di Danilo Arona

Pozzo.jpgTornare sui luoghi del delitto: un sentiero che lo scrittore è spesso costretto a ripercorrere. Tornare a Bassavilla, ad esempio, e alle “maledizioni” della Val Cerrina, un tema che dalle mie parti nessuno si sogna neppure di proporre perché magari crolla il mercato del tartufo. Ma ci pensa la realtà, questa stramba “sostanza” energetica che ci circonda e di cui percepiamo, pare, un misero dieci per cento.
La quarta “cronaca di Bassavilla”, pubblicata da Carmilla nel febbraio 2005, si concludeva, dopo una dissertazione un po’ dotta e un po’ delirante sull’argomento delle “maledizioni”, in questo modo:
“Mi hanno raccontato che da qualche parte, in Val Cerrina, ci dev’essere un pozzo dove trenta o quarant’anni fa cadde, o venne fatta cadere, una ragazzina. E questo film lo abbiamo già visto. Il titolo parla di un cerchio, geometria infinita che racchiude il tutto, il vero e il falso, in questo gioco di scambi, assolutamente impossibile solo da teorizzare, tra immaginario e realtà. Eppure accade.”

Siccome l’articolo s’intitolava The Ring, il riferimento – fasullo o meno, che c’importa – era quello. Un film, il suo remake, quella storia.
Adesso è successa questa dolorosa faccenda nel paese siciliano di Niscemi su cui saprete tutto e che ha riportato per qualche giorno sul video il solito coro di esperti a tentare di agguantare, senza riuscirci, catartici brandelli di svolazzanti spiegazioni: la piccola Lorena uccisa da tre coetanei e scaraventata nel fondo di un pozzo con un masso legato alla vita. E la circolarità del “reale” ritorna con prepotenza a proporsi con sfacciata evidenza.
Intanto andrebbe sottolineato un momento di puro delirio quando il film in questione, durante una trasmissione RAI, è stato tirato in ballo come causa scatenante del fattaccio. Se gli argomenti da parte dei tronisti culturali latitano, ecco riaffacciarsi il tristo ritornello dell’arte che influenza i comportamenti, soprattutto in quei giovanissimi che da troppi anni risultano essere gusci vuoti da occupare con contenuti rubati a libri o a film di passaggio. Il tema è importante perché esistono sporadici e particolarissimi casi che a volte ne danno conferma. Ma Ring, il film, con c’entra nulla con le dinamiche del delitto. Piuttosto c’entra con la sincronicità di Jung.

