di Danilo Arona

GManfredi.jpgHoFreddo.jpgGargoyle Books inaugura una nuova, grande stagione per l’horror italico. E lo fa con uno dei suoi esponenti più illustri, il mitico “Magico Vento” Gianfranco Manfredi che esce in questi giorni in tutte le librerie d’Italia con un’opera destinata a far epoca. Oggi, nell’immediato futuro, e pensiamo più in là. Titolo Ho freddo, con copertina straordinaria e inquietante della Grafema. Il tema, quello prediletto, di casa Gargoyle: il vampirismo, cardine tematico e narrativo del gotico di sempre, specie quello contemporaneo. Ma, attenzione, scordatevi che qui si si scriva di vampiri con look alla Mago Silvan che scorrazzano per Milano o per Roma, o in qualche landa romagnola o piemontese, nell’anno di grazia 2008. Niente affatto: Gianfranco, autore italiano (da rimarcare dato il rimando nella prossima riga), è andato alla caccia del mito proprio nel New England, laddove sappiamo essere nata una vasta porzione di cultura horror che ancora oggi detta regole (dai classici Poe e Lovecraft ai contemporanei Simmons e McCammon, passando per King, il New England Style è ben di più di un riferimento geografico) con titoli sublimi e recenti quali La via oscura e L’inverno della paura.

Ma ricordiamo brevemente chi è Gianfranco Manfredi. Avendone già scritto in diverse occasioni, in qualche modo sarò costretto a ripetermi. Ma intanto prendiamo atto che pure lui (come il New England) è un pezzo d’immaginario della nostra cultura, sia “alta” che “bassa”, ammesso e personalmente non concesso che tali definizioni abbiano ragion d’essere. Gianfranco ha infatti scritto canzoni e cantato, prodotto soggetti e sceneggiature per la più illustre casa di fumetti italiana (Magico Vento e Volto Nascosto nonché diverse storie per Dylan Dog e Tex Willer), facendo anche del sano giornalismo antagonista con un occhio di riguardo alla musica. E i libri, ovvio, non solo horror. Ma nel caso di Manfredi la “definizione” e gli “steccati” di genere hanno veramente pochissimo senso. Menzionando un’intervista di un paio d’anni fa, la sua narrativa si propone come emersione controllata di un inconscio ribollente, sempre in stretto contatto con cinema, fumetto ed enigmi della storia. Ci può stare, ovvio, quel che per comodità chiamiamo “horror”, ma pure i diversi “volti nascosti” della sua vena, dalla commedia nera al surrealismo, dal pre-pulp all’avventura. Senza farsi mai mancare le migliori griffe dell’editoria italiana: Mondadori, Feltrinelli, Anabasi e Marco Tropea. E oggi, Gargoyle, con la quale nel 2006 Manfredi aveva riproposto il suo capolavoro degli anni Settanta, Magia Rossa.
E ora spazio all’intervista.

D. Caro Gianfranco, ci eravamo lasciati nel 2006 con tue – intriganti, direi – anticipazioni su quel che ti frullava per la mente in quel periodo. Parlavi di “radici del romanzo gotico”, di misteriose ricerche sul New England e di una storia terribilmente inquietante, che addirittura ti spaventava… Una storia che volevi scrivere sul luogo di ambientazione, il Rhode Island. Oggi mi ritrovo fra le mani questo straordinario tomo di oltre 500 pagine (che si divorano febbrilmente, ci tengo a sottolinearlo…) che s’intitola Ho freddo. Stiamo parlando di quelle sensazioni che stavano allora prendendo paurosamente corpo?

