eisenstein.jpg

di Dziga Cacace

91-Un cuore in inverno di Claude Sautet, Francia 1992

Bello, ma di una freddezza… (Vhs)

92-2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, Gran Bretagna 1968

Drammatica visione sullo schermo mignon del Lumière. Comunque bellissimo, anche se sfuocato e mutilo. (Cineclub Lumière; 16/2/96)


93-Fragola e cioccolato di Tomàs Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabìo, Cuba/Messico/Spagna 1993

Divertente ritratto di Cuba, vent’anni fa, quando nella macha revolucion non c’era posto per gli omosessuali (dubitando sinceramente che le cose siano cambiate). Anche se il ritratto del gay, protagonista principale, è piuttosto di maniera (vocine, mossette etc.), la vicenda è ben sostenuta da una ricca galleria di personaggi. Bravi gli attori e bella e decadente l’Avana. (Cineclub Lumière)

94-Guantanamera di Tomàs Gutierrez Alea e Juan Carlos Tabìo, Cuba/Spagna/Germania 1995

Come per il precedente Fragola e cioccolato, anche qui velate critiche al regime e ai suoi burocrati zelanti e ottusi: una sorta di critica interna che però non sembra particolarmente incisiva; insomma è colpa di qualche pasticcione se le cose non funzionano e il regime, alla fine, ne esce inscalfito. Politicamente, quindi, molto criticabile per questa sorta di giustificazionismo (peraltro il film è stato osteggiato dalla censura cubana, il che la dice lunga sulla situazione) ma in fondo, a me, che me frega? Stilisticamente il film è carino e ben recitato. Rispetto a Fragole e cioccolato interviene anche una dimensione magica che rende il tutto più rotondo, se mi si concede il termine. Bellissima, claro que sí!, la musica. (Cineclub Lumière; 26/2/96)

95-Il demone sotto la pelle di David Cronenberg, Canada 1975

Pellicola rarissima di proprietà del Lumière: il primo visionario, ironico, trucissimo film di Cronenberg. Se visto dopo cena, come nel mio caso, riesce anche a espletare un’efficace funzione digestiva. (Cineclub Lumière; 28/2/96)

96-Che fine ha fatto Baby Jane? di Robert Aldrich, USA 1962

Gran film con diversi motivi d’interesse. Molto intrigante è la costruzione dello spazio interno della casa di Blanche e Jane Hudson: l’arredamento è “pesante”, ogni angolo della casa è occupato da oggetti di svariate provenienze artistiche in una babele di stili: rococò, art nouveau, stile impero etc. È un tripudio di specchiere, baldacchini, abat-jour, ringhiere, armadi e comodini che soffocano lo spazio profilmico (evvai!). Anche la luce è utilizzata in modo molto interessante: è una luce secca che privilegia il chiaroscuro, violenta e contrastata. In contrapposizione, il mondo di fuori – separato da casa Hudson da un simbolico e pesante cancello in ferro battuto e da grate alle finestre – è luminoso e solare; l’architettura è moderna e pulita, lineare e spaziosa. Il film è estremamente godibile anche per le straordinarie prove recitative di Betty Davis e di Joan Crawford, per la tensione sapientemente distribuita durante tutto l’arco del film e per lo spiazzante finale (che tristezza però gli inserti girati in studio; suvvia, un po’ di buon gusto, eh!). Bello. (Vhs)

97-Aleksandr Nevskij di Sergej M. Ejzenštejn, URSS 1938

Epico film nel quale i cavalieri teutonici portano una vetusta, ma riconoscibile, versione del Fritz Helmet. In realtà, ai fini valutativi, che il film abbia o meno funzioni politiche mi frega assai: a parte lo svarione sopracitato, la ricostruzione storica sembra molto curata sia nei costumi sia nell’iconografia vichinga. Belle le scene della battaglia sul ghiaccio (alcune parti, però, sono riprese in studio, altre, velocizzate, forniscono un involontario effetto “ridolini”) e in generale quelle di massa. Ravviso però un’inusitata rigidità di movimento nella cinepresa: gli unici movimenti di camera si hanno nelle scene del trionfo finale; non so quanto fosse una scelta registica (o una scelta dettata da esigenze produttive) ma, giocoforza, Ejzenštejn cura molto la composizione interna delle singole inquadrature. Il montaggio è molto impreciso (probabilmente è un difetto della copia, boh) e anche qui il regista risolve grazie al montaggio interno. Recitazione retorica e stilizzata. Per me non è il miglior Ejzenštejn, ma è comunque esaltante. (Vhs)

