di Francesco De Collibus

DarkKnight.jpgQuesto film è un cazzo di capolavoro. Questo è l’equilibrato giudizio che ho ponderato dopo tre ore con gli occhi sbarrati. Ma veramente tre ore? Sono volate! Mi sono girato e incredulo ripetevo “Cribbio, ma l’avete visto! Che cacchio di capolavoro!”. Dietro di me si alzavano le spalle ” Già. Bel film”.
Uscendo, in quel grande momento di ermeneutica filmica che è la passeggiata verso la macchina con sosta alla toilette, mi affiorano alla mente una miriade di sottoletture. Il mio entusiasmo però non scalfisce la perplessità della gente : “Resta pur sempre un film di Batman. Ci sono gli scoppietti, gli alianti, i razzi, e un pazzoide in tuta nera di silicone”.
C’è da capirli. Dopo una partenza burtonianamente scoppiettante, il brand dell’uomo pipistrello si era abbastanza afflosciato. Fetecchie come Batman e Robin (1) non si dimenticano facilmente, neppure dopo film decenti come Batman Begins. Ma stavolta la funzione mitica del fumetto, la continua reinvenzione di figure archetipe attraverso nuove storie, svela una grande allegoria: la sconfitta della Ragione.

Perchè Batman non è un energumeno un po’ fissato che la notte picchia i criminali, Batman è un problema metafisico. Recitano le didascalie che Bruce Wayne è un atleta di livello olimpico, un maestro supremo di arti marziali, l’investigatore più abile del pianeta, oltre che — già che ci siamo – pure un miliardario ricchissimo (2). Non ha superpoteri, perché non ne ha bisogno, è la sua stessa psiche ad essere superumana:con la sola volontà ha reso reale l’irrazionale. Il suo gigantismo ha aperto ai sogni la porta del reale. Batman, sin dalla scelta del suo animale eponimo, riconosce la propria origine crepuscolare, sa di essere una visione proveniente dal dormiveglia, da quello strano intrecciarsi di sogni e pensieri che precede il sonno. Nel primo film che Nolan ha diretto, Batman Begins, si poneva la complicata genesi del problema Batman. Dopo la tesi, ecco l’antitesi, e che antitesi! Batman getta un batarang di sfida contro la Ragione. In una Gotham City sempre meno di fantasia, e sempre più simile ad una New York con qualche garguglia in più, Batman ha spezzato l’equilibrio e invertito lo scorrere delle cose. Criminali, ladri, assassini, coloro che da sempre incutono paura nei vicoli, adesso hanno paura dei vicoli. La Ragione criminale, la prosecuzione dell’economia con altri mezzi vacilla. Di fronte a Batman, l’uomo nero del rapinatore, il babau nascosto in fondo al vicolo, essa non può che reagire saltando oltre il razionale, fino al Joker.

Gli ultimi anni, a furia di CSI e RIS di Parma, hanno scolpito nell’immaginario popolare una fiducia nelle risorse della scienza, che neppure Comte si sarebbe mai sognato. Tutto ormai lascia tracce, tracce che verranno meticolosamente rintracciate, e tutti hanno una storia, storia che verrà pazientemente ricostruita, basta avere pazienza. C’è sempre una verità attingibile dietro il crimine. Tutto il reale è razionale, per la miseria!

Invece no, il Joker, direbbe De Andrè, è venuto a restituirci un po’ del nostro terrore. Il Joker è nato dagli incubi. Non ha impronte digitali, non ha calchi dentari, non è registrato in nessuna banca dati. Non esiste un posto dove trovarlo (3). Egli non ha un passato, e non si preoccupa certo di avere un futuro. Il Joker come Batman proviene dalla rottura dell’equilibrio, dalla realizzazione dei giganti irrazionali della mente. Nella sua totale assenza di origini (un elemento che colpisce ancora di più in un universo come quello dei comics, ossessionato dal mito fondante della nascita) il Joker ha una sola origine, di cui non fa nessun mistero. Lui è lì perchè c’è Batman.
Egli è – citando il Genna di Hitler – un secondo pezzo di non Essere fuggito nel Reale, attraverso il buco creato dal primo pezzo, Batman.
Batman nega la Ragione, cioè la Ragione criminale, in un modo molto meno pericoloso del Joker. Tu rapinatore vuoi arricchirti con cose che non sono legali e facendo male agli altri? Arrivo io con la mia batmobile nera, le mie arti marziali fighe e il batcostume a impedirtelo. Ma non è possibile, tu non esisti. E io invece esisto. BAM. SOCK. STUMP. E ora non ti uccido, anzi ti consegno alla polizia.
Joker invece fa esplodere la Ragione minandola a partire dal suo più robusto architrave matematico: l’interesse razionale, la Teoria dei Giochi.