R. Quello che mi spaventava era scrivere un romanzo incentrato sul tema della Malattia, più esattamente sui malati contagiosi. Non ho mai amato i telefilm ospedalieri e anche l’horror da sala operatoria mi suscita qualche repulsione (persino di fronte a un bel film come il recente Sublime, per esempio). Credo che oggi più che la Morte, a tutti faccia paura la Malattia (con il correlato dell’ospedalizzazione). La malattia di cui tratto nel romanzo è la cosiddetta Consunzione (la spiegazione di cosa si intendesse con questa definizione la lascio al romanzo stesso) che colpiva (dalla fine del settecento alla fine dell’ottocento) soprattutto le giovani donne e i bambini. Secondo le statistiche settecentesche, nella città di Londra, il 20% delle morti avveniva per Consunzione. La malattia cominciava nei nuclei famigliari e li devastava. Ora cosa c’è di più pauroso di una malattia infettiva, e quasi senza rimedio nè possibilità di cura, che colpisce i nostri cari e insieme ce li fa apparire come potenziali pericoli per noi stessi? Quali deliri può suscitare una condizione del genere e a quali abominevoli comportamenti può portare? La “peste vampirica” che nel New England era chiaramente collegata alla Consunzione, ce ne offre esempi più che inquietanti. Si possono coltivare insieme pietà e ferocia? La Storia ci dice di sì.

D. Allora, nel 2006, in piena embrionalità del progetto, sentivi in te una vocina stridula che gracchiava: “Ecco, di queste cose in Italia non frega niente a nessuno”… Sei ancora di questo avviso? Mi auguro, presumo di no. Anzi, sono convinto di no….

R. Devo ringraziare di avere incontrato Paolo De Crescenzo della Gargoyle che ha saputo stimolarmi, perchè da molti anni avevo ormai rinunciato a cercare di convincere gli editori. Ricordi quando il luogo comune recitava che in Italia non eravamo adatti per scrivere romanzi sui serial killer perchè da noi assassini così non esistevano? Prima ancora Scerbanenco aveva dovuto spiegare che “ormai” si potevano anche ambientare dei gialli a Milano, come se ci fosse necessità di giustificarsi. In Italia c’è sempre qualcuno che ti spiega che noi quello che raccontano gli altri scrittori nell’universo mondo, non possiamo consentircelo. C’è sempre una lista pronta di temi proibiti o quanto meno sconsigliati. E il più sconsigliato di tutti è il gotico. Figuriamoci se, come nel mio caso, è stretto parente del “roman philosophique” illuminista. Se proponi idee del genere, ti danno del matto. E se non te lo dicono, comunque lo pensano, basta guardare le facce.

D. Entriamo nel cuore del romanzo Ho freddo. Evitando di anticipare troppo dato che il libro sta giusto uscendo, i tuoi due personaggi principali – i gemelli de Valmont, fratello e sorella esperti in malattie contagiose – dall’Europa giungono alla fine del 1700 nei paraggi della leggendaria Providence. Quasi al loro seguito, una piaga inattesa dove si profanano tombe e si straziano cadaveri… Stai suggerendo che la paura viene sempre “da fuori”? Oppure…

R. E’ giusto l’oppure. Si preferisce sempre pensare che venga da fuori, perchè è un modo per separarla da noi. Bram Stoker mentre stava pensando al suo Dracula era in tournée negli Stati Uniti al seguito di Henry Irving, l’attore di cui era agente. Lesse degli articoli su passati e recenti casi di vampirismo nel Rhode Island: cioè la piaga era qualcosa di contemporaneo, che poi affondasse le sue radici culturali nelle leggende, non inficiava il fatto che le esumazioni e gli scempi dei cadaveri avvenivano davvero, erano episodi di cronaca. Ora: come giustifica il tutto, in via romanzesca, il buon Stoker? Se a Londra le giovani donne si ammalano di vampirismo, la causa è nei Carpazi. Oggi si potrebbe dire: la colpa è dei rumeni. Non che il suo romanzo sia per questo da considerare meno affascinante, però l’assunto ideologico resta sconcertante.

D. Come ha giustamento scritto Loredana Lipperini nella prefazione al libro, Ho freddo è solo in apparenza un libro sui vampiri. Le riflessioni sulla storia, e sulle menzogne costruite a ridosso del divenire, vi abbondano… Un approccio solo trasgressivo? O il Manfredi antagonista vuole magari indagare anche (e ancora) sul potere impazzito e le sue storture…

R. Per molti versi, soprattutto nel finale, il romanzo è assolutamente contemporaneo. D’altro canto non credo ci sia modo di guardare alla Storia se non per scoprirvi le radici di contraddizioni e turbamenti del tutto nostri e attuali. Certo che sono antagonista, per la verità non vedo come si faccia a non esserlo. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili.

