di Danilo Arona

ZioSilas.jpg1. La vita, tra editoria e letteratura, è un percorso fatto di scommesse. Agoni che si possono vincere o perdere e che fanno parte del vivere quotidiano di chi vive di scrittura, sua o altrui. Se poi il genere di riferimento è l’horror e il campo d’azione è l’Italia, i paragoni corrono il rischio di diventare biblici e le metafore potrebbero rimandare a quella “valle di Elah”, parafrasata in un recente film, dove David sfidò Golia (e vinse, se non ricordiamo male).
Maldigerito persino da parte dell’autore il pistolotto iniziale, di che stiamo parlando?
Ma di uno dei temi ciclici di cui amiamo occuparci a ogni volgere di decennio, giusto per verificare se siamo sempre al palo o qualcosa è cambiato in editoria per l’horror in Italia. Risposta univoca, ovvero un apprezzabile salto di qualità e di quantità.

Nel senso che, con Gargoylebooks al timone del mutamento di rotta, più di una major si è data una mossa e diverse proposte, nuove e variegate, affollano parecchi listini, persino con autori italiani. Mondadori, Einaudi, Piemme, Sonzogno, Bompiani, Marsilio, Nord, Fazi, Baldini & Castoldi, Sylvestre Bonnard, Newton & Compton (ma anche Dino Audino, Perdisa, Il Foglio Letterario, Ferrara Edizioni più tutto un vitalissimo sottobosco underground) e addirittura qualche titolo, per quanto non esattamente rappresentativo (come i romanzi di Stephenie Meyer), ha saltellato nelle classifiche.
Bene, benissimo. Ma se c’è stato tre anni fa un salutare scrollone al mercato, coraggio e meriti vanno attribuiti a Gargoylebooks, che a tutti gli altri di cui sopra ha dimostrato che esiste un pubblico. Un pubblico che compra, che investe e che ama – crescendo esponenzialmente – farsi “serializzare”. Nell’ormai ricchissimo catalogo di Paolo De Crescenzo e soci ci stanno almeno quattro, ben individuabili percorsi sequenziali: i primi, evidenti, esibiscono i nomi di Chelsea Quinn Yarbro con l’arcana saga del Conte di Saint-Germain (ormai giunta a 5 titoli: Hotel Transilvania, Il Palazzo, Giochi di sangue, Il sentiero dell’eclissi e il venturo Un destino di sfida) e di John C. Passarella con la streghesca serie dedicata alla diabolica Elizabeth Wither (Wither, La pioggia di Wither, L’eredità di Wither), che sono tra il meglio leggibile del gotico contemporaneo americano. Quindi, con un’intenzione filologica baciata dal successo commerciale della “2° edizione”, la ripubblicazione integrale di due autori fondamentali (spesso “bucati” dal nostro mercato) quali Robert McCammon e Dan Simmons, scrittori che negli USA sono in grado di tallonare King e, qualche volta, di metterlo in angolo sul piano delle idee. Di McCammon sono apparsi Hanno sete, L’ora del lupo e l’epico La via oscura, mentre di Simmons hanno visto la luce la versione integrale de L’estate della paura, il suo incredibile sequel L’inverno della paura e nel 2009 la riproposta senza tagli di quel monumento vampirico che è Danza macabra, uno dei capolavori in assoluto della letteratura horror di tutti i tempi.
Se a questi obiettivi progettuali aggiungiamo la ricomparsa sugli scaffali di straordinari autori “perduti” quali Graham Masterton (quello di The Manitou), di F. Paul Wilson (colui che firmò il leggendario The Keep) e nuove proposte che “nuove” lo sono veramente nei contenuti, quando non nella forma (Il Vangelo della Maddalena di David Niall Wilson, La soglia di Caitlin R. Kiernan, Di Santi e d’Ombre di Christopher Golden), balza agli occhi che il catalogo della casa editrice romana si sta gradualmente trasformando in una sorta di enciclopedia essenziale della paura in letteratura. Se ancora abbisognassero conferme a favore di una politica degli autori tutt’altro che casuale, queste ci vengono dalla pubblicazione di uno dei capisaldi del gotico, quello Zio Silas pubblicato per la prima volta nel 1864 da quel “padre fondatore” di terra d’Irlanda che si chiamava Joseph Sheridan LeFanu, il creatore dell’immortale Carmilla. Come ebbe a scrivere David Punter nella sua indispensabile Storia della letteratura del terrore (Editori Riuniti, 1985), Uncle Silas dimostra la maestria nella suspense e l’acutezza nella percezione che LeFanu riusciva ad avere quando era libero da limiti di lunghezza.
“Un testo di una sorprendente modernità, tanto da ricordare per la densità dei suoi simboli, le Brontë, ma anche degli scrittori del terrore più tardi come Blackwood e Arthur Machen, nei quali l’insistenza posta sulla forza del rimosso diventa più esplicita. E questo chiaramente ha bisogno di un commento. Com’è possibile che uno scrittore che sta deliberatamente lavorando secondo una formula all’apparenza superata, riesca tuttavia a guardare avanti verso una narrativa più coscientemente psicologica? Le possibilità sembrano due. La prima è insita nella stessa natura del gotico: nella misura in cui il gotico era divenuto il modo principale grazie al quale esplorare il terrore e le altre sensazioni estreme, così era naturalmente rivestito di un contenuto psicologico che LeFanu aveva continuato a sondare. La seconda possibilità, tuttavia, è forse la più interessante: cioé che nell’opera di LeFanu, proprio perché era superata dal sensazionalismo, il gotico è ridotto a dati psicologici essenziali.” Proteso quindi all’introspezione dell’attuale contemporaneità, quasi un manifesto per le tendenze a venire. Ed eccoci a dover constatare una inappuntabile logica editoriale che ci presenta un LeFanu alle “origini” dell’horror coevo dopo tanti, esaustivi esempi del medesimo.