La ragion criminale va in frantumi sin dalla prima scena. Il film si apre con un colpo in banca. Una banda di specialisti, mascherati da pagliacci, rapina una cassaforte. Questo è normale, le rapine succedono tutti i giorni. Il bersaglio è la banca della Mafia, la banca che nessuno ha mai osato rapinare prima. Cavoli, la banda incasserà parecchi soldi, e il capo deve essere veramente uno in gamba se osa tanto. Come se non bastasse, ha dato istruzioni ai rapinatori perché eliminino gli altri componenti della banda una volta esaurito il loro compito. Si, è uno spietato, davvero tosto, ma così aumenta l’incasso dei superstiti. Si faranno tanti soldi così, no?
Un bel colpo insomma? Prese singolarmente sono tutte decisioni spietate ma perfettamente razionali. Complessivamente a cosa portano? Alla ricchezza collettiva? No, all’annientamento della banda. Tutti i criminali si ammazzano a vicenda. L’ultimo superstite sfilandosi la maschera rivela di essere proprio il Joker. La Ragion criminale, che esattamente come la Ragione imprenditoriale aveva sempre cercato di massimizzare il proprio profitto, arriva al capolinea, al suicidio.

In una classica strategia, mi converrebbe dividere la torta in meno fette possibili finché posso garantire la mia sopravvivenza personale. Fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te, la morale kantiana e cristiana è così in perfetto equilibrio . Ma se sovraccarico il circuito, se salto semplicemente oltre la Ragione, il sommarsi di tante razionalità sarà l’annientamento collettivo. Alle estreme, turbocapitalistiche conseguenze il sistema implode, come sono implose le banche di Wall Street.

La sconfitta della Ragione è ancora rappresentata nella scena dei traghetti minati, esempio, perfidamente rovesciato, di teoria dei giochi. Ci sono due traghetti in fuga dalla città carichi di persone. In una nave ci sono carcerati. Nell’altra ci sono cittadini “normali”. Il Joker ha minato entrambe le navi, e ha consegnato a ciascuno il detonatore dell’altra nave. La prima che farà saltare l’altra sarà al sicuro. Alla mezzanotte, se nessuno avrà premuto il grilletto, entrambe le navi esploderanno.
E’ il famoso dilemma del prigioniero. Se nessuno dei due confessa, a una certa ora entrambi ne trarranno beneficio. Però in questo caso il beneficio non c’è, le navi esploderanno entrambe. Per il Joker non esistono situazioni win win. Sono tutte situazioni lose. Von Neumann si rivolta nella tomba, Nash, che è vivo, si rivolta e basta. Che strategia devo adottare se anziché perseguire il mio interesse razionale, voglio solo veder bruciare il mondo, e che succede se ottengo il risultato con perfetta lucidità?

Perché il Joker non agisce a vanvera. Le sue trame sono semplicemente perfette. L’agente del Caos è colui che agisce nella maniera più precisa e risoluta possibile. Sono gli altri, coloro che ancora anacronisticamente si aggrappano alla fiducia nella Ragione a essere incerti, deboli, disorientati.

Altra scena memorabile. Siamo nella stiva di una vecchia nave, tipico scenario da malavita, dove Joker ha ammassato il suo bottino. Un altissimo trono di banconote. Gli altri capibanda aspettano solo di acclamarlo come nuovo Re del crimine. Immaginiamo che il Pinguino, boss di terza tacca,
capobastone rancoroso a cui rubavano la merendina alle medie, ci sarebbe salito di corsa su quel trono, e avrebbe gongolato: guardatemi ora sono uno importante, vero?(4) Ma non il Joker. Lui brucia il trono di denaro. Gli altri criminali semplicemente non capiscono. Erano convinti di trovarsi di fronte a un gangster che ama rischiare, innovativo, schumpeteriano addirittura… Invece chi trovano sotto la maschera del Joker? Chi se non l’archetipo del terrorista? Archetipo perché non ha neppure bisogno di una motivazione. Non ci sono torti da vendicare né popoli a cui restituire la libertà, né convinzioni religiose o politiche. C’è solo la bellezza della fiamma che consuma il mondo.

Il vecchio mafioso alza le braccia : “Basta — dice – io mi tiro fuori da questa follia”. Ma è troppo tardi. Non ci sono più rifugi sicuri contro la follia che ormai è arrivata dappertutto.
Ma chi ha aperto ai nemici della Ragione le porte del reale? Batman. Batman ha cambiato le regole, egli ha spalancato all’irreale la strada del Reale. Il Joker è davvero fratello legittimo di Batman. Per questo Batman, quando ha il Joker davanti indifeso, e ha finalmente la possibilità di investirlo con la moto e ucciderlo, non lo fa. Non lo fa perché non può farlo, e non c’entra il voto di non-uccidere del super-eroe: semplicemente Batman non può eliminare chi è fatto, come lui, della stessa sostanza dei sogni.
La battaglia tra Batman e il Joker si combatte solo metaforicamente con pugni e inseguimenti, in realtà lo scontro si gioca tutto sul filo dell’anima di Harvey Dent

