di Tito Pulsinelli

Ossezia.jpgAll’operazione militare di Mosca, finora l’asse Stati Uniti-Unione Europea (UE), che si raggruppa sotto le vetuste bandiere della NATO, ha risposto con parecchia lentezza e confusione. La Russia si posiziona strategicamente tra il Mar Nero e il mar Caspio, diventando l’arbitro di flussi energetici di straordinaria importanza per i mercati “occidentali”.
La NATO ha nella mira le 25 miliardi di tonnellate metriche di gas, e i 200 miliardi di barili di petrolio dei giacimenti che si affacciano sul litorale del Caspio. Le compagnie petrolifere anglo-USA avevano scelto la Georgia come via principale di accesso e transito di queste risorse. L’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan è una prima tangibile arteria, che unisce l’Europa alle fonti energetiche asiatiche.

Il gioco d’azzardo imposto al “rivoluzionaro colorato” georgiano, si sta rivelando come un bluff di poker contro i maestri degli scacchi. Sembra chiaro che la Russia non mollerà il controllo di porti, vie di comunicazione e zone nevralgiche, dichiarate zone proibite ai voli aerei. La Georgia è in ginocchio, e don Mikhail Shaakasvili ha dovuto persino rinunciare a participare ad un vertice di Paesi-amici “…perchè i russi ne aprofiterebbero e non mi farebbero rientrare in patria” (sic).
Nel frattempo, l’Ossezia del sud e l’Abkhazia gli dicono adios, e sono disponibili ad ospitare basi militari russe, come misura protettiva della loro indipendenza contro le ritorsioni georgiane e dei suoi guardaspalle stranieri.

Gli USA-UE hanno risposto con una intensa guerra propagandistica, campo di battaglia in cui sono maestri, e la stanno vincendo. Ma al di là della prosa veemente di Bernard Henry Levy, riprodotta e amplificata dalla catena di montaggio dell’informazione seriale, non c’è altro.
Nemmeno i vertici, sfuggono all’impressione di una cacofonia in cui vengono smentite bellicose dichiarazioni -o minacce di sanzioni- nel giro di solo ventiquattro ore. La questione principale è che l’ “occidente” è una categoria geopolitica assai datata, fuorviante, quasi un vuoto a perdere che non riesce più a camuffare gli interessi divergenti tra Stati Uniti e UE, e tra “vecchia Europa” e i pesi piuma del Baltico.

Al di là del livelo mediatico, nella realtà concreta ci sono solo alcune unità navali dotate di missili adibite al trasporto di soccorsi ai georgiani, e un editto della NATO che —attribuendosi funzioni che appartengono all’ONU- asserisce che “il riconoscimento dell’indipendenza dell’Ossezia e della Abkhazia mette la Russia fuori della legge internazionale”.
La Russia è “fuorilegge” più o meno quanto lo sono i Paesi che hanno riconosciuto il separatismo del Kosovo, tra cui l’Italia. Esibizionismo schizofrenico da un pulpito campione dei due pesi e due misure, una per i Balcani e l’altra —di segno opposto- per il Caucaso. Ma continua a trasparire una certa impotenza.

La minaccia della NATO di estromettere Mosca dai suoi consessi marziali, infatti, la lascia imperturbabile. Anzi, rilanciano che loro potrebbero vietare alla NATO l’uso del territorio russo, da cui oggi passano i rifornimenti alle armate impegnate in Afganistan.
Questo sarebbe un colpo duro, perchè obbligherebbe a far ricorso a più complicati e costosi ponti aerei, che aumenterebbero considerevolmente i costi già insostenibili della “guerra antiterrorista”.
E salterebbero anche i buoni uffici che interpongono con l’Iran e la Corea del nord nell’annoso contenzioso della questione nucleare. Un rebus di difficile soluzione per gli “occidentali”, dilaniati tra vulnerabità energetica e sanzioni che non sortiscono gli effetti sperati, oltre la levitazione dei prezzi degli idrocarburi o l’insicurezza dei rifornimenti.

Il futuro della NATO come braccio armato USA-UE è ormai a un punto critico, in primo luogo perchè gli interessi materiali delle due sponde atlantiche non coincidono con l’automatismo costante e invariabile del passato. Il futuro della coalizione militare si sta giocando in Afganistan, dove le cose non vanno bene, e si apre la discussione sulla sua funzione, e sul carattere offensivo con cui sta sconfinando verso l’infinito geopolitico.
In questa fase, inoltre, sono gli USA ad aver più bisogno dell’UE per effettuare trasfusioni finanziarie dalla Banca Centrale Europea
all’economia cartacea di Wall Street. Nonchè come testa di ponte permanente contro il resto del mondo: l’eterna e avita terza sponda.

La posta in palio dell’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan presto farà affiorare i contrasti inter-europei, in cui Germania e Francia —al di là dello spettacolo diplomatico- difenderanno interessi più immediati e concreti contro le intemperanze polacche. Alla fine, parafrasando Stalin, diranno “quanto Prodotto Interno Lordo producono Varsavia e i valvassini baltici?”
La signora Merkel, in un mondo interdipendente, non butterà dalla finestra il consorzio gasifero russo-germanico presieduto dall’ex collega Schroeder. Quanto a tuti gli altri, il rigore del freddo che si produsse un paio d’anni fa con un semplice giro di rubinetti, farà accantonare ogni proposito bellicoso di ritorsioni o sanzioni. A meno che l’indipendenza energetica possa garantirla “l’alleato americano”.