E allora facciamo un minimale riassunto, omettendo quel che si può lasciar andare. Giornali e TV hanno sottolineato (anche perché è un discreto argomento di “vendibilità”) che la ragazzina aveva visto pochi giorni prima di morire il film The Ring, rimanendone alquanto suggestionata. Al punto da pensare di fare la stessa fine di Samara. E confidando al suo insegnante di religione, Don Rosario Di Dio (predestinato sin dall’anagrafe a non poter svolgere un altro mestiere) che le sarebbe capitata la stessa cosa successa alla protagonista del film. Al punto da “disegnarsi” sul muro accanto al banco uno schizzo di una ragazza impiccata e sotto la frase “io the ring” e da pronunciare, prima di uscire dalla classe il 30 aprile (giorno della scomparsa e dell’omicidio), la frase riportata da molti: “Mi finirà così”.
“Sono rimasto impressionato dal racconto del film – ha detto il sacerdote ai giornali – e dal disegno che Lorena aveva fatto. Lei era una persona vivace ma sempre angosciata. Anche quel giorno aveva un’espressione molto triste tanto che cercai di consolarla. Sono stato io l’ultimo insegnante a vederla e a firmare il permesso per farla andare via. Non so quello che aveva in testa, ma ciò che è successo è davvero diabolico. Sono sgomento”.
Riporto ciò che ho letto. E vi “incollo” il concetto di sincronicità, come Jung ce lo ha tramandato. Il principio di “sincronicità” è stato proposto dal più celebre degli allievi freudiani in un famoso saggio edito nel 1952, frutto di un’intensa riflessione iniziata almeno un trentennio prima. Il fenomeno in questione, secondo la stessa definizione dello studioso, è il risultato di due fattori: il primo, un’immagine inconscia che si presenta direttamente (letteralmente) o indirettamente (simboleggiata o accennata alla coscienza come sogno, idea improvvisa, presentimento); il secondo, un dato di fatto obiettivo che coincide con questo contenuto, magari un evento esterno che può svolgersi fuori della percezione dell’osservatore ed essere quindi distante nello spazio e nel tempo. Un’ipotesi che presuppone la percezione oscura di un senso latente.
La sincronicità junghiana ha di sicuro, per ciascuno di noi, un corrispettivo reale, per alcuni assai frequente, per altri raramente percepito. Ma tutti, nella propria esperienza soggettiva, hanno avuto la possibilità di verificare strane coincidenze che risaltano tanto per l’elevato contenuto simbolico e di significato, quanto per qualche gruppo di eventi legati da un filo misterioso che non può essere spiegato in termini di causa ed effetto. Il concetto di sincronicità, difficilmente accettabile in un ambito scientifico occidentale, è molto caro alle concezioni filosofiche orientali e nella filosofia antica. Alcune discipline borderline come l’astrologia lo considerano ovvio e sottinteso. È però possibile interpretare il concetto come una norma di funzionamento dei processi conoscitivi della mente: la tesi consiste nell’osservare come tutti i processi del genere si basino sulla coincidenza di segni che poi divengono rilevanti tramite un processo di selezione che ne sottolinea la pertinenza. Sostanzialmente il cervello funziona come un potente selezionatore di coincidenze e quindi le sincronicità acquistano una particolare rilevanza per le funzioni conoscitive. Sincronicità quindi come nesso che lega in maniera acausale, o casuale gli eventi. Eventi associati a immagini, letterali o simboliche, ha poca importanza. In tutti questi casi noi osserviamo il presentarsi concomitante di due eventi che non appaiono legati da un nesso causale, bensì da uno sincronico. Parliamo di sogni o di segni premonitori, di simboli che si presentano alla nostra coscienza e ci palesano aspetti della realtà oggettiva, o ci ragguagliano su quanto sta accadendo nella nostra vita.
Tutto ciò presuppone che, al di là della psiche, con le sue manifestazioni e connessioni nello spazio e nel tempo si trovi una “realtà transpsichica” nei cui caratteri distintivi rientra una relativizzazione o un dissolvimento del tempo e dello spazio reale. Ciò che è sperimentato dalla coscienza come passato, presente e futuro, si relativizza in questa realtà transpsichica, fino a fondersi, aumentando la distanza dalla coscienza, in un’unità non conoscibile o extra-temporalità, e ciò che appare alla coscienza come vicino e lontano soggiace allo stesso processo di relativizzazione, fino a confluire in un’extraspazialità non conoscibile. Va da sé che su tali ipotesi junghiane influiscono le teorie della fisica sulle discontinuità dei processi atomici ed è interessante come la psicologia analitica e le ricerche avviate da Einstein, e tuttora in corso, sulle “altre dimensioni” si pongano, a un certo punto, l’identica domanda sulla possibilità di un “altro regno” al di là della nostra percezione che non riguardi la sola parapsicologia, ma ogni manifestazione parafisica sfuggente a una razionale e scientifica spiegazione.
Non forzo la mano a ulteriori interpretazioni, ma rieccoci piombati nel regno della luce oscura, tra fisica dei quanti e dis-percezione del reale. Tra presagi condivisi dell’apocalisse globale e materializzazioni dell’inconscio misteriosamente collegate al mondo delle immagini artificiali. Come affermava Jung in Mysterium Coniunctionis, spazio e tempo sembrano relativi alla psiche inconscia, in altre parole la conoscenza si trova in un continuum spaziotemporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Che tale realtà transpsichica da tempo stia tracimando nel nostro campo percettivo è per molti il Segno dei Segni, quello che annuncia il Giorno del Punto Zero. Oppure, in un’accezione un po’ meno drastica, alcuni frammenti di umanità stanno iniziando a “vedere” – senza rendersene conto – in quel 90% di realtà che non viene statisticamente percepita.
Che la terra sia lieve alla poverina di Niscemi. Che forse ha visto e ha tentato di avvertirne il prossimo.
“Mi finirà così.”