98-Strange Days di Kathryn Bigelow, USA 1995

Riflessione d’obbligo: esco dal film con la sensazione di aver assistito a una delle espressioni visive più potenti degli ultimi (dieci) anni… eppure permane un senso di non appagamento. Questo poteva essere il Blade Runner degli anni Novanta e invece mi sembra un’occasione mancata: l’allestimento, la fotografia, la musica, il montaggio, i vertiginosi movimenti di camera e il ritmo narrativo sono tutti a un livello stratosferico; lo spettatore è letteralmente assalito e schiacciato alla poltrona dalla regia aggressiva… ed è il confronto con questo terrificante impatto, con la minuziosa cura dei dettagli (in due inquadrature è costruito lo spazio della discoteca) o con una regia che non esita a citare Welles (dal pianosequenza iniziale fino al confronto finale tra gli specchi), che fa risaltare le pecche di una sceneggiatura che zoppica vistosamente a livello di dialoghi e che, non appena punta più in alto, frana nel patetico. E che dire della disarmante spiegazione finale dopo la lenta e sapiente costruzione del mistero? Bah! Idiosincrasie di Cacace: il metodo Foster. Uno degli altri motivi di irritazione è stato fornito dalla recitazione della Bassett, un autentico profluvio di espressioni facciali, scuola Jodie Foster, a significare qualunque travaglio interiore, il tutto condito da un’insopportabile mimica gestuale mutuata da MTV (mimica che, non bastasse quella che noi italiani già abbiamo, sta invadendo il Belpaese insieme al famigerato fu-fu di D’Alema). E ci si chiede perché l’attore americano e il regista che lo dirige continuino a confondere la quantità con la qualità, come se le facce di pietra di Sautet non fossero molto, molto più espressive con pochi ma appropriati registri interpretativi. O.K., fine polemica. Tornando al film ammorbidisco un po’ le prese di posizione: tanti difetti ma, nonostante tutto, il miglior film della stagione con Underground. Comunque PECCATO, cazzo! (Cinema Verdi)

99-Blue Steel di Kathryn Bigelow, USA 1990

Decisamente deludente: ritmo scarso e dialoghi da seminfermità mentale. Nessuna scena memorabile; si possono ricordare solo alcune riprese aeree notturne di Manhattan (Pan Am, Chrysler etc.) e la scena finale, con una visione diurna di una New York quasi metafisica (quasi Jost, no?). Comunque MOLTO PECCATO, cazzo! (Vhs)

100-Notorius di Alfred Hitchcock, USA 1946

E vabbeh: vergogna che non lo avevi già visto e bla, bla, bla. Fosse solo questo il classico che non ho ancora visto. Bel bacio. (Vhs)

101-La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, USA 1954

Eh sí, stupendo: shame on Cacace che ha aspettato 26 anni per vederlo… A una intervistatrice, che confessava di non avere mai visto un film di Mizoguchi, Wenders rispondeva che, no!, era fortunatissima: poteva ancora vederli tutti. Beato Cacace che non ha mai visto né Mizoguchi, né Ozu né chissà quanti altri. (Vhs)

102-Il postino di Michael Radford, Italia 1994

Decoroso filmetto investito di responsabilità per la morte del caro Massimo. Il povero, vero, regista è stato anche defraudato della totale paternità del lavoro, ma non so chi ci perda realmente, se Troisi o Radford. Il film si fa vedere e ti obbliga alla lacrimuccia finale; il ricordo di Troisi, poi, fa il resto. (Vhs)

103-Il colore della notte di George Pan Cosmatos, USA 1994

Agghiacciante e sconclusionato: un Bruce Willis, poco credibile psicanalista dai bicipiti più gonfi del cervello, vuole capire chi ha ucciso un collega amico suo. Con tempestività professionale se ne accolla i pazienti (una galleria di personaggi ridicoli, tra cui il pur bravo Brad Dourif, incapace di recitare un qualunque ruolo che non sia quello del disturbato mentale) e inizia un’indagine che avrà sviluppi al confine del ridicolo. Patetico il thrilling, falsamente hard le scene di sesso, penosi i dialoghi. E la presunta strafiga Jane March ha pure due incisivi che sembra Bugs Bunny. Uno stupro cinematografico assolutamente orrendo. (Vhs)