D. Ho letto che il tuo impatto, con permanenza, con il New England ti ha confermato quel che la tua immaginazione aveva già in qualche modo preconizzato. Ma che comunque il contatto con quei luoghi ti ha fatto respirare un clima indispensabile per completare il lavoro. E’ un’opzione, a tuo parere, da tenere sempre in considerazione per un autore (italiano) che ambienta i suoi romanzi in posti lontani, famosi, e in qualche modo “mitici”?

R. No, non sempre e non in ogni caso. Però l’esperienza diretta dei luoghi lascia qualcosa di più profondo della semplice lettura dei testi ambientati in quei luoghi. Si esita a viaggiare a volte per pura pigrizia, altre volte per timore di trovare tutto diverso da come lo si era liberamente immaginato e dunque di dover riscrivere da capo o ripensare la storia o l’intero progetto. Non è stato questo il caso, e comunque ho deciso di affrontare il rischio perchè non mi ha mai turbato il dover riscrivere. Io riscrivo una quantità di volte. Certi capitoli di questo romanzo in particolare li ho riscritti almeno venti volte. Altri invece sono venuti quasi di getto. I più faticosi sono quelli dove apparentemente non succede nulla o che potrebbero venire considerati puramente di connessione. Ma è proprio in quei capitoli che bisogna lavorare di più sullo stile. E’ sempre stato così, per me. Alcuni romanzi (non a caso i più riusciti) gli editori hanno dovuto strapparmeli di mano, perchè non la smettevo mai di lavorarci sopra.

D. Concedimi un “botta e risposta” sul bellissimo sito web che fiancheggia il libro, ovvero www.hofreddo.it. Di una bellezza e di una ricchezza così straordinarie da poter senza tema affermare che molti film hollywoodiani ambirebbero averlo… Il trailer quasi filmico di lancio, il video girato da tua figlia Diana, tanti articoli a latere che condiscono con intelligenza, svelando poco o nulla. E’ la prima volta, a mia memoria, che un gotico italiano viene lanciato sul mercato con tanto impegno… Ti attendi il botto da questo libro? O, meglio: ti attendi il botto da un horror?

R. Mah… si spera sempre che il pubblico dei lettori possa affezionarsi a qualcosa di poco abituale. Il successo corrivo non interessa a nessuno. Ho conosciuto scrittori che si sono talmente vergognati (anche ingiustamente) di certi loro successi commerciali, che poi non sono più riusciti a scrivere nulla di buono. Oppure altri che gratificati dai risultati hanno continuato a macchinetta ripetendo la stessa formula, salvo sentirsi frustrati se vengono considerati troppo commerciali dai lettori più attenti e consapevoli. Dunque il “botto” è sempre un rischio: alle volte il petardo ti scoppia in mano. Una cosa è certa, di questo romanzo sono orgoglioso anche per il grande lavoro che ha preceduto, accompagnato e seguito la stesura. Credo questo sia dovuto anche al fatto che Paolo de Crescenzo viene dal cinema, dove è abituale questo genere di impegno che non trascura alcun dettaglio, mentre non è abituale affatto nell’editoria, dove si sforna una tale quantità di titoli che è praticamente impossibile curarli tutti con la dovuta attenzione. Spero che i lettori saranno anche grati per il prezzo (16 euro) straordinariamente contenuto se si considera la mole del libro e l’impeccabile edizione brossurata. La copertina è la migliore che io abbia mai avuto. Il lavoro fatto da Elena Rapisardi per il sito, davvero notevole. Il sito non è una cosa puramente promozionale, è qualcosa di aggiuntivo al romanzo che consente ai lettori approfondamenti e ricerche personali. Il mini-doc e il book trailer sono frutto della perizia di mia figlia Diana, non di un’organizzazione industriale. Basti dire che il trailer mia figlia l’ha realizzato e montato in sole tre o quattro ore. E questo significa che la cosa più importante non sono i soldi, cioè il budget, ma la competenza, l’entusiasmo e la capacità creativa. Questo romanzo ha insomma contagiato molte persone. E l’esperienza di questo lavoro editoriale collettivo cui ho contribuito semplicemente fornendo i materiali è stata davvero importante per me.

