo modo e seguiva ogni tattica preventiva per salvarsi la vita in quanto profondo conoscitore delle medicine non ufficiali. Tuttavia non ce l’ha fatta perché ha vissuto per tutta la sua esistenza a Casale Monferrato.
Le pagine locali de “La Stampa” hanno dedicato un certo spazio alla sua scomparsa. Sergio era persona conosciuta, quel che si dice in provincia “un personaggio”. Sotto il titolo del trafiletto: “Nel Casalese 470 decessi per mesotelioma”, si scorge un punto di domanda, ovvero: “amianto all’origine del male?”

Quell’interrogativo è intenzionalmente ridicolo. Come ridicoli sono al Sud i punti di domanda sui poteri di sterminio di massa della diossina che si sprigiona dalla spazzatura interrata. Non so se qualcuno si ricorda il “Report” della Gabanelli al proposito, trasmesso da RAI3 lo scorso marzo: io ho scoperto sullo schermo TV pecore orribilmente deformi e pastori prossimi alla morte con la pelle annerita. In quei pascoli qualcuno dice di produrre mozzarelle e Alessandria è una delle capitali nordiche della pizza.
Tornando a Sergio, che il mio amico sia stato ucciso dall’amianto non ci piove. E che nella provincia di Alessandria e in tutta la nazione ci sia amianto un po’ disseminato dappertutto, malamente occultato o come in Campania spesso interrato sotto i pascoli, continua a non pioverci. Se uno girasse con l’elicottero sopra Alessandria città, scoprirebbe che c’è ancora amianto qua e là usato come tegola. Lo smaltimento dell’amianto, giuridicamente messo al bando da quel bel dì dopo aver conteggiato – senza punti interrogativi – le centinaia di morti connesse laddove si era usato in abbondanza, è una delle tante Waterloo di questa povera Italia. Tra le prime che ci possono venire in mente: l’emergenza incendi, quella dei rifiuti che prima o poi tracimerà da Napoli e si allargherà al resto del Bel Paese indifferente, le centinaia di cattedrali del deserto costruite qua e là con l’intreccio fra denaro pubblico e affarismo mafioso. Ce ne sono altre di Waterloo, ma sto di nuovo scantonando e torno a Sergio.
A Sergio che è stato ucciso dal vento. Un vento cattivo come il Santa Ana di un mio ultimo libretto. Mi sto facendo una detestabile pubblicità, me ne rendo conto, ma lo faccio apposta. Perché l’idea di scriverci su me l’ha data più o meno un anno e mezzo fa un geologo mio conoscente che, facendo rilevamenti non so per conto di quale comitato o ente pubblico, mi ha confessato che i venti da ricaduta come il Phön rilasciano tra qui e Casale polverino di amianto. Perché l’amianto, anche quando sta lì a farsene niente, si destruttura e si disperde. E poi arriva il vento. E siamo fottuti. Chi prima, chi dopo. Siccome qualcuno di voi magari pensa che lo scrittore sta delirando e vuole creare allarmismo (qualcuno lo ha ipotizzzato a proposito della mutagenesi del frumento…), cito Bruno Pesce del Comitato Vertenza Amianto che, nello stesso articolo su “La Stampa” di cui sopra, non fa alcun mistero che in questo territorio c’è più polvere di amianto che da altre parti. E, più in là, “ricorda” che il picco di malattie (ovvero, di morti) collegate all’amianto è atteso in Europa per il 2020, ma qui – qui, tra Casale e Alessandria – potrebbe essere toccato molto prima. Il giornale data mercoledì 5 marzo 2008, se qualcuno ha voglia di andare a controllare.
Il vero problema, di cui il mio amico Sergio era ben cosciente, risiede nella media indifferenza statistica dell’animale uomo. In quest’ultima settimana sono stato raggiunto da sette (7) notizie su amici o conoscenti che hanno scoperto di avere una malattia incurabile provocata dall’ambiente. Uno al giorno, tutti più o meno giovani. Però l’indifferenza, questa strana forma autoimposta di estraneità al problema che ci fa pensare: “Finché non tocca a me chissenefrega”, regna sovrana. Perché si nasce, si vive e di qualcosa bisogna pur morire. Eh, no: se l’indifferenza è omicidio, non bisogna starci. Al “destino” qualche volta, anzi tutte le volte che si può, bisogna dare un calcio in culo.
Purtroppo oggi è l’epoca dell’egotismo (una sfumatura più in là dell’egoismo), dello sbattimento di palle, dell’individualismo totale. Su questa base è molto difficile ipotizzare una mobilitazione “pesante” sia sul fronte dei numeri che su quello della qualità contro il problema dell’amianto e della decadenza ambientale. Siccome la speranza è come al solito l’ultima a morire, io al mio amico Sergio prometto di creare allarmismo tutte le volte che posso. Anche perché è ora di smetterla di definire “allarmisti” tutti coloro che sentono nelle narici l’odore dello sterco di madreterra, mentre il mondo si sta facendo un megaclistere. L’ultimo, per inciso.
Concludo con un episodio che vissi in prima persona un bel po’ di anni fa. C’era ancora il veterinario Mutti dalle parti di via Cavour, in Alessandria, pensate un po’, e quindi per i miei concittadini che leggono Carmilla forse sto parlando di un ventennio. Gli portai un gatto bianco moribondo. Lui lo visitò per bene. Mi guardò negli occhi – era un uomo pieno di straordinaria umanità, lui tutti i giorni a contatto con l’animalità – e scrollò la testa. E poi mi fece una domanda che non dimentico: “Ma è un gatto di Casale?”
Io gli risposi di no. E lui, prima di propormi una pietosa iniezione, ribatté:
“Allora è il vento”.
Abbiamo un problema, gente. E sta nell’aria.