104-Sfida infernale di John Ford, USA 1946

Che mi venga un colpo! Bellissimo e classico. (Cineclub Lumière; 14/3/96)

105-La paura di Roberto Rossellini, Italia 1954

Originale e interessante, per quanto niente di trascendentale. (Cineclub Lumière; 13/3/96)

106-Tobacco Road di John Ford, USA 1941

Racconto un po’ sgangherato di una famiglia di poveri contadini che deve lasciare la sua terra. Il film oscilla tra la commedia (la famiglia è un’accozzaglia di personaggi stravaganti e poco credibili) e momenti più toccanti come l’intenso, lirico finale. Sostanzialmente piacevole. (Cineclub Lumière; 19/3/96)

107-The Grapes of Wrath di John Ford, USA 1940

Furore in versione originale e senza sottotitoli: nonostante lo yankee stretto me lo sono proprio goduto. La dolorosa epopea di una famiglia stretta dalla crisi degli anni Venti, in fuga dalla miseria e dalla fame. La ricerca di terre dove lavorare e condurre un’esistenza più dignitosa è raccontata con piglio democratico e sincerità, ma non mancano coinvolgenti scene madri e stupendi, intensi primi piani: bellissimo. (Cineclub Lumière; 19/3/96)

108-Il portiere di notte di Liliana Cavani, Italia 1974

Parziale delusione: se il soggetto e la costruzione sono abbastanza convincenti, lo è meno la realizzazione. Certe invenzioni stilistiche m’irritano alquanto: almeno mettiamo dritto il treppiede della cinepresa, cacchio. La Rampling era, comunque, bellissima. Solito ruolo di pervertito per Bogarde. (Vhs)

109/110/111-Il golem di Paul Wegener e Carl Boese, Germania 1920

Visto ripetutamente per motivi di servizio. Spesso sottovalutato, è invece ben costruito, divertente ed estremamente interessante per il lavoro di Poelzig. Per Biraghi (docente che ha brillantemente “introdotto”) non è un film espressionista. Certo, è un musical. Bravo Sogliani, the voice. (Vhs e Cineclub Lumière; 21 e 22/5/96)
P.s. del 2001: il 15 maggio, al Lumière ho visto anche Il gabinetto del Dottor Caligari di Robert Wiene, Germania 1920, ma non l’ho contabilizzato perché non ho voglia di rinumerare tutti i film e riscrivere gli elenchi, te capì?

112-Aelita di Yakov Protazanov, URSS 1924

Fantascienza sovietica! Propaganda politica e costruttivismo mescolati in una originale forma di agit-prop. Sconclusionato (nella confusione della trama spicca il tentativo di rivoluzione socialista su Marte) ma tutto sommato divertente. Particolarmente interessanti le scenografie. (Vhs)

113-Accadde domani di René Clair, USA 1943

Perfetto! Estremamente godibile: i tempi della commedia sono azzeccatissimi e la sceneggiatura fila a meraviglia. Certo, il realismo sociale o il sovversivo surrealismo del periodo francese sono seppelliti dalla professionalità ma, cacchio, si cresce, si cambia, no? (Vhs)

114-Ombre rosse di John Ford, USA 1939

Per fortuna che non l’avevo visto prima in televisione, perché scoprirlo sul grande schermo è stata un’autentica esperienza. Stupendo. (Cineclub Lumière; 28/3/96)

115/116-Metropolis di Fritz Lang, Germania 1926

“Su Metropolis è stato detto e scritto moltissimo fino a diventare un luogo comune”. Se lo dice il mio relatore di tesi meglio evitare commenti luogocomunisti. Comunque bellissimo, anche nella versione colorata da Moroder e musicata con 2 pezzi discreti e con tanto ciarpame “sintetico” anni Ottanta. (Vhs e Cineclub Lumière; 8/5/96)

117-Frankenstein junior di Mel Brooks, USA 1974

Hilda ha perfino riso in più di una scena. Significa che il film è esilarante. (Vhs)

118-È colpa del sole di Alberto Moravia, Italia 1951

Fuori Orario regala questa inaspettata chicca: l’unico film di Moravia. Opera strana e intrigante: dura un quarto d’ora ma è ricca di spunti e di una certa ironia. Sorpresa. (Vhs)

