di Valerio Evangelisti (da Robot n. 54)

DragonWars.jpgNon è mica facile recensire un film che ha avuto su di me l’effetto “Porta a porta”. Mi spiego. Spesso, alla sera, grazie a Rai Click e alla tv di Fastweb, mi sparo delle repliche di “Porta a Porta” e di “Ballarò”. L’effetto, su di me, è quello attribuito alla melatonina. Dopo dieci minuti cado addormentato. Ogni tanto mi risveglio, specie quando parla Giulio Tremonti, con la sua vocina acuta. Ma dura pochissimo, e mi addormento di nuovo. Mi desto del tutto alle 23,30 circa, e a quel punto o guardo qualcosa di serio, o vado a lavorare (lavoro di notte, fino alle 5,30 del mattino).
Dragon Wars ha avuto su di me un effetto analogo, visto che, durante la visione del dvd, mi sono addormentato per ben tre volte. Chiedo scusa in anticipo se la ricostruzione della trama presenterà delle lacune, corrispondenti ai momenti di abbiocco.

Dunque, una leggenda coreana dice che, ogni 500 anni, un serpente cattivo tramutato in drago (la differenza tra serpente e drago consiste in lunghi filamenti a lato del muso) e un drago buono sono destinati ad affrontarsi. Il penultimo scontro era avvenuto in Corea, l’ultimo — quello del film — ha per teatro la moderna Los Angeles. Elemento chiave per le sorti del conflitto è una ragazzina che ha un drago tatuato su una spalla. Il suo nome è Sara.
Altro personaggio determinante è un ragazzo che a suo tempo amò la detta fanciullina. Si è reincarnato in un giovane giornalista americano, incaricato di indagare, ai giorni nostri, su colossali impronte di drago ritrovate nei pressi della metropoli californiana.
Fin qui ci siamo abbastanza, poi è il delirio. Un flashback che dura venti minuti almeno ci mostra il giornalista, bambino, capitato col padre nel negozio di un antiquario. Al toccare un manufatto coreano una misteriosa luce blu lo investe. L’antiquario allontana il padre con un pretesto e trattiene il bambino. Gli spiega che è suo destino ritrovare Sara e intervenire nel conflitto fra serpente cattivo e drago buono.
Segue un flashback nel flashback, con barbutissimi coreani dell’antichità alle prese con l’avvento del serpentaccio. Non posso essere più preciso perché qui mi sono addormentato la prima volta. Ricordo solo combattimenti di kung-fu (o forse, dato il paese, di tae-kwon-do), fiamme e piogge di frecce infuocate, mentre una biscia enorme strisciava su una collina.
Mi risveglio del tutto e siamo a Los Angeles. Il giornalista, memore della sua esperienza dall’antiquario, vuole cercare una Sara con un drago tatuato su una spalla. Mette dunque al computer un collega, e lo incarica di fare ricerche. Non so cosa possa combinare costui. Digitare su Google “Sara”, “drago”, “tatuaggio”? Provateci voi stessi, e avrete risposte bizzarre.
Intanto entra in azione un perfido agente dell’FBI, che cerca Sara anche lui, mentre un gigante con impermeabile nero, che non ho capito bene chi sia, è impegnato nella stessa impresa. Parallelamente un guardiano di zoo mezzo scemo vede un serpentone enorme che divora i suoi animali. Denuncia il fatto alla polizia. Interrogato, si produce in battute di cui Gianni e Pinotto — i comici più scadenti della storia, dopo Ric e Gian e Gaspare e Zuzzurro — si sarebbero vergognati. Ma la tragedia incombe.
Il giornalista ritrova Sara per pura combinazione, e subito dopo si innamora di lei. Poco più tardi il serpente gigante attacca Los Angeles in grande stile. Si inerpica su un grattacielo, con grande fifa degli impiegati. Bersagliato dall’esercito, abbatte elicotteri e divora autoblindo.
Devo dire che questi dieci minuti circa sono la parte migliore del film. Effetti speciali eccellenti, inquadrature che sorprendono. Un piccolo capolavoro. Solo, non si capisce cosa ci stia a fare tutto il resto della pellicola. Poiché un drago solo sarebbe insufficiente, ecco apparire il gigante con l’impermeabile alla testa di un esercito di guerrieri, più un rinforzo di lucertoloni da battaglia copiati pari pari da L’impero colpisce ancora.
Passata la buriana, mi addormento per la seconda volta. Mi sveglio in tempo per vedere il terribile agente dell’FBI sparare su Sara e sul giornalista. Prima di farlo pronuncia una frase che passerà alla storia:
«Noi dell’FBI abbiamo una squadra di esperti in Iu-Ju-Chun” (Non so se sia proprio “Iu-Ju-Chun”, ma il suono è simile).
Personalmente non ne ho mai dubitato. Avevano gli X-Files, perché mai non dovrebbero avere gli Iu-Ju-Chun? Mi domando solo chi stia servendo l’agente. Se il gigante con l’impermeabile (si teme per tutto il film che lo apra e mostri le sue smisurate pudenda) o il serpente malvagio.
Un terzo e ultimo abbiocco mi sottrae al quesito. Quando mi ridesto Sara e il giornalista, in buona forma malgrado i proiettili, sono precipitati nella Corea dell’antichità. Lei sta per essere sacrificata al serpente, esattamente come Fay Wray in King Kong. Ecco però che la situazione si ribalta. Sara, ricordiamocelo, può richiamare il drago buono. Lo fa, vomitando un’enorme palla di luce azzurra. I due rettili, un po’ difficili da distinguere, si attorcigliano e sputano ulteriori altre palle, però di fuoco.
Il drago buono vince, ma Sara, nello scontro, è ferita a morte. Riappare subito dopo avvolta di luce azzurra, come Padre Pio nei santini che l’editore Fanucci diffonde in esclusiva (ha due esclusive: Philip K. Dick e Padre Pio) a Pietralcina e dintorni. Dice al giornalista: «Non ti preoccupare, ti amerò per sempre». Poi evapora.
Malgrado la rassicurazione, il giornalista un po’ preoccupato lo è. Cala la tela.
Impagabili gli extra del dvd. Il regista Hyung-rae Shim, ex attore comico malgrado la faccia tristissima, confessa di avere pianto due volte, alla prima del film. Beato lui. Io piangevo ogni volta che mi svegliavo, poi, per fortuna, mi riaddormentavo. Che un qualche serpente mangi quel regista e salvi la Corea.