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Federico Platania, Il primo sangue, Fernandel edizioni, 2008, pagg. 128, € 12,00

Platania fa i conti con le nuove paure metropolitane, che di nuovo non hanno nulla, è l’incapacità di reazione che ci mette all’angolo, la mancanza di anticorpi ad emergenze che pensavamo storicamente risolte a metterci nei guai. Si è inceppato il meccanismo che vuole i figli comunque più ricchi dei padri, la progressione economica è deragliata, la miseria è un mostriciattolo che non si stacca di dosso e che umilia Andrea, un io narrante assolutamente credibile. Non c’è lotta di classe, diritti e identità da rivendicare, nessun riferimento politico, solo disordine, no-future. Rimane l’impotenza e la vergogna per non essere altro.

Le nuove periferie sono infestate da esseri bizzarri e pericolosi, pazzi e malati, gente che parla lingue sconosciute. Tutti sono indistintamente zingari di merda, ogni pensionato del quartiere ha la sua personale Soluzione Finale da proporre. I pericoli per Andrea sono difficili da identificare, le insidie sono in ogni strada, nell’autobus, nel parco di una villetta signorile dove si aggira un cane da guardia feroce, in un uomo in mimetica che presidia la zona emettendo poche sillabe.

Stamattina sull’autobus c’era uno che aveva una bella valigetta di pelle, una cosa raffinata, tanto che lì per lì mi sembrava un pezzo grosso… Poi si è seduto, ho guardato per terra e mi sono accorto che era scalzo. I piedi sporchi. Allora l’ho fissato, per capire meglio chi era. E quello mi ha guardato, ha detto qualcosa in una lingua che non conoscevo e poi ha sputato, lì, sul pavimento dell’autobus.

E gli insetti… mosche, vespe, cavallette. Bestie strane. Troppe, nel tragitto tra casa e il lavoro. Non c’erano quando eravamo bambini, allora tutto era più sereno, il tempo era dalla nostra parte. Tutto cambia o a cambiare è la nostra sensibilità ferita. Un esercito di disperati senza nulla da perdere sta per esplodere, per dichiararci guerra. Ma non c’è intolleranza in Andrea, solo non riesce a stabilire contatti, a trovare una trincea sicura.buon_lavoro.jpg
Platania trova la giusta distanza, si calibra perfettamente sulla realtà, ma fuori dalla dimensione di report giornalistico, non è mai banale, descrive un incubo (come fece in Buon lavoro, uscito nel 2006 sempre per Fernandel) senza abbandonarsi mai all’irrazionale buonismo e al razionale razzismo del mostruoso uomo medio che Pasolini indicò e a cui la destra continua a dare un contenitore. Andrea è in bilico, non trova collocazione, soffre i mutamenti del territorio e le mutazioni di chi la popola. Non è inferocito, indignato, non si rade il capo e non si veste di verde, non fa ronde. È solo attonito, incredulo, si sforza di capire e interagire, ma ha reazioni scomposte e maldestre che lo espongono a pestaggi. Lavora in una mensa aziendale, qualche birra con gli amici, una fidanzata rumena con un bel fisico che lo lascerà per diventare la moglie di un proprietario di ristorante, il padre che impreca davanti al telegiornale con la bocca unta di sugo, qualche canna per condire discorsi tra perdenti. La domenica accompagna a messa la madre, un giorno sente una frase sensata durante l’omelia. Ma attorno tutti guardano altrove, a inseguire altri pensieri, a rispondere ai cellulari. Andrea guadagna novecento euro al mese. Novecento euro per non morire di fame, per tenere a debita distanza il pacco della Caritas che arriva sempre più vicino, magari all’uscio accanto. Novecento euro per invidiare e odiare, per avvertire la tristezza mortale nelle foto del viaggio di nozze di amici, nella ratealizzazione infinita che governa misere vite senza speranza, negli automatismi che prevedono l’erede. Che erediterà altra miseria, e così per sempre, ciclicamente, nelle generazioni condannate all’indigenza.

… prima ti indebiti per la casa , poi ti indebiti per i figli. Cioè per l’erede, l’erede dei tuoi debiti, l’erede della tua miseria.

Il collega lo tormenta con la sua ossessione per la casa di proprietà. Perché la casa è la prima cosa. Mutuo, mica affitto. Una casa tutta per sé, una ragione di vita, un senso alle ore di straordinario, al doppio lavoro. Un buco per asserragliarsi, per addormentarsi distrutti come somari davanti alla televisione.
Ma la favola nera per Andrea avrà un inatteso happy end splendidamente amorale. Meno felice per altri. Perché la felicità non è per tutti, in natura non è distribuita equamente, se non ce l’hai nel DNA devi andare a prendertela da qualche parte, devi toglierla a qualcuno che la possiede dalla nascita, soprattutto non devi perdere l’attimo giusto per cambiare marcia. La villa con il cane nero cela la condizione per il riscatto, per una vita fuori dalla tristezza infinita dell’emergenza economica. La belva che fin dal primo giorno lo terrorizza e lo attira, presidia la sua salvezza, il tesoro sarà il suo Primo Sangue. Duecentomila euro da guadagnarsi. Non c’è spazio per gli scrupoli, la luce dopo il tunnel si inizia a vedere, per fuggire alla maledizione annunciata in apertura di testo, a pagina sette:

Ci sono sempre più insetti al mondo. Non te ne rendi conto, ma ogni giorno che passa ci sono sempre più insetti.

Poi un giorno perderai il lavoro, i tuoi genitori saranno morti, non ci sarà più nessuno che potrà darti una mano.

… centesimo dopo centesimo , euro dopo euro, mosca dopo mosca, la fine del mondo è arrivata.

O la follia o la violenza. Federico Platania ha capito l’Inferno.

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