2. Chi recensisce o segnala, in genere non si deve occupare di “contabilità”. Non siamo quindi in grado di dire quanto e se paghino queste scelte, che personalmente troviamo condivisibili al mille per cento. Il dato di fatto certo e che il futuro Gargoyle indica l’intenzione, granitica, di proseguire su un percorso in grado di declinare tutte le autentiche sfaccettature di quel grande e complesso prisma che è il gotico moderno. Quel che s’intravede, da qui ai prossimi due o tre anni: rivisitazione dei classici e dei contemporanei più importanti, apertura alla saggistica e proposte italiane. Su questi ultimi due fronti, segnaliamo con assoluto piacere The Dark Screen, a cura della straordinaria coppia saggistica Pezzini/ Tintori (ovvero tutto quello che non avete mai osato chiedere sul conte Dracula trasferito sul piccolo e sul grande schermo, e il ritorno all’horror di Gianfranco Manfredi, lo scrittore che prima di tutti aprì la strada italiana, nel 1983, con Magia rossa (che Gargoyle ha riproposto nel 2006). Questa auspicatissima rimpatriata s’intitola Ho freddo e uscirà a cavallo tra il 2008 e il 2009 e mi concederete di spenderci una parola in più, dato che sono amico del Manfredi e che lui stesso, in una passata intervista, mi aveva a suo modo anticipato il coming soon.

“Ultimamente sono tornato alle radici e sto facendo delle ricerche sul New England. Più studio e più mi ritrovo elettrizzato. Ecco… l’ho detto e già sento una vocina stridula: ‘Di queste cose in Italia non frega niente a nessuno.’ Ma in questo momento l’horror è tornato a stimolarmi, anche al cinema. Dunque sì, sarà una storia horror, con al centro un personaggio femminile. E’ una storia che affonda nella cronaca del XVIII secolo. Terribilmente inquietante. Se non l’ho ancora cominciata è perché ne sono io stesso spaventato. So però che voglio scriverla sul posto, cioè nel Rhode Island, e ho già preso qualche contatto.”

Appunto. E infatti, mentre scriviamo, il nostro è volato sull’altra faccia della Terra e sta proprio in quel posto, il New England, a trarne auspici e ad aspirare effluvii. Quel New England che, culturalmente, marchia la maggior parte degli autori di casa Gargoyle, da McCammon a Simmons, da Golden a Passarella. E che tra breve contaminerà anche l’Italia
Ma ci potrebbe essere ancora dell’altro? Sicuro. Sono in arrivo Le memorie di Jack lo Squartatore di Clanash Farjeon, Sherlock Holmes contro Dracula scritto dal dottor Watson in persona (!) e l’interessante Le stagioni del Maligno dell’emergente francese Jean-Christophe Chaumette, con cui Gargoyle apre al demonic tale di produzione mitteleuropea. Per la serie: “piatto ricco, mi ci ficco.”

3. Se da un lato è forse verosimile che l’horror non sia – e forse non debba essere – un genere per tutti i palati, dall’altro si può con forza sostenere che chi vi accosta abbia a conoscerne il più possibile le sue tante, diverse, espressioni. L’horror è anche un ecosistema colto, in grado di funzionare da collante tra la letteratura alta, mutazioni generazionali, cronaca e tendenze culturali. E se c’è un’opera tra quelle pubblicate da Gargoyle che lo dimostra, questa si chiama A Winter Haunting, sequel molto sui generis del leggendario L’estate della paura.
Come ha messo acutamente in luce Claudio Asciuti (1), a quarant’anni dagli eventi di Summer Night, Dale Stewart ritorna a Elm Haven, nella casa che fu del suo vecchio amico Duane (allora finito orribilmente stritolato da una mietitrebbia) e la sua storia diventa da subito una descensio ad inferos, scandita sì da pochi e in ogni caso minimamente stereotipati luoghi comuni del genere, ma soprattutto segnata – tra le righe e nelle righe – da una continua e professorale frammentazione di richiami a tutta una serie di “classici”, funzionali al plot e al dipanarsi del mistero. Dal poema epico di Beowulf, vieppiù saccheggiato dal cinema, a Edgar Allan Poe; da Conan Doyle a Chaucer; da Henry James a Thackeray; da Nabokov a Mark Twain; da Dickens a Virgilio: ma non un mero gioco citazionistico, si badi bene, quanto l’intregrazione all’interno dei meccanismi del gotico contemporaneo di un complesso e vastissimo ecosistema culturale che investe il genere di una “responsabilità” storicizzante, quasi a proporsi come uno dei pochi, possibili, macro-generi letterari in grado di scandire il timing della storia del mondo.
Su questo fronte si stabilisce tra L’inverno della paura e la vicenda editoriale sin qui giunta di Gargoylebooks una curiosa e inevitabile analogia, quella della descensio ad inferos nei meandri della psiche collettiva degli horror writers, ultime e solitarie sirene che ci avvertono che quel timing di cui sopra inizia a rallentare il suo battito.

(1) Claudio Asciuti, recensione a L’inverno della paura di Dan Simmons, Pulp Libri 72, Edizioni Apache, Pavia 2008.