D. “Chi ignora il puritanesimo (nella sua rigidità morale, ma anche nei suoi caratteri sovversivi), è molto difficile che possa scrivere degli horror gotici”. Lo hai scritto tu. Dopo Ho freddo, hai qualcosa da aggiungere?

R. Tutti i rivoluzionari hanno finito per diventare, anche quando non lo erano affatto in origine, dei moralisti inveterati. Non si può giustiziare un Re se non si è moralisti. Ma questo non vale soltanto per la Rivoluzione Puritana, vale anche (e l’ho mostrato nel romanzo) anche per la Rivoluzione Francese, e vale per la Rivoluzione Russa (che nel romanzo ovviamente non c’è). Nel gotico classico c’è in più una sorta di tensione spirituale. Più che la Morale, conta la Ricerca della verità, intesa come tensione verso la verità, perchè il mistero (o una buona quota di mistero) resta e questo è l’insegnamento più prezioso. Il guaio è quando si ritiene di possederla, la Verità, perchè a quel punto i rivoluzionari diventano dei persecutori e fondano morali altrettanto ipocrite di quelle che avevano combattuto.

D. Il contagio. Io personalmente non ho dubbi che il contagio sia tra le più efficaci metafore per dipingere il disagio planetario di questi anni. Ho freddo c’invita quindi a volgere lo sguardo indietro per trarre insegnamento dal “Secolo dai Lumi”?

R. E’ più esatto dire dei Lumi al Tramonto. Oggi i lumi sembrano addirittura diventati dei fuochi fatui. Molta gente se ne tiene lontana, perché sembra temere più del buio, l’esposizione alla luce… putacaso ci fosse qualche cecchino che ne approfitta per farti fuori! L’accettabile compromesso, che è Festa per molti, è esporsi alle luci di uno studio televisivo. Beh, io che di Tv ne ho fatta parecchia, vi posso assicurare che le persone che per decenni si sono esposte a quelle letali luci diffuse, hanno una pelle di carta velina, i capelli sfibrati, dal vivo e senza trucco sembrano davvero dei morti viventi. Chiudo qui, perchè ho la tendenza a indulgere nelle metafore e poi non so più dove vado a parare.

D. L’ultima, respira… Perché è quella che ti rivolgerebbero i fan più giovani ed estremi. Perché molti di quelli che in Italia scrivono horror (e horror-gotici) dicono quasi sempre che scrivono “altro”?

R: Per i motivi di cui sopra. Si vergognano. E non si tratta solo della scrittura. Io i film horror li vedo a tarda notte, altrimenti causo le proteste di mia moglie. Credo che anche certi miei amici di una vita sarebbero più imbarazzati nel sorprendermi a vedere certi film horror, piuttosto che nello scoprirmi davanti a un porno. I porno per il senso comune dilagante si possono vedere anche a novant’anni, i film horror chissà perchè sarebbero roba da ragazzini e uno che li vede a sessanta è scemo, salvo poi incazzarsi se tuo figlio di otto anni vede The Ring. Cioè l’ideale di certa gente è che gli horror non li veda nessuno. Non a caso sulle televisioni generaliste non li passano. Il gusto medio che tutti aspirano ad assecondare, rifugge dalle punte espressive, è gusto mediocre di persone che magari su tante altre cose mediocri non sono affatto. Ma il dubbio che si tratti tra l’altro anche di film in cui (oggi in particolare) l’estetica (inclusa l’estetica “cartaginese” o “barbarica” del mostruoso) conta moltissimo, non le sfiora. E’ dunque molto importante che un horror (soprattutto se letterario) abbia uno stile e un contenuto piuttosto elevati, in modo da non prestare il fianco a rifiuti aprioristici e sbrigativi.

Grazie, amico, per la tua sempre generosa pazienza. E che questo bellissimo libro possa scalare le classifiche. Giusto, per respirare un po’ d’aria meno tossica. Io personalmente me ne sono acquistato cinque copie: per mia nipote giovanissima fan dell’horror, per la mia goth band e per il grande Panizza (Gian Maria) che di streghe e vampiri s’intende come pochi altri al mondo. Manfredi tra questi, ça va sans dire