119-Jesus Christ Superstar di Norman Jewison, USA 1973

Gioiosamente anni Settanta, datato etc., etc. ma la musica è semplicemente straordinaria, le location sono superbe e l’allestimento è originale e pieno d’invenzioni. Per cui, perdonando quegli zoom tipo missile, FONDAMENTALE. Altro che quella sciocchezzuola ipocrita e commerciale di Hair. (Diretta TV; 4/4/96)

120-Il palloncino bianco di Jafar Panahi, Iran 1995

Non è precisamente il mio tipo di cinema ma devo ammettere di avere apprezzato l’estrema sobrietà del racconto e la straordinaria purezza delle immagini, nonostante la palpebra, nei primi trenta minuti, abbia vacillato (a proposito dell’“abbiocco iraniano” vedi anche la recensione n°241). Certo, la bimba piagnucolosa meritava una raffica di ceffoni (ha ragione Pier), ma il film sarebbe durato solo dieci minuti: via!, diamole ‘sto pesciazzo! (Cineclub Lumière; 3/4/96)

121-Il Decameron di Pier Paolo Pasolini, Italia/Francia/Repubblica Federale Tedesca 1971

Bello! Molto intelligenti la definizione dello spazio attraverso l’utilizzo di campo e controcampo e l’autocitazione nel pittore che affresca Santa Chiara a Napoli e studia i personaggi della sua rappresentazione, guardandoli con un ideale obbiettivo. Molto belle le location (i vicoli di Napoli, il Vesuvio, Amalfi, Ravello e le nordiche Bolzano e Bressanone), la composizione pittorica degli interni, la fotografia (cromaticamente accesa) e divertenti (ma c’è bisogno di ricordarlo?) le novelle del Boccaccio (ma non fare il figo, dài…), anche se alcuni episodi sono risolti meglio di altri. In ogni modo, decisamente appagante. (Vhs; 5/4/96)

122-Il fiore delle mille e una notte di Pier Paolo Pasolini, Italia/Francia 1974

Architetture fantastiche! Sembra un tour attraverso il terzo mondo e le sue bellezze: dallo Yemen all’Eritrea al Nepal; tutto è inquadrato schiacciando l’uomo sullo base dello schermo (vedi Sana – o come cazzo si scrive: Hilda sukkia) dando risalto a paesaggi e monumenti. Di nuovo campo e controcampo per definire la profondità spaziale, mentre per gli interni, invece, c’è una ricerca scenografica notevole: nel Decameron erano spogli e poveri, qui sono ricchi e coloratissimi. Narrativamente il film è un po’ sfilacciato (l’episodio di Aziz/Davoli sembra girato apposta per far vedere Sana) e risente del diverso valore degli episodi, ma il risultato e la concatenazione degli eventi rendono la visione estremamente godibile. Una considerazione su Citti che, come nel Decameron, anche qui fa il disgraziato: Accattò, dacce soddisfazione! (Vhs; 6/4/96)

123-Il giorno della prima di Close Up di Nanni Moretti, Italia 1996

Cinque minuti di goduria. Grazie Nanni. (Cineclub Lumière; 3/4/96)

124-55 giorni a Pechino di Nicholas Ray, USA 1962

Polpettone storico con sontuosa ricostruzione della Cina della rivolta dei Boxer. Stroncato dal piccolo schermo ma anche dalla narrazione un po’ pallosa; ce so’ cascato, aho. (Diretta TV; 7/4/96)

125-Johnny Guitar di Nicholas Ray, USA 1954

Ballerino Kid: “Ho sempre sognato di far fuori un chitarrista…”; Vienna: “Degna aspirazione”. Che dire? Bellissimo e comunque “non stringo mai la destra a chi spara con la sinistra”(Johnny Guitar Logan). Interessante lettura dello spazio interno, assolutamente prairie-style secondo gli insegnamenti di F.L. Wright. (Vhs; 7/4/96)