Harvey Dent non appartiene all’irrazionale onirico, come Joker e il Batman. Egli è biondo, bello, ma soprattutto reale. Potrebbe portare l’ordine dentro le regole nelle ore diurne, in maniera efficiente e secondo la legge. Non ci sarebbe bisogno di sognare vendicatori miliardari dentro automobili a reazione per fare andare meglio le cose, i giganti della mente tornerebbero tra le montagne della psiche.
Dent non è neppure perfetto, anzi tutt’altro. Ha un’ossessione – ancora dentro i limiti – per le monete e il caso, è sicuro di sé, persino un po’ spaccone, ma – soprattutto – sta con Rachel, la donna che Bruce Wayne, l’ultimo brandello di realtà dentro Batman, ama fino alla follia.
Ma l’Essere, la razionalità, cioè Harvey Dent, vale qualsiasi prezzo. Harvey Dent è il risveglio di Bruce Wayne dal sogno di Batman, la possibilità di poter trovare il bene fuori dal sogno, fuori dall’allucinazione di un miliardario vestito da pipistrello. Batman sacrifica tutto per lui. Il Joker lo costringe a un ulteriore salto nell’irrazionale, un salto mortale. Deve scegliere se salvare Rachel, la donna che ama, oppure Dent, colui che gli ha rubato Rachel.
La scelta pare scontata a tutti, persino a Rachel. Ma non sarà quella la scelta di Batman. Ed è qui che un bel film diventa un capolavoro

Batman paga il terribile prezzo. Sceglie Dent e sacrifica Rachel. Ma il prezzo pagato è eccessivo per Dent stesso. Dent si trasforma, perde la consistenza del reale e salta anch’egli nell’irrazionale. Diventa un personaggio onirico, Due Facce. La sua metamorfosi – di cui il volto sfregiato è solo uno stigma esteriore – avviene durante una scena che è un’orgia visiva di irrazionale, una delle più allucinanti che si siano mai viste al cinema.
Il Joker, vestito da infermiera, fa esplodere un intero ospedale alle sue spalle, senza nessun motivo particolare.

Aver contagiato con la follia Dent ed essere riuscito a trasformarlo in un’allucinazione mostruosa è il sigillo del trionfo totale del Joker. L’ultima cosa da fare per Batman è un’agiografia posticcia del simbolo sconfitto, un panegirico funebre di un uomo morto in un’autocombustione di irrazionalità. Una prolusione funebre: solo da morti le allucinazioni scompaiono, e si può tornare a illudersi di essere stati buoni davvero. Non c’è speranza, solo l’ipocrisia può salvare l’America post-moderna travolta dalla negazione della Ragione, un’America dove persino l’aristocrazia WASP è costretta a indossare di notte tute aderenti da pipistrello (6). La stessa ipocrisia è elargita a profusione dal maggiordomo Alfred – è mai esistito qualcosa di più WASP di un maggiordomo? — quando di fronte a Bruce Wayne che si rammarica dell’amore perduto, Rachel, brucia l’ultima lettera in cui la poveretta confessava di amare un altro. E’ meglio ricordarli così, no? Tanto brave persone.

Ma la follia è contagiosa, è impossibile mischiarcisi e uscirne puliti. Persino Gordon, un bravo poliziotto che la sera torna a casa dalla moglie, nel momento in cui sceglie di accendere di nuovo il Bat Segnale e richiamare i demoni della notte si è tagliato alle spalle i ponti del reale. L’irrazionale contamina anche la sua casetta e la famigliola, li minaccia di morte. Il bravo poliziotto, l’onesto cittadino deve così morire di una morte simulata, simbolica, rituale, per poter rinascere come Commissario Gordon, il famiglio di Batman, il mediatore tra razionale e irrazionale, reale ed onirico.

In conclusione: tutti questi temi sono stati già affrontati negli anni in diversi albi di Batman, per mano di bravissimi autori. Tuttavia aver visto tutta questa polpa condensata in un singolo film così bello, diretto magistralmente e recitato ancora meglio, mi fa affermare con tranquillità che siamo di fronte a un capolavoro. Anzi, a un cazzo di capolavoro.

1) Da governatore della California, Schwarzenegger può fare sicuramente molti meno danni al mondo di quanti ne abbia fatti recitando.
2) Tutto questo, pensate, senza neppure avere tre televisioni. Volete vedere che domani Berlusconi vende Mediaset e si compra la DC comics?
3) Rintracciarlo in realtà è possibile, e infatti Batman lo fa ma solo al prezzo di un patto con il Diavolo, la compromissione con una follia ancora più grande: il controllo totale attraverso la rete di telefonia cellulare. Il Joker è come il banco, vince sempre e comunque.
4) Povero astioso Pinguino, pieno di invidie e complessi di inferiorità.
5) Ne Il camorrista di Tornatore c’è una scena in cui gli uomini del Professore, per entrare a parlare con la banda nemica, si imbottiscono di dinamite. Questo dimostra ai nemici che hanno “i palle”, che non temono di rischiare la vita. Riescono così a parlare con i capi del clan rivale. Ovviamente se si facessero semplicemente saltare in aria non sarebbero ritenuti dagli altri criminali gente con “i palle”, ma tutt’al più gente “for’e capa”. L’inadeguatezza culturale dei criminali convenzionali a trattare con il Joker è davvero la stessa che avrebbe avuto Provenzano se avesse fatto affari con Al Zarkawi.
6) O a frugare grotta per grotta in Afghanistan inseguendo spilungoni con la barba.