La ventilata minaccia di estromettere la Russia dal G7 è cosa aleatoria, di status, visto che ormai non rappresenta più le maggiori economie del pianeta. Non rispecchia la nuova realtà emergente perchè esclude l’India e il Brasile, e con la Cina i russi hanno già vincoli saldi —anche militari- nel Patto di Shangai (SCO). Il FMI, Banca Mondiale ed anche l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) non sono che l’ombra delle grandi istituzioni che furono nella recente era globalitaria.
L’exploit retorico del giovane ministro degli esteri britannico Milibrand, partito lancia in resta in Ucrania per organizzare un crociata anti-russa, è in realtà una voce bianca dissonante. L’oratoria incendiaria di Milibrand non è una risposta valida alla necessità di una maggiore coerenza ed autonomia dell’UE, in vista del vertice bilaterale del 16 di settembre per un nuovo “parteneriato strategico” con la Russia.
L’UE dovrebbe finalmente parlare con voce propria, senza maschera “occidentale” o la lingua biforcuta dell’alter ego atlantista.

L’onda espansiva della NATO nella regione del Mar Nero ha incontrato un muro di contenzione solido. L’accelerazione dei tempi per l’entrata della NATO in Ucraina è una decisione volontarista che non otterrebbe l’espulsione dei russi dalla cruciale zona marittima.
Il “rivoluzionario colorato” che guida provvisoriamente l’Ucraina pagherebbe con una secessione di grande proporzione tale imposizione dall’alto. La regione mineraria se ne andrebbe, e la flotta russa rinsalderebbe la sua presenza nel Mar Nero ben oltre il 2017. E in una zona più vasta di Sebastopoli, che comprenderebbe la costa dell’Abkhazia e il porto georgiano di Poti.

Le forzature della NATO, sono dettate dall’incalzare di una crisi multi-fattoriale, ma non riesce a cambiare la relazione globale delle forze in campo. Sono mosse reattive improntate a un verticismo dispotico che lascia dietro di sè società in convulsione. I nuovi Paesi che “aderiscono” soffrono fratture tra elites e società civile, e sono esposti a frammentazioni territoriali o separatismi. E permane un dato incancellabile e inalterabile: la Russia ha tutto quel che manca agli “occidentali”, cioè il petrolio, gas, materie prime e un gran mercato.

La NATO può essere l’asso pigliatutto? Non sembra, visto che il bilancio del militarismo espansionista dei neocons seppellisce questa illusione che cova sotto la cenere delle buone maniere diplomatiche. L’egemonia “occidentale”, è in affanno soprattutto per la serie di contraccolpi degli Stati Uniti: moneta in picchiata, sistema bancario in bancarotta, economia in “accelerata decelerazione”, superiorità militare che però non riesce ad essere risolutiva. E’ illusorio credere che il terreno perduto in molti campi sia recuperabile solo con la bellicosità atlantista.

Il dispiegamento anti-missilistico in terra polacca e ceca, è stato imposto senza consenso sociale, e lascia due Paesi seriamente divisi in fazioni contrapposte. C’è da chiedersi se è un prezzo che vale la pena di pagare, visto che aumenta la vulnerabilità interna e non conferisce nessun vantaggio risolutivo agli “occidentali”.
La Russia, infatti, dà una immediatamente risposta, dotando di armi nucleari la flotta del mar Baltico stanziata a Kaliningrad, e con la Bielorussia avvia un sistema di difesa anti-aerea congiunto.

Bruxelles dovrebbe valutare perchè contro l’azione militare della Russia è stato impossibile attivare il GUAM ( alleanza militare tra Georgia, Ucraina, Azerbaygian e Moldavia), strumento delle multinazionali petrolifere anglo-USA per la salvaguardia dei corridoi energetici. E non è stato possibile varare nemmeno una di quelle consuete operazioni “umanitarie” —in cui l’Italia si distingue con forte presenzialismo- istallate dall’ONU in vari territori, dove si cerca di ottenere con altri mezzi quel che è stato impossibile agli eserciti.

La Russia non è isolata e non è isolabile. Nelle ultime due settimane la Turchia, la Giordania e la Siria non hanno avuto nessun problema a firmare accordi con Medvedev. La Russia non ha più le “pezze al culo”, ha potuto agire fulmineamente e con fermezza perchè ha un progetto nazionale in cui si identifica la maggioranza della società civile, che mostra coesione e consapevolezza. Sarebbe saggio prenderne atto. Come pure non ignorare la geografia, la tradizione, l’economia e la cultura che ci segnalano la cooperazione e trasparenza come via maestra più conveniente all’UE. E’ ormai una priorità strategica evitare che potenze extra-continentali continuino a combattere le loro guerre sul suolo europeo.

Vale la pena riflettere sulla sorte dell’Unione Sovietica, collassata sotto il peso di spese militari crescenti, alla ricerca dell’impossibile egemonismo assoluto. C’è il dubbio che ora si stiano invertendo i ruoli e i falchi di Washington sono caduti in trappola. Li si induce a battersi su molti fronti, a svenarsi con incontenibili spese militari per ristabilire l’impossibile egemonismo unipolare. Trapelato nella fulminea stagione post-89 e tramontato perchè gli Stati Uniti non hanno saputo proporre al mondo un nuovo modello di relazioni globali, che riservasse loro un posto di riguardo.
Hano scelto di sognare ad occhi aperti, immaginandosi nella fase in cui Roma da repubblica diventava impero, ed hanno cercato di imporre la necrofora dittatura globalitaria e il fanatismo estremista del “o con me o contro di me”.