126-Io ballo da sola di Bernardo Bertolucci, Gran Bretagna/Italia/Francia 1996

Eeeeh… l’è dura: come scrivere di questo film che mi ha visto suo straordinario interprete? Andiamo per ordine. La critica ha parlato di leggerezza mozartiana e ha esaltato pressoché unanime l’ultima opera del Maestro. Io, da appassionato, sono rimasto deluso: ho tentato inutili difese per un’opera deludente, accattivante nella confezione ma povera di contenuti. L’esilità minimalistica della Minot mal si addice alla straripante esuberanza di Bertolucci, alla sua carnalità, al suo coinvolgimento melò: qui, tutto ciò manca e allora non rimane più nulla, neanche l’emozione… Trovo anche controproducente la frammentarietà dei temi che non consente di approfondirne uno in maniera soddisfacente. Mah! L’apparato tecnico è straordinario: ho apprezzato la fotografia del paesaggio e l’uso dei colori; sono belle, anche se un po’ supergiovani, le musiche e convincente è la scenografia, grazie anche al ricorso alle belle sculture (quasi un coro muto alla vicenda) dello Spender. Punti alti: alcuni percorsi interni nello studio dello scultore, Liv che scopre il sesso camminando piegata in avanti (con un carrello all’indietro che la precede), le scene in cui lo scultore lavora o ancora quando Lucy capisce che è suo padre e la cinepresa si ritrae da questo momento intimo e rimane emblematicamente, dopo avere indagato la texture del legno non lavorato, sul ritratto ultimato della giovane. Certo, non sono gli unici momenti estremamente piacevoli, ma rimane il fatto che sono momenti, piccoli esercizi di stile: è il tutto che non funziona. È convincente il rapporto che si instaura tra scultore e figlia, (e intrigante il percorso parallelo tra formazione della giovane e realizzazione della statua che la rappresenta) mentre fa cascare le palle il presunto dialogo intergenerazionale tra Lucy e l’artista malato, interpretato da Jeremy Irons. Questo rapporto è costretto in un’improbabile immediata confidenza e perde ogni possibilità lirica nell’accentuare il tema (affrontato in modo peraltro greve) della scoperta del sesso. Tra l’altro B.B. rimprovera agli anni della contestazione l’obbligo della perdita della verginità: a me sembra che qui Lucy sia veramente costretta a farsi qualcuno senza che vi sia nessuna indagine psicologica sui motivi di questo percorso iniziatico il cui unico momento alto potrebbe essere quello dell’atto d’amore e che invece sconta la fissità recitativa dei personaggi in un momento che da poetico diventa imbarazzante (ah… se sotto quell’ulivo ci fosse stato Pier… ‘anvedi i fuochi d’artificio). Sono gratuiti e poco incisivi i riferimenti alla situazione politica e morale degli italiani e il ritratto della comunità di artisti autoesiliata nella bellezza del Chianti sembra un po’ artificiale (anche se forse realistico). Esornativo Marais che, a differenza di altre icone cinematografiche utilizzate da Bertolucci nel passato, sembra spaesato in un ruolo inutile. Certo, al solito, alcuni movimenti di macchina sono esaltanti (dolly durante la festa, scena in cui appaio e illumino lo schermo mentre Zook guarda stolidamente l’obbiettivo) ma i diversi linguaggi che B.B. mette in campo (mutuati da video-clip e da nuove tecnologie o ancora la steady-cam inclinata come in certi spot pubblicitari) non entusiasmano (io adoro la classica sinuosità del vecchio Bertolucci, non queste trovate moderniste) e spezzano ulteriormente il già esile percorso narrativo togliendogli anche unità formale. Giudizio finale? A malincuore, occasione persa: lacunosità di approfondimento psicologico e di sviluppo dei temi… insomma insoddisfacente. Non basta la confezione molto curata: troppe le cadute di gusto (il sesso truce e quasi parodistico tra Miranda e l’atletico avvocato, in una scena più volgare della volgarità che vorrebbe rappresentare, o ancora la scena del ballo tra Cecchi e Liv, che parte bene e si conclude in un’avvilente pisciata di una delle partecipanti alla festa), le scene sciatte (la cena in pizzeria) o incomprensibili (il Tenente: che cacchio sta a significare?). Mi dispiace, ma Bertolucci non è regista per film “piccoli”, ha bisogno di spazio (produttivo e narrativo) per far danzare la cinepresa. Troppo spesso si confondono inconsistenza e leggerezza: mandiamo a cagare i minimalisti. (Cinema Excelsior di Milano; 16/3/96)
P.S. L’anno prossimo incontro B.B. e rinnego questo scritto.

127-Killing Zoe di Roger Avary, USA 1993

Soggetto schizofrenico, grandi prove recitative e convulso finale a sorpresa: convincente. (Vhs)

128-Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappenau, Francia 1990

Se fossi un critico tosto scriverei una recensione in rima. Non lo sono, non la scrivo, ma alla fin della licenza tocco! Ennesima visione: sempre bello. (Vhs)

129-La dea dell’amore di Woody Allen, USA 1995

Al solito: carino ma… (vedi la recensione n°184). (Cineclub Lumière; 15/4/96)

130-La regola del gioco di Jean Renoir, Francia 1939

….eeh! Bellissimo, e B.B. dovrebbe tenere la lingua a freno quando ne parla come modello per Io ballo da sola. Grandi dialoghi, tempi da commedia perfetti, ma anche brani drammatici estremamente intelligenti e pungenti. Ironico e amaro. (Vhs)

131-Scarpette rosse di Michael Powell e Emeric Pressburger, Gran Bretagna 1948

Narrativamente è un polpettone melodrammatico (con caduta verticale nel secondo tempo) zeppo, però, di notevoli invenzioni visive. Godibile. (Carignano D’Essai, 16/4/96)

132-Pauline alla spiaggia di Eric Rohmer, Francia 1983

Mah! Cosa devo fare? Non posso che credere, come da più parti mi si dice, che dietro tutto ciò ci sia una straordinaria ricerca, ironia, capacità di far parlare i giovani, etc. Sarà. Sicuramente è incredibile la capacità di non smuovere la cinepresa di un millimetro e di trascinare gli attori in “campo” con qualunque pretesto. Tuttavia, per diversi motivi, il film ti rimane lì, dunque avranno ragione loro: c’è qualcosa. Boh. (Cineclub Lumière; 17/4/96)

133/134-Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci, Italia 1964

Prima e seconda visione in meno di una settimana… che dire? Con grande convinzione: stupendo! Scritto benissimo (i dialoghi sono, per conto mio, memorabili) e girato in modo probabilmente immaturo ma comunque esaltante (scelte stilistiche che oscillano tra la prefigurazione del futuro classico Bertolucci e le suggestioni linguistiche della nouvelle vague). Straripante la quantità di temi messi in gioco, utilizzando linguaggi e tecniche diverse in un tripudio di citazioni e omaggi: Welles aveva 26 anni per Quarto Potere, qui Bernardo ne ha 22 e produce un’opera intensissima che giustamente avrà grandi riconoscimenti, specialmente all’estero. Parma, per tantissimi motivi, è stupenda. Eccezionale: B.B. potrebbe girare altri dieci Io ballo da sola e rimarrebbe comunque un idolo. (Vhs)

135-Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini, Italia 1966

Criticato e giudicato datato e superficiale, per quanto gli riconosca alcune cadute, è per me un gran bel film: Salerno è bravissimo, la fotografia, morbida e scintillante, è stupenda e la storia è ben costruita, con un intelligente uso del flashback. Si vedono un’insolita Mantova notturna e la Chiesa sull’autostrada del Sole di Michelucci. Scoperto l’anno scorso al Lumière; l’ho rivisto con piacere. (Vhs)

136-La caduta degli dei di Luchino Visconti, Italia/Svizzera/Repubblica Federale Tedesca 1969

Narrativamente notevole, tecnicamente irritante per abuso di zoom in sostituzione anche dei più banali carrelli; per Claudio è colpa delle maestranze romane. Sarà (“A dottò, ce famo ‘no zum?”). Comunque il maestro, anche se malato e succube, non era certo cieco. (Vhs)

137-Eliana e gli uomini di Jean Renoir, Francia/Gran Bretagna/Italia 1956

La trama è banale, ma serve a organizzare un gioioso balletto di personaggi per i quali Renoir sfodera la consueta dolce ironica affezione. Carino. In serata, vittoria. Tiè, in culo al nano. (Diretta TV; 21/4/96)

138-La vita e nient’altro di Bertrand Tavernier, Francia 1989

Nient’altro? Grazie a Dio. Lungo e noioso eppure osannato. Mah! Forse… no, no, i testicoli hanno iniziato a basculare dopo un quarto d’ora e durante le due ore seguenti ho lottato a lungo per sottrarmi al soffocante abbraccio di Morfeo. Sarò stato stanco, chessò, però ribadisco: due palle. (Vhs)

139-La vita è meravigliosa di Frank Capra, USA 1946

Bello! E il cattivo non viene redento… fintamente ottimistico? Boh, io me lo sono goduto al livello più basso, aspettando con trepidazione il lieto fine, spaventandomi e commuovendomi, ben sapendo che tutto si sarebbe aggiustato. (Cineclub Nickelodeon)

(4 – continua)